Sister |
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Un film di Ursula Meier.
Con Léa Seydoux, Kacey Mottet Klein, Martin Compston, Gillian Anderson, Jean-François Stévenin.
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Titolo originale L'enfant d'en haut.
Drammatico,
durata 100 min.
- Francia, Svizzera 2012.
- Teodora Film
uscita venerdì 11 maggio 2012.
MYMONETRO
Sister
valutazione media:
3,13
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Quando la Svizzera è anche qualcos'altrodi pepito1948Feedback: 125 | altri commenti e recensioni di pepito1948 |
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martedì 22 maggio 2012 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Anche nella opulenta Svizzera (questa l’idea portante del film) esiste l’inferno. Lassù, in un eden imbiancato e solcato da sciatori danarosi e imbottiti di abiti ed oggetti griffati, ferve il divertimento spensierato della “bella gente”. Laggiù, alle falde della montagna, palazzoni anonimi, squallore, povertà dilagante connotano un paesaggio di emarginazione, costellato da persone costrette a vivere di espedienti. Tra inferno e paradiso solo un esile collegamento: una cabinovia, tramite la quale Simon, privo di mezzi ed esclusivamente proteso verso la sopravvivenza, ogni giorno ascende al mondo dei ricchi e si procaccia di che vivere rubando loro di tutto, sci, occhiali, caschi e quant’altro possa rivendere al miglior offerente. Così, tra furti, raggiri e qualche complicità, passa la sua grama vita per poter comprare pasta e altri viveri per sé e la sorella, donna fragile e sbandata più grande di lui e dedita a compagnie che la portano ad allontanarsi spesso ed a tornare quasi sempre carica di delusioni. Simon ha perso ogni sostegno sociale, genitori, amici, affettività, tranne quel rapporto viscerale con una sorella con cui condivide un segreto che i due preferiscono non divulgare. Simon è una macchina per racimolare soldi, apatica, fredda, spoglia di valori; a lui non sono stati sottratti beni materiali ma il fondamento stesso dell’essere umano: la dimensione dei sentimenti, l’amore, la vicinanza, la solidarietà, un sorriso, un bacio, un abbraccio. Per questo per avere qualche attimo di calore deve rivolgersi alla sorella, pagandola profumatamente. Ma il suo è un “lavoro” pericoloso, e quando viene scoperto e picchiato ed umiliato, decide di ritirarsi per una notte sulla montagna silenziosa, immobile e per una volta per lui ospitale, e finalmente, solo con se stesso, si scongela spogliandosi della sua aridità: piange come fanno tutti i dodicenni, si appropria per qualche ora dell’adolescenza negata, ha paura. L’uomo precoce si fa il bambino rubato. Ma le luci dell’alba lo richiamano alla dura realtà da cui può evadere momentaneamente ma non può fuggire, e mestamente ritorna all’inferno ed alla sua pendolarità quotidiana, forse consapevole dell’ineluttabilità della propria vita di reietto, attenuata dagli incontri sporadici –come le cabine di una funivia che s’incrociano a metà strada- con l’unica persona che, nel suo irregolare apparire, non lo abbandonerà mai. Alla sua seconda opera la franco-svizzera Ursula Meier si stacca dallo stereotipo del Paese ricco per antonomasia per ambientarvi una storia di emarginazione e di stenti, in cui alla povertà del contesto corrisponde la scarsezza emotiva dei due personaggi, legati da un segreto che, rivelato a metà film, non imprime alcuna reale svolta né al racconto né al rapporto emotivo con lo spettatore. La narrazione è asciutta, essenziale, senza fronzoli alla maniera del cinema dei fratelli Dardenne, senza tuttavia saperne cogliere le sfumature connotative dei personaggi e la poetica del loro “realismo umanistico”. Il distacco della regista dai suoi personaggi, mai dipinti con partecipazione affettiva forse per evitare indulgenze pietistiche, finisce per bloccare ogni tentativo di chi assiste in sala di appassionarsi ad una storia pur ricca di spunti di umanità. Un’opera interessante soprattutto per la particolarità del rapporto tra tematica e contesto, ma solo parzialmente riuscita almeno sul piano comunicativo.
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