alex2044
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domenica 2 dicembre 2018
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sorprendente , coinvolgente perfino epico
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Sorprendente ! Mi sono accostato a questo film con una certa titubanza e le prime scene sembravano confermare questa sensazione . Quello che avevo letto in sede di presentazion era tutto vero , un solo attore , praticamente una sola inquadratura , una sola location , con in più una sensazione di di claustrofobia non proprio esaltante . Poi, e sono bastati pochi minuti , l'attenzione ha incominciatoa lievitare . Con il susseguirsi delle telefonate , come una molla che si carica , una vera tensione emotiva mi ha preso . I protagonisti continuavano ad essere lui , il protagonista , un telefono e delle voci che si accavallavano , fornendo notizie sempre più contadittorie e concitate .
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Sorprendente ! Mi sono accostato a questo film con una certa titubanza e le prime scene sembravano confermare questa sensazione . Quello che avevo letto in sede di presentazion era tutto vero , un solo attore , praticamente una sola inquadratura , una sola location , con in più una sensazione di di claustrofobia non proprio esaltante . Poi, e sono bastati pochi minuti , l'attenzione ha incominciatoa lievitare . Con il susseguirsi delle telefonate , come una molla che si carica , una vera tensione emotiva mi ha preso . I protagonisti continuavano ad essere lui , il protagonista , un telefono e delle voci che si accavallavano , fornendo notizie sempre più contadittorie e concitate . L'unica variante il frammischiarsi di riferimenti personali del poliziotto telefonista , altrettanto dolorosi e con implicazioni penali . Che aggiungevano dolore e tensione ad una situazione già al culmine . La molla era ormai molta carica e pronta a rilasciare un finale alla pari con lo svolgimento del film . Infatti in un vorticoso incrocio di telefonate l'ultima parte esplode in una sequenza di colpi di scena che in pochi minuti ribaltano completamente tutte le impressioni e le certezze che si erano sedimentate fino ad allora .Un finale epico , per un film che sfiora il capolavoro e che scrive una pagina veramente nuova nella storia della fimografia . Niente da fare , il cinema si dimostra ancotra una volta un 'arte capace di rinnovare la sua storia e di rinnovarsi in continuazione e non solo tecnicamente ma soprattutto nei suoi contenuti . Dimostrando ancora una volta , una vitalità che lo renderà immortale .
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laura menesini
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domenica 2 dicembre 2018
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serpenti nella pancia
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Film incredibile, riesce a presentarti delle persone delle situazioni e un paese senza farti mai uscire da un grigio centralino telefonico della polizia. Il protagonista, unico e solo, è sempre inquadrato e spesso con macro riprese. L'uomo è stato travolto dal suo carattere irruento che gli ha fatto compiere un gesto inconsulto e per questo confinato al telefono in attesa del processo. Intorno c'è il vuoto, i colleghi dicono solo frasi di circostanza e la compagna se ne è andata. Solo un collega, un extracomunitario, gli è amico. Siamo in un paese dove la gente fa appello alla polizia anche per le cose più futili, ma all'improvviso arriva una telefonata, una telefonata strana, di una donna che parla come se si rivolgesse ad una bambina.
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Film incredibile, riesce a presentarti delle persone delle situazioni e un paese senza farti mai uscire da un grigio centralino telefonico della polizia. Il protagonista, unico e solo, è sempre inquadrato e spesso con macro riprese. L'uomo è stato travolto dal suo carattere irruento che gli ha fatto compiere un gesto inconsulto e per questo confinato al telefono in attesa del processo. Intorno c'è il vuoto, i colleghi dicono solo frasi di circostanza e la compagna se ne è andata. Solo un collega, un extracomunitario, gli è amico. Siamo in un paese dove la gente fa appello alla polizia anche per le cose più futili, ma all'improvviso arriva una telefonata, una telefonata strana, di una donna che parla come se si rivolgesse ad una bambina. Il poliziotto si allerta, capisce che c'è sotto qualcosa di strano e che la donna è stata rapita ed inizia un thriller in diretta che ti tiene col fiato sospeso. Una sceneggiatura meravigliosa e una prova attoriale splendida fanno di questo film un capolavoro.
