Sister |
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Un film di Ursula Meier.
Con Léa Seydoux, Kacey Mottet Klein, Martin Compston, Gillian Anderson, Jean-François Stévenin.
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Titolo originale L'enfant d'en haut.
Drammatico,
durata 100 min.
- Francia, Svizzera 2012.
- Teodora Film
uscita venerdì 11 maggio 2012.
MYMONETRO
Sister
valutazione media:
3,13
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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diffile contemporaneità della Mater Dolorosadi Zoom e ControzoomFeedback: 6816 | altri commenti e recensioni di Zoom e Controzoom |
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martedì 22 maggio 2012 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
L'inserimento in ampi spazi panoramici dello svolgersi della vita per Simon e la presunta sorella, non solleva dalla realtà pnubea nella quale i due vivono. Il cromatismo coerente e reale amplifica l'ineluttabilità del procedere comunque della vita che se per qualcuno e fatta di benessere che trasuda e spiega se stesso nella brillantezza della vita nella stazione sciistica, per altri è fatta di una miseria inimmaginabile visibile solo all'interno di un palazzone popolare. La dominante sonora è il silenzio, interrotto da qualche brano con modulazione dolce, spesso chitarra, che smorza la crudezza che via via si concretizza nella conoscenza di come vivono i due giovani. Molto si può intuire, moltissimo si apprende nel corso del film e sorprende. Se pesantezza e indolenza sono le dominanti di Louise, ineluttabilità e perseveranza sono quelle di Simon. Nessuno dei due ha in sè un briciolo di allegrezza, di speranza, di slancio giovanile: gli unici sprazzi di risa scaturiscono da situazioni casuali, da momenti giocosi infantili, non per situazioni che dovrebbero appartenere all'età dei due. Situazione difficile che si spiega pian piano e sorprende dopo che un trailer sapientemente ambiguo, aveva lasciato pensare a ben altre situazioni tra Simon e Louise. La violenza che la situazione contiene in sè, qui non esplode come classicamente si potrebbe pensare esploda la violenza, ma è sottomissione all'incapacità di uscire dalla mota, alla coscienza di non avere altre possibilità. Così Simon continua caparbiamente a rubare come caparbiamente Louise cerca di risolvere la sua situazione sociale con un amore peraltro sempre disgraziato come lei. Non c'è neppure spavalderia ne nell'uno ne nell'altra e nemmeno rabbia solo dolore: quello di Louise per una situazione che non sa come risolvere - pur non essendo lei come donna, tanto marcia da approvare o spingere verso sistemi sporchi - e quello di Simon che con i suoi furti vuol comprare più che il pane, l'amore, l'essere accettato in un mondo dove si trova senza capire, per chi lui è. I primi piani sono intensi, i dialoghi sono plausibili, le figure di contorno non scadono mai nel banale - ed è in questo che consiste una delle sorprese: sono reali persone inaspettate, non soluzioni da rotocalco. Una contemporanea Mater Dolorosa che non sostiene, ma si rispecchia muta in ragazzino dodicenne immerso anzitempo nella condanna alla solitudine del mondo, condanna sublimata nella drammatica staticità della scena della notte che Simon passa alla stazione sciistica ormai smobilitata, nel buio totale, nel silenzio della montagna, al freddo, lontano da tutto ciò che dà senso all'esistenza. In questo quadro di ineluttabile negatività, un guizza di vita: Simon è pur sempre ancora un bambino che sente e risponde alla natura e dimentico di ogni cosa, corre, salta, gioca da solo nel grande spazio della montagna ora tutta per lui anche se è un poveraccio. Ma questa vaga risorsa non è la fine e non è un preludio all'ottimismo, la possibilità positiva o negativa di un futuro, si riapre - e rimane insoluta - con l'incrociarsi di due cabine della teleferica, cabine che corrono in due sensi opposti e s'incrociano: in una c'è Simon e in una c'è la Louise che potrebbe per età essere proprio sua sorella. Grande recitazione sia di Luoise, corrucciata, dura e fragile e di Simon, testardo, infantile dal grande cuore bambino. Scelte calibrate nello scorrere del ritmo senza sobbalzi, nella piattezza della condizione che non cede ad altri che alla sua piattezza sottolineando così la mancanza di alternative reali: ne dramma, ne commedia, non c'è posto nelleno per una barzelletta. Così è per alcuni, senza soluzione di continuità.
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