duccio
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lunedì 12 aprile 2021
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un buco nero di film - 2
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II parte
Mi vengono in mente altre incongruenze di sceneggiatura per non dire di montaggio. Come mai ad un certo punto li vediamo allacciarsi le cinture per il passaggio nel buco nero per poi ritrovarli un secondo dopo normalmente in giro per i corridoi senza che si sia capito se sono passati o no ? (Evidentemente no). Ce ne sono tante altre di assurdità, anche senza entrare nel merito della ridicola stanza del piacere da cui percolano fuori liquidi irreali. Ma la perla, anzi le perle stanno nel finale. Dunque, fatemi capire, una volta morti tutti Monte si trova con risorse, prodotti alimentari e sanitari scarsissimi, a crescere una ragazzina di 14 anni, come se nulla fosse.
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II parte
Mi vengono in mente altre incongruenze di sceneggiatura per non dire di montaggio. Come mai ad un certo punto li vediamo allacciarsi le cinture per il passaggio nel buco nero per poi ritrovarli un secondo dopo normalmente in giro per i corridoi senza che si sia capito se sono passati o no ? (Evidentemente no). Ce ne sono tante altre di assurdità, anche senza entrare nel merito della ridicola stanza del piacere da cui percolano fuori liquidi irreali. Ma la perla, anzi le perle stanno nel finale. Dunque, fatemi capire, una volta morti tutti Monte si trova con risorse, prodotti alimentari e sanitari scarsissimi, a crescere una ragazzina di 14 anni, come se nulla fosse. E questa sembra assolutamente normale, cresciuta terrestre in tutto e per tutto, dopo aver vissuto relegata in un buco sporco nel vuoto avendo conosciuto solo il padre e poche immagini sempre più deteriorate che arrivano dalla terra (ha già, le immagini arrivano e i messaggi no…) senza libri o altra formazione specifica per non parlare di una sana struttura fisica. A questo punto incontrano una seconda nave (che arriva precisa dove sono già loro) che ad una frettolosa indagine Monte scopre essere piena solo di cani...nonostante poco prima abbia estratto anch’essa un corridoio di passaggio. I wtf anche qui basterebbero per scrivere un saggio (non indaga oltre? Non cerca tracce umane? Non ha bisogno di altri strumenti, attrezzi, medicine, cibo dopo 20 anni di isolamento? Ecc.) ma lasciamo perdere. Dopo questo inutile incontro i due decidono ovviamente di buttarsi nel buco nero, dopo che l’altra navetta si era sfracellata, dicendosi però che andrà tutto bene. Un film così irritante non poteva che avere una finale altrettanto irritante, infatti , da grande intellettuale, la regista non prende impegni e con un paio di luci alla 2001 se la cava lasciandoci tutti con un palmo di naso. Se Nolan ci aveva incasinato il cervello chiedendoci qualche sforzo di meningi, richiedendo anche una seconda visione del suo Interstellar, almeno ci aveva provato a dare un senso, rischiando. Questa fa la superiore e ci saluta con una pagina bianca. Inaccettabile.
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carloalberto
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domenica 27 dicembre 2020
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un parto travagliato
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Claire Denis tenta, non riuscendovi, di imitare, pur innovando, due classici della fantascienza del passato e del presente ed anzi si può dire che, come la protagonista del suo film, crei in provetta un ibrido, frutto artificioso del connubio impossibile di 2001:Odissea nello spazio ed Interstellar, ma del primo non ha la forza icastica, visionaria e suggestiva dell’immaginifico Kubrick e del secondo gli manca la complessità del plot incentrato sul rapporto drammatico padre-figlia.
Il parto travagliato dà vita a un’opera claustrofobica, cupa, senza un senso logico dall’inizio alla fine con un soggetto, pretenziosamente originale, che naufraga in una sceneggiatura incongruente, fatta di scarni dialoghi e personaggi stereotipati, in cui gli spazi vuoti e siderali, in cui viaggia similmente il container astronave, sono riempiti forzosamente con le morbose inquadrature delle masturbazioni meccaniche della Binoche e con il pianto ininterrotto della neonata, che catalizza da subito l’attenzione guadagnando il centro della scena con estrema facilità, grazie all’assenza, senza colpe, di un cast, in cui anche Mia Goth avrebbe meritato un personaggio più complesso, ridotto all’automazione e dal quale emerge, giocoforza, l’unico personaggio, non semplicemente abbozzato come gli altri, il Pattinson, ex vampiro della saga dei Twilight, col suo volto di bel tenebroso perennemente imbronciato.