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cinefoglio
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domenica 10 marzo 2019
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istantanea de il colpevole (den skyldige)
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Gustav Möller, dal cuore della capitale danese, ci regala un’ora e mezza di pura suspense poliziesca, in stile minimalista ed orientato alla suggestione interiore dello spettatore attraverso un processo di astrazione della storia.
Il film si costruisce come un one-room, one-character e real-time movie, che ricorda, almeno nell’idea registica, Buried (2010), 127 Ore (2010) o il più recente Mine (2016), con i colori ed un’estetica tipicamente nordica.
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Gustav Möller, dal cuore della capitale danese, ci regala un’ora e mezza di pura suspense poliziesca, in stile minimalista ed orientato alla suggestione interiore dello spettatore attraverso un processo di astrazione della storia.
Il film si costruisce come un one-room, one-character e real-time movie, che ricorda, almeno nell’idea registica, Buried (2010), 127 Ore (2010) o il più recente Mine (2016), con i colori ed un’estetica tipicamente nordica.
La vicenda segue, in modo pressoché contemporaneo, il caso dell’agente Asger, interpretato da un trasportante Jakob Cedergren, operatore di linea nella sezione di pronto intervento della polizia. Al terminare del suo turno di lavoro, a chiamare il 112 sarà la straziata Iben, che denuncia il proprio rapimento innescando, in questo modo, una corsa contro il tempo coordinata dallo stesso agente che mobilita tutte le forze necessarie per il suo riscatto.
La storia, in realtà, viene percepita unicamente dalla performance attoriale del protagonista che non lascia mai la sua cabina di lavoro ed intuita nel binomio delle deboli voci al telefono e delle reazioni, facciali e verbali, dell’agente danese.
Ad accompagnare l’evoluzione dell’inseguimento, sarà il tentativo autonomo di Asger (il cui stato emotivo risulta precario per l’attesa, l’indomani, di presentarsi davanti ad un giudice), nel risolvere il crimine in atto bypassando la procedura lenta e macchinosa del protocollo.
La pellicola ci regala uno spettacolo giallo poliziesco teso e vibrante nonostante l’adrenalina non sia generata da audaci scene d’azione o da un montaggio forsennato in cerca di estremo dinamismo. Il girato rimane concentrato unicamente su Asger che possiede sia il ruolo di protagonista ma anche quello di specchio sul quale la storia, in modo totalmente immaginato dallo spettatore, si articola e prende forma.
Un film di suspense diverso, privo di artefatti scenici o di effetti speciali che stimolino la suggestione, ma la presa di coscienza della reale situazione scava e spiazza completamente lo spettatore.
07/03/2019
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riccardo tavani
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giovedì 7 marzo 2019
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il marcio oltre il colpevole
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Cuffie e microfono telefonico. A fior di labbra, a fior d’orecchie, di cervello. A fior di sangue – freddo, trattenuto e incandescente, sparso – tra una casa, un raccordo autostradale e una centrale operativa di polizia. Una vicenda che ti afferra immediatamente dalle sinapsi cerebrali fino alle unghie dei piedi e non ti molla più – neanche e soprattutto nell’ultima scena. Un capolavoro di compattezza narrativa, densità ritmica e senso del dramma esistenziale umano: quello che esplode incontrollabile fuori e quello che implode lentamente dentro. Un minimalismo scenico d’interno che permette alla nostra immaginazione di squarciare un esterno percepito appena attraverso rumori, lacerti di voci, singulti interrotti dalla brusca interruzione della linea telefonica.
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Cuffie e microfono telefonico. A fior di labbra, a fior d’orecchie, di cervello. A fior di sangue – freddo, trattenuto e incandescente, sparso – tra una casa, un raccordo autostradale e una centrale operativa di polizia. Una vicenda che ti afferra immediatamente dalle sinapsi cerebrali fino alle unghie dei piedi e non ti molla più – neanche e soprattutto nell’ultima scena. Un capolavoro di compattezza narrativa, densità ritmica e senso del dramma esistenziale umano: quello che esplode incontrollabile fuori e quello che implode lentamente dentro. Un minimalismo scenico d’interno che permette alla nostra immaginazione di squarciare un esterno percepito appena attraverso rumori, lacerti di voci, singulti interrotti dalla brusca interruzione della linea telefonica.
