I predatori

Come ridere della cattiveria secondo il giovane Castellitto

Fin dalla prima scena, un movimento di macchina virtuosistico che tiene insieme tanti personaggi per strada, come in una staffetta, l' esordio alla regia di Pietro Castellitto dichiara il proprio progetto. Il film è una commedia, che punta su gag e battute ma anche sulla messa in scena, giocando coi tempi e gli spazi. Uno stile vistoso, proprio dell' esordiente che vuol farsi notare all' esordio, ma esibito candidamente, e in maniera spesso elegante e non gratuita. L' attacco mette in chiaro anche il carattere corale della trama. Una famiglia di intellettuali di sinistra e una di ignoranti di destra, per semplificare, ma senza troppi schematismi. Federico (lo stesso Castellitto, che ha tempi comici travolgenti, e non da ora) è un assistente universitario coinvolto nella surreale riesumazione della salma di Nietzsche. Suo padre è un chirurgo, sua madre una regista antipaticissima. Dall' altro lato, invece, c' è una famiglia di neofascisti di Ostia con la passione delle armi da fuoco, una nonna truffata e uno zio delinquente. Famiglie variamente allargate, che si sfiorano e si incrociano. Lo stile è anche un vettore di umorismo, tra primi piani, uso degli spazi vuoti, una citazione un po' ingenua del classico finale di Pickpocket ( Diario di un ladro ) di Bresson e un uso intelligente della cover di Love Minus Zero /No Limit , meravigliosa canzone di Bob Dylan. Il film può sembrare quasi una versione comica di Favolacce dei fratelli D' Innocenzo; lì a smorzare la misantropia era la prossimità davanti alle cose alle persone e ai luoghi, un calore inatteso; qui è un umorismo che insieme distanzia e coinvolge senza giudicare.
Da La Repubblica, 22 ottobre 2020


di Emiliano Morreale, 22 ottobre 2020