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Claire Denis tenta, non riuscendovi, di imitare, pur innovando, due classici della fantascienza del passato e del presente ed anzi si può dire che, come la protagonista del suo film, crei in provetta un ibrido, frutto artificioso del connubio impossibile di 2001:Odissea nello spazio ed Interstellar, ma del primo non ha la forza icastica, visionaria e suggestiva dell’immaginifico Kubrick e del secondo gli manca la complessità del plot incentrato sul rapporto drammatico padre-figlia.
Il parto travagliato dà vita a un’opera claustrofobica, cupa, senza un senso logico dall’inizio alla fine con un soggetto, pretenziosamente originale, che naufraga in una sceneggiatura incongruente, fatta di scarni dialoghi e personaggi stereotipati, in cui gli spazi vuoti e siderali, in cui viaggia similmente il container astronave, sono riempiti forzosamente con le morbose inquadrature delle masturbazioni meccaniche della Binoche e con il pianto ininterrotto della neonata, che catalizza da subito l’attenzione guadagnando il centro della scena con estrema facilità, grazie all’assenza, senza colpe, di un cast, in cui anche Mia Goth avrebbe meritato un personaggio più complesso, ridotto all’automazione e dal quale emerge, giocoforza, l’unico personaggio, non semplicemente abbozzato come gli altri, il Pattinson, ex vampiro della saga dei Twilight, col suo volto di bel tenebroso perennemente imbronciato.
La lentezza spasmodica delle sequenze, le tante lacune del soggetto, che qualche sparuto flashback non riesce a colmare, la ricercata cripticità di alcune scene, come quella dell’astronave che sopraggiunge dalla terra piena di cani, lasciate alla libera interpretazione dello spettatore, sono a stento compensati dalla performance attoriale dei due protagonisti e dalla tenerezza della più giovane attrice del cast e senz’altro la migliore, ossia la bimba.
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duccio
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lunedì 12 aprile 2021
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un vero buco nero di film...
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Da dove cominciare…? Cominciamo dai critici. I critici che mettono subito le mani avanti prendendosela con i gli esperti di fantascienza che si potrebbero inalberare per le incongruità tecnico scientifiche del film. Intendiamoci subito, la “sospensione della credulità” non è un sofismo da nerd. Se non funziona infatti fa crollare tutto il castello. Meglio avrebbe fatto la regista ad ambientarlo in un manicomio criminale in una specie di dopobomba piuttosto che nello spazio. Le incongruenze sono tali che rendono inesistente anche tutto il castello filosofico e psicologico che sarebbe stato nelle sue intenzioni. Dimentichiamoci pure del martello che cade a picco, dei cadaveri lasciati fuori il portello che piombano in verticale (per poi ritrovarli un secondo dopo fluttuare nel vuoto), di questa gravità interna all’astronave (assai piccola peraltro) molto tirata via, del fatto che non si capisce cosa mangino, dell’assurdità di un transistor rilevatore di segni vitali da inviare alla terra quando dalla terra tanto non possono rifarsi vivi ( e perché loro possono scrivere alla terra?), di questa velocità a 99 % della luce che crea distorsioni solo quando fa comodo, dimentichiamoci pure dell’ambientazione che sembra più un corridoio di una palestra, di portelli e strumentazioni degne di Plan 9 from Outer Space, tratteniamo il riso sulla strumentazione medica (?) in dotazione, fra cui si nota anche un macinapepe (ebbene si), sui tristi apparecchi appesi ai muri per dare l’aria di astronave, che ricordano invece più lo scantinato di un condominio.