È la geniale opera prima di un gruppo di ragazze e ragazzi danesi realizzata alla fine del loro corso di cinema. La regia è firmata da Gustav Möller, ma il film è davvero il frutto di questo creativo circolo virtuoso, coordinato dalla produttrice appena trentenne Lina Flint. Pochissima moneta finanziaria per allestire un set ma moltissimo capitale mentale per riempirlo di suspense, non solo e non tanto di genere cinematografico thriller, quanto di generalità umana abissale. Certamente la spesa maggiore deve essere stata quella per l’attore protagonista Jakob Cedegrem, molto noto in Danimarca, ma quasi sconosciuto da noi. È proprio attraverso il suo personaggio, quello dell’introverso, controverso poliziotto Asger Holm che lentamente ma inesorabilmente arriviamo a scavare in nel marcioumano chiuso, serrato più che spalancato.C’è del marcio in Danimarca, ebbe a sentenziare il principe Amleto dal Castello di Helsingør, proprio lì a nella periferia di Copenaghen, dove si svolge la tragedia esteriore.
Di cosa ci sta dunque parlando l’amletico isolamento rappresentato da un telefono nel chiuso di una stanza, di una stazione di polizia rispetto a tutto il vasto, capillare, inafferrabile dramma che si svolge là fuori? L’isolamento dell’operatore telefonico in divisa non è solo spaziale e caratteriale, ma soprattutto ambientale. I colleghi non lo apprezzano, il vicino di postazione lo disprezza apertamente, il suo capo gli intima ruvidamente via telefono di attenersi strettamente al regolamento, ai compiti e all’orario del turno assegnatogli. Ossia di sgombrare il prima possibile la centrale dalla sua presenza. Smettendo di seguire anche la scabrosa vicenda in atto che lui sta cercando di risolvere sul filo minuti che passano.
L’agente Holm viene dunque a rappresentare proprio quella generale condizione umana che isola la terra, ossia l’insieme totale della realtà, che non è solo quella che noi direttamente percepiamo o che ci è testimoniata, attestata dalla scienza e dalla cultura. Ciò che è oltre, che travalica la nostra parete mentale è una inseparabile totalità universale che agisce in noi anche se non noi la neghiamo solo perché non la vediamo, tocchiamo, pensiamo. Il vero male lacerante, l’autentica folle tragedia è tale isolamento cui la nostra aberrazione ottico-mentale costringe la terra che abitiamo. E così solo l’improvviso disvelamento della connessione tra marcio interiore e sua proiezione esteriore ci potrebbe offrire una via ardua ma non illusoria di riscatto. Il vero thriller si svolge proprio sulla linea incerta, disturbata di questa possibilità oltre il marcio e la follia di un colpevole dietro il telefono.
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loland10
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mercoledì 20 marzo 2019
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il filo e i tempi...
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“The Guilty. Il Colpevole” (The Guilty, 2018) è il primo lungometraggio del regista di Goteborg Gustav Möller.
Buio, un trillo che continua, una voce, una risposta, un volto.
Una stanza, una attigua e un corridoio, un solo personaggio qualche raro scambio con altri. La voce e il filo dove scorre la tensione, una vita che freme e delle vite che sentiamo e di cui conosciamo nulla o quasi. Da un trascorso passato, a un trascorrere presente e, forse, a un domani che ha dire molto (per molti e per un colpevole).
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“The Guilty. Il Colpevole” (The Guilty, 2018) è il primo lungometraggio del regista di Goteborg Gustav Möller.
Buio, un trillo che continua, una voce, una risposta, un volto.
