Scorrono ancora i titoli di coda dell’ultimo lavoro cinematografico del regista paternese Salvatore Campisano e si potrebbe pensare, dopo una prima, rapida, impressione, a un film dall’architettura semplice, lineare, a volte prevedibile nelle sue dinamiche narrative, senza rilevanti sussulti.
Sì, si potrebbe, ma sarebbe nulla di più sbagliato emettere avventati giudizi senza averne decifrato prima, sedimentato dopo, e metabolizzato alla fine, la forza comunicativa di due elementi fondamentali del film come la (buona) musica, e l’empatico processo emotivo che, in maniera crescente, fluisce dal racconto di due, drammatiche, storie quotidiane. Perché, di fatto, c’è tanto in un film dove la sua accessibilissima struttura si regge su una più importante, e ricercata, sovrastruttura composta principalmente di tre elementi concettuali come quello musicale, morale e…onirico, Tre i personaggi principali su cui Campisano ha disegnato, anzi quasi cucito addosso, questi elementi, ripartendoli con precisione chirurgica e con una perfetta caratterizzazione, tale da diventare inarrestabile portatrice semantica, e sincero alter ego, delle diverse (intime) passioni che convivono nel regista, con lo sfondo della sua amata Sicilia, con i suoi policromi tramonti e i verdeggianti silenzi.La storia racconta di due (mal)celati dolori che, come fiumi carsici , riemergono con forza nella loro tracimante tragedia tentando (inutilmente?) di annegare, nei meandri di un tristezza mai sopita, i rispettivi potenziali creativi. Profonde fratture che solo la grammatica delle emozioni, attraverso il linguaggio delle sette note e della medesima passione per la musica, proverà a risanare.Così come la padrona di casa Elvira prova, grazie all’antica arte del Kintsugi, mescolando oro e saggezza derivata dai suoi anni, a ricostruire, valorizzandolo ancor più, ciò che è spezzato. Poi le vere, assolute, protagoniste del film: le canzoni. Tante, belle, e magistralmente interpretate da un’indiscussa professionista come Andreazzurra Gullotta: che voce. “Una sola vita” diventa così raffinato crogiolo dell’arte musicale e delle immagini, con maggiore spessore nella prima che nella seconda. Com’è giusto che sia per chi ha fatto una scelta di campo utilizzando l’amato linguaggio diretto della musica perché ritenuto fedele mezzo di comunicazione da non adulterare : mai. Un impegno del regista che l’ha (piacevolmente?) costretto a mantenere la sua produzione lontana anni luce da un possibile inquinamento a scopo economico che spesso costringe a riadattare la creatività sfrondandone essenza e sostanza iniziali, depauperando, inoltre, scopi, passioni ed emozioni dell’autore e dei suoi protagonisti. In un contesto sociale come quello odierno, dove il desiderio di guadagno è diventato cardine, scopo e (cattiva) via maestra, Campisano, dunque, va dritto controcorrente afferendo con inarrestabile, genuino, sentimento, a una sorte di autonomia dell’arte che la sete di denaro ha provato, negli altri, a spegnere nel tempo, a volte riuscendo, altre meno e raramente per niente. E se ancora vi fosse poco chiaro, è di quest’ultima (coraggiosa) scelta che vi stiamo raccontando, perché “il suono vale più di cento parole”.
Concetto
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