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Da dove cominciare…? Cominciamo dai critici. I critici che mettono subito le mani avanti prendendosela con i gli esperti di fantascienza che si potrebbero inalberare per le incongruità tecnico scientifiche del film. Intendiamoci subito, la “sospensione della credulità” non è un sofismo da nerd. Se non funziona infatti fa crollare tutto il castello. Meglio avrebbe fatto la regista ad ambientarlo in un manicomio criminale in una specie di dopobomba piuttosto che nello spazio. Le incongruenze sono tali che rendono inesistente anche tutto il castello filosofico e psicologico che sarebbe stato nelle sue intenzioni. Dimentichiamoci pure del martello che cade a picco, dei cadaveri lasciati fuori il portello che piombano in verticale (per poi ritrovarli un secondo dopo fluttuare nel vuoto), di questa gravità interna all’astronave (assai piccola peraltro) molto tirata via, del fatto che non si capisce cosa mangino, dell’assurdità di un transistor rilevatore di segni vitali da inviare alla terra quando dalla terra tanto non possono rifarsi vivi ( e perché loro possono scrivere alla terra?), di questa velocità a 99 % della luce che crea distorsioni solo quando fa comodo, dimentichiamoci pure dell’ambientazione che sembra più un corridoio di una palestra, di portelli e strumentazioni degne di Plan 9 from Outer Space, tratteniamo il riso sulla strumentazione medica (?) in dotazione, fra cui si nota anche un macinapepe (ebbene si), sui tristi apparecchi appesi ai muri per dare l’aria di astronave, che ricordano invece più lo scantinato di un condominio. Evitiamo di mostrare pietà per le “navette” che sembrano fatte di cartone e per i caschi delle tute che dietro hanno solo un coprinuca di stoffa…Si, siamo buoni, facciamo finta di niente. Ma non possiamo ignorare le spaventose voragini della sceneggiatura. I wtf straripano per tutto il film. Andiamo con ordine. Non si capisce come mai si siano mandati per una missione tanto importante degli ergastolani e dei tossici all’ultimo stadio e non degli astronauti volontari, ben sapendo che molto presto, non essendo allenati, si ammazzerebbero dopo una settimana tra di loro. Inoltre chi comanda la spedizione? La dottoressa? E con quali strumenti di coercizione? Una pillola da far prendere per cortesia? Visto poi quanto è odiata sarebbe durata meno di un gatto in autostrada…E come è possibile che questi disadattati sappiano pilotare delle navette? (o anche coltivare un orto?). Non vi è poi alcuna chiarezza sugli esperimenti genetici della dottoressa e non si capisce se i feti vengano prelevati prima della nascita naturale (e con che mezzi? Con il macina pepe in dotazione?). Anche l’analisi sociale del gruppo è assolutamente ridicola e tirata via. Secondo la mentalità molto ristretta della signora Denis quindi l’unico rapporto sessuale che avviene è solo un tentativo di stupro? Nessuna delle donne presenti ha necessità fisiche o si innamora dei maschi? In un ambiente ristretto e dopo anni di convivenza tutto ciò non è credibile (sempre che, come detto sopra, non si siano già massacrati al secondo mese di viaggio…). Il nostro silenzioso “eroe”, la cui espressività ricorda quella di una saponetta (cara la mia regista, non è che cinque minuti di inquadratura fissa su uno che sta zitto e guarda il muro fanno Bergman) ha un comportamento poco credibile per tutta la storia, per non parlare del finale, ma ci arriviamo tra poco. Di tutti gli altri personaggi non si capiscono i sentimenti, le vicende e di alcuni che fine facciano: l’uomo di colore si addormenta nell’orto? L’ultima ragazza, quella che poi prende la pala usata da Boyse per uccidere la supertossica pilota e prendere il suo posto (per far cosa?), scompare mentre sale una scaletta. Mi vengono in mente altre incongruenze di sceneggiatura per non dire di montaggio. Come mai ad un certo punto li vediamo allacciarsi le cinture per il passaggio nel buco nero (ma non tutti però…) per poi ritrovarli un secondo dopo tutti normalmente in giro per i corridoi senza che si sia capito se sono passati o no? (Evidentemente no). Ce ne sono tante altre di assurdità, anche senza entrare nel merito della ridicola stanza del piacere da cui percolano fuori liquidi irreali. Ma basta, ce n’è a sufficienza per mandare tutto a quel paese. Ma la perla, anzi le perle stanno nel finale. Dunque, fatemi capire, una volta morti tutti, l’ex vampirello Pattison si trova con risorse, prodotti alimentari e sanitari scarsissimi a crescere una ragazzina di 14 anni, come se fosse nulla. E questa sembra assolutamente normale, cresciuta terrestre in tutto e per tutto, dopo aver