Una stanza, una attigua e un corridoio, un solo personaggio qualche raro scambio con altri. La voce e il filo dove scorre la tensione, una vita che freme e delle vite che sentiamo e di cui conosciamo nulla o quasi. Da un trascorso passato, a un trascorrere presente e, forse, a un domani che ha dire molto (per molti e per un colpevole). Ma ‘il colpevole’ è in voce e in voce reclama, risponde e domanda. Unica voce difforme è una bambina che sente vicina ogni situazione.
Tutto in ottantacinque minuti.
Asger Holm è un poliziotto degradato dagli avvenimenti; si trova a rispondere all’emergenza del 112 insieme ad altri colleghi oramai lontani dai luoghi reali. La sua vita e il suo passato vanno di pari passo a quello che succede al di fuori. Un intervento in diretta di avvenimenti. Parole e coscienza, una morale sulle cose finché gli avvenimenti soverchiano un destino che sembra disegnato.
Un’asciuttezza di movimenti, di luoghi e viene da dire anche da inquadrature. Un monologo giocato con le voci contrapposte che arrivano, che si nascondono, fiutano la storia e arrivano grondanti sul volto più o meno teso del poliziotto,
Ecco che ‘il colpevole’ appare un titolo che suscita dubbi fin dalle prime battute. Dov’è Il colpevole? Fuori dalla stanza, dentro le voci, nel racconto di un avvenimento o dietro ogni dramma.
In questo snocciolarsi di telefonate e di ansie, si cela sempre un trascorso di ognuno. E anche chi inquadra la storia ne ha uno. Un processo-indagine in diretta: senza frazioni di tempo Asger si trova tra un testimone che aspetta il giorno dopo, una donna che pare impazzita e un uomo che soccorre la narrazione di una famiglia spezzata. C’è da salvare una voce che chiede aiuto. Il movimento a incastro tra filo, ascolto, rumori e sbalzi ossimori di silenzi è accattivante. Una ‘finestra’ sulle emergenze ‘vitali’.
La suspense regge, non sempre alta, una volta che il meccanismo pare chiaro pensi al colpo di scena di quello che succede dall’altra parte che non vedi mai.
La fantasia, l’orrore, il sequestro, gli altri volto non ci sono, scompaiono tra le mani e le labbra in movimento del poliziotto del 112.
Bambina e bambino. Padre e madre. Poliziotto e telefono. Un’autostrada e un viaggio. Controlli e altri controlli. Le telefonate si succedono una dietro l’altra. Le pause sono di numeri, memorie, tic, segreterie e verità che non ci sono.
Un film dove non c’è nulla, solo la voce e la fantasia singola del fuori-campo
Il colpo ‘a sorpresa’ (per così dire) arriva, quasi, fuori onda e prevedibile per lo spettatore (e forse meno) per il poliziotto che suda per la sua incolumità psicologica stando seduto.
Sbagliato il tempo o stringente il modo per un finale doppio tra reale oltre il filo e reale interiore che non sappiamo fino in fondo. Il corso degli avvenimenti corre doppio tra il proprio destino e quello di una bambina che rivuole sua madre. Ecco che tra un fratellino che non senti e una madre che non nomina mai direttamente la figlia, il solco è scavato, come tra un padre e la sua prigione familiare.
Il processo deve iniziare domani e la testimonianza è fondamentale ma Asger.....non trova pace dentro un corpo lacerato da avvenimenti convulsi e da un episodio personale che non lascia scampo al suo stato. La sua vita appesa oltre al filo, una famiglia implosa e interventi che si attendono.
Jakob Cedergren ( Asger Holm) regge lo stare da solo in scena con giusta intensità. Un volto che ha qualcosa di ‘polanskiano’ (chi sa se il regista polacco-francese ha visto e apprezzato questo film…).
Regia inerme, attaccata e dietro ogni parola, minimalista e destrutturata (per un trentenne una pellicola che potrebbe indicare un percorso…).
Voto:7+/10 (***½).
