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Melodramma grottesco e tragicomico diretto da uno dei più importanti registi messicani, autore di più di 30 lungometraggi. Fatto l'apprendistato con Luis Buñuel all'epoca de L'angelo sterminatore, Ripstein, cineasta di cinquantennale esperienza, esplora l'umanità degradata dei sobborghi di Città del Messico occupandosi di altri olvidados, diversissimi però da quelli filmati da Buñuel, più vicini forse a quelli di altri registi come il tedesco Fassbinder o l'Aurelio Grimaldi delle Buttane. Al centro della vicenda lo strano assassinio di due nani lottatori, che nascondono la loro diversità dietro un mestiere inusuale e una maschera che non tolgono mai. Attorno a loro un popolo di relitti umani, persi nel loro quotidiano vivere doloroso. Il regista li guarda con partecipazione distaccata, come fossero strani animali dal comportamento imprevedibile. Mancano forse le invenzioni, il gusto surreale di chi, prima di lui, ha affrontato nel cinema la stessa umanità. Il film si trascina, lento e avvilente, verso un finale di punizione, al quale gli autori del delitto arrivano senza alcuna consapevolezza di quanto fatto, come se tutto (vita, amori e morte) facesse parte indistintamente dello stesso inevitabile fluire vitale. Pur se dotato di un bel bianco e nero, pieno più di ombre che di luci (soprattutto sui volti, sempre volutamente poco visibili), il film si rivela più deprimente che interessante.
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