vissuto relegata in un buco sporco nel vuoto avendo conosciuto solo il padre e poche immagini sempre più deteriorate che arrivano dalla terra (ha già, le immagini arrivano e i messaggi no…) senza libri o altra formazione specifica per non parlare della struttura fisica. A questo punto incontrano una seconda nave (che arriva precisa dove sono già loro) che ad una frettolosa indagine Monte scopre essere piena solo di cani...nonostante poco prima abbia estratto anch’essa un corridoio di passaggio. I wtf anche qui basterebbero per scrivere un saggio (non indaga oltre? Non cerca tracce umane? Non ha bisogno di altri strumenti, attrezzi, medicine, cibo dopo 20 anni di isolamento? Ecc.) ma lasciamo perdere. Dopo questo inutile incontro i due decidono ovviamente di buttarsi nel buco nero, dopo che l’altra navetta si era sfracellata, dicendosi però che andrà tutto bene. Un film così irritante non poteva che avere una finale altrettanto irritante, infatti , da grande intellettuale, la regista non prende impegni e con un paio di luci alla" 2001 Odissea nello spazio" se la cava lasciandoci tutti con un palmo di naso. Se Nolan ci aveva incasinato il cervello chiedendoci qualche sforzo di meningi, richiedendo anche una seconda visione del suo Interstellar, almeno ci aveva provato a dare un senso, rischiando. Questa fa la superiore e ci saluta con una pagina bianca. Ma via via…
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gianleo67
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mercoledì 22 aprile 2020
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low life, high gravity
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Il viaggio interstellare di un equipaggio di galeotti ha il duplice obiettivo di testare innovative tecniche di riproduzione assistita e raggiungere il buco nero più vicino da utilizzare come possibile sorgente energetica. Dopo la prematura scomparsa di tutti gli altri passeggeri, il giovane Monte rimane da solo ad allevare la figlioletta Willow, con la sola prospettiva dell'oscuro destino che li attende nelle prossimità dell'ormai incombente orizzonte degli eventi. L'inesauribile curiosità dell'autrice francese Claire Denis per la proteiforme complessità della natura umana, risolta molto spesso con l'incursione nelle regioni inesplorate della psiche come in quelle altrettanto liminari a cavallo tra cultura e istinto, si arricchisce del un nuovo tassello di una speculazione antropologica che proietta conflitti sociali e problemi etici molto al di là dell'orbita terrestre, relegando i reietti di un innovativo esperimento carcerario nella galera di una deriva cosmica in cui la retroazione negativa di controllo sui reclusi è affidata all'obbligo di costanti rapporti da rilasciare al computer di bordo e la continuità della specie in costanza degli obiettivi da perseguire alla variabilità delle ricombinazioni genetiche che garantiscano una prole resistente alle radiazioni ionizzanti dell'ambiente spaziale.
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Il viaggio interstellare di un equipaggio di galeotti ha il duplice obiettivo di testare innovative tecniche di riproduzione assistita e raggiungere il buco nero più vicino da utilizzare come possibile sorgente energetica. Dopo la prematura scomparsa di tutti gli altri passeggeri, il giovane Monte rimane da solo ad allevare la figlioletta Willow, con la sola prospettiva dell'oscuro destino che li attende nelle prossimità dell'ormai incombente orizzonte degli eventi. L'inesauribile curiosità dell'autrice francese Claire Denis per la proteiforme complessità della natura umana, risolta molto spesso con l'incursione nelle regioni inesplorate della psiche come in quelle altrettanto liminari a cavallo tra cultura e istinto, si arricchisce del un nuovo tassello di una speculazione antropologica che proietta conflitti sociali e problemi etici molto al di là dell'orbita terrestre, relegando i reietti di un innovativo esperimento carcerario nella galera di una deriva cosmica in cui la retroazione negativa di controllo sui reclusi è affidata all'obbligo di costanti rapporti da rilasciare al computer di bordo e la continuità della specie in costanza degli obiettivi da perseguire alla variabilità delle ricombinazioni genetiche che garantiscano una prole resistente alle radiazioni ionizzanti dell'ambiente spaziale. Come spesso succede nelle sue opere, anche qui la plurarità di tematiche spesso contradditorie trova la sintesi di una efficace integrazione tra aspetti sociali e dilemmi etici in un meccanismo claustrofobico concepito come un vero e proprio esperimento multidisciplinare; la regola di un contrappasso in