Due solitudini di numeri primi in un ambiente che di solitario ha ben poco, nei suoi vicoli che trasudano di criminalità e coralità, di veracità e luce, di ombre e dolore. Napoli è questo, un caleidoscopio sfaccettato, un Aleph per dirla alla Borges, in cui, ogni qualvolta la prospettiva è mutata, emergono nuovi e inaspettati afflati di amor vissuto.
Tra i suoi vicoli, quelli dei Quartieri Spagnoli contornati di palazzi dal fascino decadente e di criminalità, vive il professor Gabriele Santoro (Silvio Orlando) che insegna al Conservatorio, un uomo schivo, riservato, che sembra quasi costeggiare quella coralità napoletana, indifferente all’agitazione brulicante notturna sotto casa o alle osservazioni qualunquiste del giornalaio. Santoro cammina come trascinato da un peso, da un rapporto contrastato con il fratello, neo-magistrato arrogante e di poche parole (Gianfelice Imparato), non ha una vita sociale, conosce appena i vicini.
Un giorno apre la porta per far entrare un corriere, e bastano pochi istanti per far sì che nella sua quotidianità bigia, entri Ciro (Giuseppe Pirozzi) il figlio del vicino del piano di sopra, assai spigliato, un intruso, che gli chiede aiuto. Aiuto sì, perché quel ragazzino di appena dieci anni, è in pericolo, avendo scippato e inavvertitamente fatto cadere per un “banale” furto, la moglie di un boss camorrista rivale. Non ha scampo come non lo avrà il professore, istintivamente, per quanto neglettamente, portato alla protezione, forse per una remora di un istinto paterno sopito da sempre, come lo sviluppo della pellicola suggerirà in un coacervo di sentimento e dramma.
In poche parole, è questa la trama de Il bambino nascosto, di Roberto Andò qui in duplice veste di regista e scrittore dell’omonimo romanzo. Un testo in cui Napoli è sempre presente come terzo incomodo di una ballata sofferta, in cui la legge e la sopravvivenza a un contesto sociale ove è meglio spesso non guardare o appoggiarsi a connivenze malavitose, lascia il passo a un confronto, un avvicinamento tra due specie differenti. Come due “animali” feriti, l’uomo e il bambino si “annusano” vicendevolmente, prima diffidenti, poi sempre più uniti come due frammenti di vetro capace di riflettere paura ma anche coraggio.
E forse è tale sentimento, il cuore e il motore pulsante della pellicola, un coraggio tradotto in presa di posizione che farà spezzare ogni indugio al grigio professore, in un percorso di redenzione per il bambino dall’ infanzia negata fra poteri sanguinari priva di spensieratezza e giochi e di una profonda incomunicabilità adulta, il cui spiraglio musicale non lascia adito a parole di aiuto.
E così i due non potranno far altro che attraversare i vicoli di una Napoli cangiante, dalle duplice natura, fino ai confini di un territorio in cui sarà possibile ritrovar finalmente quell’alba, prodroma di una primavera di bellezza da vivere insieme oltre la scure di una taciturna diffidenza.
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