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lucio di loreto
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domenica 22 settembre 2019
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adrenalina al telefono
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Dal Nord Europa arriva un film speciale, non originale e nuovo, ma assolutamente particolare e di cui si aveva bisogno! Claustrofobia allo stato puro in 86 minuti di noir tradizionale, action thriller e dramma introspettivo, girato, diretto e sceneggiato perfettamente in tre metri dentro una centrale operativa di polizia, dove telefonicamente si ricevono le chiamate d’emergenza, pronte poi ad essere rimandate agli agenti su strada, allertati ad intervenire. Dalla Danimarca Gustav Moller compie il proprio highlight, rifacendosi a “La vita corre sul filo” di Sidney Pollack ma anche ai recenti “Buried-Sepolto” o “Locke” di Rodrigo Cortes e Steven Knight, dirigendo e scrivendo degli esemplari dialoghi per ogni interprete, visibile e non.
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Dal Nord Europa arriva un film speciale, non originale e nuovo, ma assolutamente particolare e di cui si aveva bisogno! Claustrofobia allo stato puro in 86 minuti di noir tradizionale, action thriller e dramma introspettivo, girato, diretto e sceneggiato perfettamente in tre metri dentro una centrale operativa di polizia, dove telefonicamente si ricevono le chiamate d’emergenza, pronte poi ad essere rimandate agli agenti su strada, allertati ad intervenire. Dalla Danimarca Gustav Moller compie il proprio highlight, rifacendosi a “La vita corre sul filo” di Sidney Pollack ma anche ai recenti “Buried-Sepolto” o “Locke” di Rodrigo Cortes e Steven Knight, dirigendo e scrivendo degli esemplari dialoghi per ogni interprete, visibile e non. La recente vocazione scandinava verso l’azione nera e adrenalinica si arricchisce perciò di un altro tassello! Anche qui, come Sidney Poitier, Ryan Reynolds e Tom Hardy, il protagonista – un ispirato Jacob Cedegren – riesce a trasmettere l’agitazione giusta per l’intera durata della pellicola. A differenza dei predecessori però, l’attore svedese/danese ha compiti ben più ardui, che porta a compimento in modo lodevole ed encomiabile. Il suo agente Asger Holm infatti, come avverte il titolo, è un colpevole, di cosa ancora non si da a sapere, e l’atteggiamento diffidente dei nuovi e numerosi anziani colleghi, appartati e ridimensionati al centralino per il pre-pensionamento, e quelli ai quali passa le telefonate, dimostra una diffidenza generalizzata verso di lui. Il suo compito dunque, oltre a svolgere con dovizia il novello lavoro, cercando di salvare una donna in fuga col proprio rapitore e i suoi due bimbi in pericolo rimasti soli, è quello di riconquistare dignità e fiducia oltre che verso di loro, soprattutto nei confronti del proprio animo, oramai frustrato e depresso. La traccia narrativa, come detto non originalissima, prende efficacemente il giusto da incollarti alla sedia. Gli ambienti minimi e il racconto narrato simultaneamente agli eventi, i pochi piani e frame speciali – come il nervoso scricchiolio del dito sulla scrivania o il sudore che goccia durante le trattative – sono piccole sequenze che alimentano al massimo la tensione! La scrittura della scena, unica per tutta la durata, possiede inoltre i due mantra principi per ogni lungometraggio drama d’azione: cedere al pubblico il potere di sentirsi oppresso al pari del protagonista e far trasparire ogni decisione di quest’ultimo come specchio della propria coscienza. Il copione è altresì ottimo, e Cedegren se ne impossessa con impegno e dovizia, facendo accrescere la tensione necessaria nel momento in cui si appassiona, anche oltre i suoi reali poteri, a dirigere le operazioni di caccia verso il furgone bianco, ma pure a far emergere le enormi ferite del suo personaggio, allorquando il drammatico dubbio su chi sia la reale vittima tra rapita e rapitore, lo assale ferocemente! E’ però grazie a questa abnorme incertezza che riesce a redimersi, salvare un’anima altrui, riconquistare la stima del vicino e prepararsi dignitosamente al giudizio che lo investirà il giorno seguente! Moller ci restituisce ciò che non molti sanno più fare con costanza, accontentandosi di scenografie e tecnologie mastodontiche tuttavia prive di calore e passione: raccontare con piccoli particolari un panorama vasto e corpulento!
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