cui diversi sociopatici sono costretti a convivere per un lungo viaggio interstellare senza ritorno, confidando nel vantaggio di una reciproca sopravvivenza e nell'obbligo di una mansione di servizio strettamente connessa alla natura delle rispettive colpe: una ginecologa-Medea alle prese con la riproduzione assistita, un ex assassino-bambino costretto ad allevare una figlia frutto di un doppio stupro (il suo e quello di un'altra galeotta), una aviatrice rea di chissà quali misfatti destinata alla spaghettificazione gravitazionale nel sorvolo di un buco nero, e così via di seguito. Insomma le provocatorie e sconcertanti frontiere di una tale e postmoderna deiezione classista, secondo la Denis, consistono in questa umanità in barattolo (in realtà si tratterebbe di più missioni spedite in successione e con equipaggi diversi verso la stessa destinazione) messa in condizioni estreme, privata del piacere (il sesso è autonomo ed esclusivamente riproduttivo, mentre per altro c'è una cronemberghiana fuck-box) e della speranza, costretta a dare prova della spaventosa resilienza cui anche la frazione meno nobile della stirpe umana sarebbe capace. Dall'interno all'esterno poi, in un continuo rimando simbolico, perfino l'ipnotica inflorescenza di paesaggi astrali, tra ammassi globulari impenetrabili come ovuli e nubi molecolari giganti che si aprono come vagine di altrettante nursery cosmiche, evocano la circolarità di un processo evolutivo e ciclico che sembra dominare la logica di un universo comunque destinato ad accogliere la vita. Se le intenzioni ciniche e disumane di un siffatto esperimento rimangono costantemente fuori quadro e lontane ormai decine di anni luce, è chiaro che il processo sembra distillare strada facendo le diverse frazioni della natura umana, tra la perversione onanistica del piacere sessuale, la brutale regolazione dei rapporti di potere, l'istinto protettivo nei legami di sangue e perfino l'inevitabile conflittualità tra la cultura dei tabù e le naturali tentazioni dell'attrazione incestuosa; tra la discontinuità rappresentata dall'individualità esasperata di esseri disperati ed una continuità rappresentata soltanto dalla morte o dall'amore, sembra essere quest'ultimo il solo valore nell'orizzonte semantico del film cha l'autrice pare perseguire, un sasso di speranza lanciato a velocità relativistiche verso un orizzonte degli eventi che non raggiungeranno mai (nella performance scenografica dell'artista Ólafur Eliasson); l'eterna persistenza del più nobile tra i sentimenti nell'ergosfera di una singolarità in cui si sublima quanto di meglio possa essere nato da quanto di peggio la razza umana potesse spedire da quelle parti. E dire che le veementi rismostranze alla natura ambigua e provocatoria del film in occasione della prima al Toronto International Film Festival 2018 ci avevano come sempre fatto pensare al peggio.
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ashtray_bliss
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domenica 9 giugno 2019
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high life: perdizione e speranza dell'umanità.
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Il primo film anglofono di Claire Denis si presenta come un'opera dall'atmosfera suggestiva, ipnotica a tratti mistagogica e densa di riferimenti filosofici sulla natura dell'uomo ma, tuttavia, alla fine di questo viaggio interstellare gli interrogativi che si sono accomulati restano volutamente irrisolti lasciando ampio spazio all'interpretazione personale e rischiando di deludere chi si aspetta delle risposte concrete e definitive. Di conseguenza però tali elementi accrescono il fascino di questa pellicola soffocante e conturbante.
High Life è un'opera che rifugge dai generi prestabiliti e canonici eppure risulta saldamente ancorata nella fantascienza più pura che si presta meglio di qualsiasi altro genere cinematografico a digressioni filosofiche sulla natura dell'uomo ponendo interrogativi atavici riguardo il destino dell'umanità e il senso della nostra intera esistenza.
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Il primo film anglofono di Claire Denis si presenta come un'opera dall'atmosfera suggestiva, ipnotica a tratti mistagogica e densa di riferimenti filosofici sulla natura dell'uomo ma, tuttavia, alla fine di questo viaggio interstellare gli interrogativi che si sono accomulati restano volutamente irrisolti lasciando ampio spazio all'interpretazione personale e rischiando di deludere chi si aspetta delle risposte concrete e definitive. Di conseguenza però tali elementi accrescono il fascino di questa pellicola soffocante e conturbante.
