Un’ora e mezza di un “cammino” frammentario, lucido con la consapevolezza, ahimè voluta, di fornire allo spettatore elementi simbolici che si compongono, come un mosaico, sotto gli occhi della protagonista attraversando una serie di visioni oniriche nel mistero ultimo di una giovinezza perduta.
Tutto questo è Tornare di Cristina Comencini, pianificato in uscita nelle sale il 12 marzo bloccato poi dalla pandemia di coronavirus e ora disponibile sulle piattaforme in streaming.
Il titolo che rimanda a una celebre pellicola di Almodovar, Volver, ha alla base il significato del tempo declinato nell’accezione filo-scientifica del fisico Carlo Rovelli: non c'è passato non c'è presente non c'è futuro: il tempo è solo un modo per misurare il cambiamento.
In questo esergo c'è tutta bellezza e al tempo stesso la precarietà di un film che per atmosfere rimanda alla Bestia del cuore ancora una volta con Giovanna Mezzogiorno protagonista.
L'attrice interpreta Alice una giornalista affermata che ritorna in Italia, a Napoli, dall'America a seguito della funerea notizia della morte del padre, ex Ufficiale americano della NATO.
In questa casa di famiglia a picco sul mare con affascinanti e idilliache vedute sul Golfo di Napoli Alice, rivede (o pensa di rivedere) una ragazza diciottenne che le somiglia molto, punita dagli uomini per la sua esuberanza sessuale. Facile intuire che è una proiezione della giovinezza della donna, un pretesto per un viaggio, mentale e psicologico, in cui vari piani temporali si intersecano nel labirinto della memoria tra passato e presente, secondo i prodromi freudiani di colpa repressa, nella sua terra ultima, la psicanalisi. In questa elaborazione del lutto che anche un'elaborazione della vita stessa e della giovinezza perduta, Alice è aiutata da una figura misteriosa, Marc, un amico intimo di suo padre che sembra sapere molte cose sul suo conto, cose che lei stessa ignora.
Comencini sembra aver letto Modiano. Le atmosfere di una Napoli retrò, quasi velata alla Ozpetek, paiono il riflesso sfocato e indistinto di una Parigi anni ’30 ma il percorso è troppo didascalico e dalle abusate metafore come quella pedissequa e rintronante dell'acqua a simboleggiare il flusso incostante e impercettibile del tempo che passa. Il trauma della donna si sviluppa in un arco temporale lungo oltre 30 anni, uno spazio che appunto piano piano si delinea lentamente seguendo il leitmotiv della sofferenza e della paura repressa.
Alice, dai rimandi all’eroina del romanzo di Carrol, è una ragazza persa in un mondo che non conosce. Un mondo strano che vive quasi alla rovescia rispetto alle sue fantasie puerili, che ricerca spietatamente controllo della donna, che vede in essa una bambola ibseniana.
Un mondo, che presto lascerà scoprire pian piano ogni recondito pensiero, scavando faticosamente il paesaggio dell'anima maieuticamente portando alla luce, le cicatrici mai sanate di una vita “sommersa”.
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