High Life è un'opera che rifugge dai generi prestabiliti e canonici eppure risulta saldamente ancorata nella fantascienza più pura che si presta meglio di qualsiasi altro genere cinematografico a digressioni filosofiche sulla natura dell'uomo ponendo interrogativi atavici riguardo il destino dell'umanità e il senso della nostra intera esistenza. Le questioni esistenzialiste non sono però l'unico aspetto che intriga Denis in questo claustrofobico e irreversibile viaggio ai confini dell'universo, volto all'esplorazione di nuovi orizzonti e al raggiungimento di nuovi mondi, o forse semplicemente di nuove dimensioni a noi sconosciute, per salvare l'umanità dall'era interminabile del Kali Yuga che viene sapientemente menzionato. In realtà la regista francese riesce a mettere in scena un racconto conturbante e suggestivo che esplora le pulsioni e i desideri sessuali delle persone, evidenziando le dinamiche e i meccanismi che si attivano negli individui quando essi devono affrontare condizioni di sopravvivenza estreme, come la convivenza forzata all'interno di una navicella programmata per continuare il suo eterno viaggio nell'oscurità cosmica più assoluta e insondabile, affrontando questioni come la l'isolamento, la solitudine, la convivenza col proprio passato, la morte e l'avvicinamento all'ignoto, rappresentato da un buco nero che assumerà una precisa funzione narrativa nel finale.
E questa oscura e pessimista metafora sull'umanità decadente e condannata a soccombere alle sue pulsioni primordiali, tra cui sesso e violenza, che deve per forza sopravvivere a migliaia di anni luce dalla Terra, viene messa in scena in modo decisamente originale e spiazzante: un uomo e una neonata da soli, a bordo di una navicella spaziale senza possibilità di ritorno. Due anime alla deriva, con limitate risorse e dal destino segnato che devono andare contro ogni probabilità di sopravvivenza e resistere. Un faro di vita e salvezza nel mezzo del vuoto cosmico, del silenzio più assoluto e assordante che come naufraghi spaziali continuano in questo irreversibile viaggio verso l'infinito, la morte o forse verso una nuova vita oltre il buco nero verso il quale sono diretti e che li inghiottirebbe comunque. Monte (Pattinson) e Willow sono gli unici ospiti a bordo ma non sono sempre stati soli e attraverso flashback su piani temporali differenti veniamo a scoprire l'origine della missione, i motivi della scomparsa del resto dell'equipaggio e il perchè furono scelti per una missione di sola andata nello spazio. Tutti condannati a morte che hanno deliberatamente scelto di partecipare a un esperimento inquietante, quello di vagare in eterno per una missione il cui scopo era trovare fonti energetiche alternative, al di fuori del nostro sistema solare, per salvare la Terra dall'incombente catastrofe. Ma questo non è che un pretesto, una cinica metafora su quello che potrebbe essere il destino riservato agli ultimi, ai relitti umani, agli scarti di una società che non ha più la voglia o la forza per mantenere dei criminali, e che se ne disfa senza remore o pentimenti come le cavie da laboratorio. Ex ergastolani che devono affrontare un ergastolo più lento e perverso e che esattamente come gli animali (in questo caso i cani) sono le prime vittime sacrificali di un sistema logorato e moribondo, un sistema sull'orlo del collasso che non è più in grado di riconoscere i diritti umani (e animali) e il loro valore universale e trasversale.
Ma sulla navicella avrà inizio un nuovo tipo di tormento, poichè la dott. Dibbs (Binoche), una sorta di capo di questo gruppo di disperati, ossessionata dall'idea di creare la vita nello spazio, conduce esperimenti di riproduzione raccogliendo il seme maschile e inseminandolo artificialmente nelle ragazze.Tutti partecipano meccanicamente agli esperimenti e nessuno a il potere necessario per ribellarsi. Ma le scarse condizioni atmosferiche e le radiazioni cosmiche rendono difficile sia il concepimento che la sopravvivenza del neonato, senza tuttavia che questi fatti facciano desistere Dibbs dal suo intento. Tant'è che un giorno l'esperimento ha esito positivo; Willow nasce da una violenza sia nei confronti di Monte che di Boyse (Goth), la madre che viene costretta contro la sua volontà a portare la gravidanza a termine ma la sua nascita scatenerà una serie di catastrofiche reazioni a catena. Ma questa piccola e indifesa creatura rappresenta la bellezza, l'innocenza, la meraviglia di una nuova vita nata contro ogni aspettativa e probabilità rappresentando l'ancora di salvezza per Monte. Tuttavia, in un crescendo di violenza (sessuale e fisica), attacchi di rabbia, malattie incurabili (come la leucemia), la sanità mentale e la resistenza morale dell'equipaggio forzato a vivere negli angusti spazi della navicella n.7 e a condividere speranze e paure inizia a vacillare e le sorti sembrano segnate.
L'unico a resistere senza cedere alle pulsioni primordiali e insite nell'essere umano è proprio Monte, ma la sua resistenza è contemporaneamente una benedizione e una condanna. Ed ora Monte non ha altra scelta se non quella di affrontare un ruolo inedito, una missione completamente nuova per lui e per la quale si trova impreparato: crescere un figlio, nel mezzo del nulla, garantendogli amore e protezione mentre il moto inarrestabile della navicella procede verso l'infinito e l'ignoto. Condannando se stesso e sopratutto Willow ad una esistenza confinata (letteralmente) nello spazio e nel tempo, costretta ad un isolamento innaturale dal resto del mondo e affrontando le implicazioni e conseguenze di questa reclusione, della mancata crescita psicoemotiva della ragazzina. L'ultima possibilità rimasta, dunque, per loro è quella di addentrasi e provare a varcare quel buco nero, che ricorda visivamente il Gargantua del Capolavoro Interstellar, nel tentativo di fare un nuovo inizio e riscoprirsi pionieri di un nuovo mondo, dimensione o semplicemente di una realtà diversa, lontana da tutte le nostre certezze e aspettative, una realtà dove ritrovare fondamentalmente se stessi.
Non ci è dato sapere per certo cosa vi sia oltre quel buco nero ma sappiamo che rappresenta un nuovo inizio, un luogo oltre lo spaziotempo e le leggi della fisica che conosciamo, l'ingresso verso una nuova dimensione, forse semplicemente idealizzata e irreale, dove come in Interstellar domina l'amore incondizionato tra un padre e una figlia (anzi, esattamente come accade con Cooper e Murph). Ma quel metaforico gargantua, quel punto luminoso nell'universo che spezza violentemente il nero abissale e siderale dello spazio profondo e sfida le leggi della fisica che conosciamo simboleggia certamente un traguardo raggiunto di libertà dopo anni di soffocante reclusione all'interno della navicella n.7. Dopo anni di vagabondaggio intergalattico.
Soffocante e disturbante, caratterizzato da una lentezza narrativa costante ma animato da esplosioni di violenza inaspettata High Life non è il tipico film di fantascienza ma è un'opera ben strutturata che segue i suoi ritmi e i suoi schemi narrativi. Claire Denis sceglie una messa in scena esasperante per toccare vari aspetti intrinsecamente umani. A partire dalla sessualità, che qui è una tematica centrale ma totalmente distaccata da ogni concetto di amore o desiderio reciproco tra gli individui. Il sesso qui segue le declinazioni più fredde, meccaniche e violente, dalla Box ad uso strettamente personale, come dimostra una lunga scena dall'aura iniziatica e ritualistica con Binoche, al vero e proprio abuso. Del resto il desiderio sessuale non trova sfogo e viene respinto (come nel caso di Chandra con Dibbs) oppure represso (strada che intraprende Monte). Ma il sesso e il nostro rapporto con questo naturale istinto non è l'unico aspetto toccato in un prodotto che affonda le mani in tematiche quali i limiti ai quali siamo disposti a spingerci nel nome del progresso, la solitudine e i suoi devastanti effetti, l'amore salvifico che si instaura tra un padre e una figlia anche quando non c'è più niente per cui valga la pena resistere, combattere, sopravvivere. Gli unici legami, infatti, dell'equipaggio con la madre Terra sono unicamente rappresentati da un giardino che coltivano con pazienza e dedizione. Un piccolo giardino dell'Eden nel cuore profondo dello spazio che accompagna questi reietti e gli ricorda le loro origini, la loro vita precedente. Non a caso le scene più belle, poetiche e umane del film sono quelle all'interno del giardino, evocative e quasi mistiche, immagini che ci ricordano la bellezza e preziosità della Natura e ci riconnettono alla parte più spirituale insita in ognuno di noi. Il giardino rappresenta in fondo la speranza, la rinascita, la crescita ed è simbolicamente necessario in un luogo sostanzialmente privo di tutte quelle caratteristiche, caratterizzato unicamente dal vuoto cosmico che avvolge i protagonisti, metaforicamente e no.
Supportato da una fotografia e da un'estetica vibrante e intensa che si avvale di colori forti e spiccati contrasti, virata sulle tonalità arancione, blu e rosso il film riesce abilmente a creare un'atmosfera claustrofobica e asfissiante lenita appunto dalle sequenze nel giardino. Bravissimo naturalmente Pattinson, attore ormai conclamato che ha dimostrato più volte il suo amore e supporto per pellicole indipendenti nelle quali ha dato il meglio di se (come non ricordare il distopico The Rover o l'adrenalinico Good Times), che qui sorregge il peso della pellicola sulle sue spalle benchè sia supportato da una sempre enigmatica e affascinante Juliette Binoche e una convincente Mia Goth in un ruolo che le calza a pennello. In definitiva si tratta di un film decisamente particolare e non destinato a un pubblico generalista. A tratti perturbante e sconvolgente, può giustamente sembrare visivamente troppo spinto o indigesto data non solo la violenza di alcune scene ma la grande quantità di liquidi organici che vengono esplicitamente mostrati quali sangue, sperma, saliva, latte materno. I fluidi organici presenti in High Life sono abbondanti e aiutano a creare un'opera diretta, esplicita, verosimile che mette, figuratamente o meno, a nudo la natura umana in tutte le sue declinazioni. Ma resta un film decisamente originale e interessante, un incrocio di generi e un'immersione visiva in una opera elettrizzante e dagli inequivocabili spunti di riflessione filosofici. Non è Interstellar (capolavoro unico e irripetibile), e non potrebbe nemmeno esserlo, ma nel suo genere resta un piccolo gioiello, e in qualsiasi ottica lo si voglia considerare, difficile da scordare. Voto: 3,5/5.
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dandy
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giovedì 28 dicembre 2023
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no life in space...
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Al suo primo film di fantascienza,la regista(che co-sceneggia)mescola echi di Bataille e del cinema di genere(da "Solaris" a "2001-Odissea nello spazio" al più recente "Moon")che sa trattare temi non nuovi in maniera personale e a suo modo unico.L'ambientazione minimalista e l'atmosfera claustrofobica accentuano il senso di oppressione dei protagonisti,più che mai insignificanti nel vuoto cosmico che li circonda(al pari della loro condizione di reietti irrecuperabili sulla Terra)e funziona la contrapposizione tra l'umanità e il calore di Monty verso la figlia Willow(efficace e straniante la parte iniziale dove sono i soli ad apparire)e la degenerazione del resto dell'equipaggio di fonte all'inevitabile,dove spicca l'ambigua Dibbs.
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Al suo primo film di fantascienza,la regista(che co-sceneggia)mescola echi di Bataille e del cinema di genere(da "Solaris" a "2001-Odissea nello spazio" al più recente "Moon")che sa trattare temi non nuovi in maniera personale e a suo modo unico.L'ambientazione minimalista e l'atmosfera claustrofobica accentuano il senso di oppressione dei protagonisti,più che mai insignificanti nel vuoto cosmico che li circonda(al pari della loro condizione di reietti irrecuperabili sulla Terra)e funziona la contrapposizione tra l'umanità e il calore di Monty verso la figlia Willow(efficace e straniante la parte iniziale dove sono i soli ad apparire)e la degenerazione del resto dell'equipaggio di fonte all'inevitabile,dove spicca l'ambigua Dibbs.Non tutto funziona,i passaggi sulla Terra sono superflui e come in altri film della regista lo stile non è per tutti.Ma è notevole nel mettere in scena gli aspetti intimi dei personaggi,i loro lati sgradevoli e le pulsioni(non) latenti,talvolta rischiando il ridicolo(la masturbazione della dottoressa)ma con quel tipo di disinvoltura e libertà quasi sempre assenti nel cinema americano.Molto bravi gli attori,Pattinson in testa.
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