La nave dolce

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Un film di Daniele Vicari. Con Eva Karafili, Agron Sula, Halim Milaqi, Kledi Kadiu, Robert Budina.
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Documentario, durata 90 min. - Italia, Albania 2012. - Microcinema uscita giovedì 8 novembre 2012. MYMONETRO La nave dolce * * * - - valutazione media: 3,25 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Ecco, questa cosa non si fa! 8 Agosto 1991 Valutazione 4 stelle su cinque

di RONGIU


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venerdì 26 ottobre 2012

Mymoviestweet -  Questa intervista, trovata per caso, mi consente di affermare che l'Italia dopo venti anni è vecchia nelle idee e negli statisti.


 - Son passati 21 anni da quell’8 Agosto, da quella tragedia da quell’odissea, e comunque pare che nulla è cambiato perché è un’odissea continua ma tu provocatoriamente hai usato questo titolo “La nave dolce”, perché?

Vicari - Perché noi siamo abituati a considerare le persone che vengono da noi come dei derelitti, dei profughi, dei poveretti. In realtà sono degli esseri umani che hanno dei sogni e quindi questi viaggi durissimi, infami, hanno però dentro questo conflitto con le aspirazioni, le speranze bellissime, dolcissime, di queste persone. Poi, c’è il caso che la nave Vlora trasportava anche zucchero, e quindi è stato automatico chiamare il film, “La nave dolce”.

- Ieri, nella conferenza stampa Gianni Amelio, ha parlato dell’America, del tuo film, ha parlato anche di quel sorriso dolce del ragazzino all’ultima inquadratura del film che poi è diventato figlio adottivo di Gianni Amelio. Quanto al di là della dolcezza, dello zucchero o il simbolismo che tu hai usato, quante dolcezze sono state spente, amareggiate in quel viaggio di ritorno?

Vicari 
- Non c’è dubbio che queste ventimila persone, che hanno fatto un’azione di forza, hanno sequestrato una nave, hanno costretto il comandante Milaci ad andare verso l’Italia, avevano sicuramente in animo, in mente, di rimanere in Italia. Quindi la frustrazione di essere rispediti indietro è stata molto forte. Però è anche vero che il trattamento che gli è stato riservato, è stato talmente brutale, talmente secondo me inaccettabile, che molti di loro se ne sono ritornati ben volentieri. Io un po’, un po’, mi sento in difficoltà come italiano quando vedo queste cose. Perché, al di là del fatto che un paese accetti o meno di tenere nel proprio territorio, per tutta la vita una  persona che arriva con una barca sulla spiaggia, non entro in questa questione che è enorme; il dovere dell’accoglienza deve essere indiscutibile. Se uno arriva con una barca sul tuo territorio, tu lo devi accogliere, lo devi curare. Non puoi prendere, gli dai un calcio, li butti in mare. E’ una cosa che non si fa. E’ una cosa che paghiamo cara anche noi, in termini secondo me di difficoltà non solo politiche ma anche culturali. La presenza, la capacità di un popolo vero, maturo, solido, di  accogliere in maniera decente, degna, le persone che vengono a chiedere aiuto, è il segno distintivo di una civiltà. L’incapacità è la stessa cosa, in negativo.

- Tu sei molto attento alla realtà vissuta, molti dei tuoi lavori parlano di quello che accade oggi, o addirittura quello che accadrà domani. Ma, per parlare di questa tragedia dei profughi sei andato 21 anni dietro e hai usato un capitolo dello stesso libro “L’immigrazione” e non sei andato solamente a pungolare gli italiani per dire “guardate siamo stati un popolo di immigrati e anche noi abbiamo vissuto quello che vivono loro oggi. Era un tentativo tuo per allontanarti dalla cronaca giornalistica mediatica di quello che sta accadendo, accade a Lampedusa oppure sei andato a cercare qualcosa di particolare di quell’8 agosto, di quello che è accaduto a Bari.

Vicari - Ma, la storia della nave che poi alla fine io ho raccontato, perché ho raccontato tutto il percorso che ha fatto questa nave, per me è una metafora pazzesca della condizione umana. E’ la storia di un popolo intero, perché su quella nave c’è un popolo intero che non ha patria e che cerca un futuro. Su quella nave, andando avanti la storia e a volte persino indietro, ci si può trovare chiunque. Mi ci posso trovare anche io, ti ci puoi trovare anche tu. In questo momento duecentocinquantamila italiani lasciano il nostro paese. Quindi noi non siamo stati un paese di emigrazione, siamo un paese di emigrazione. E noi dovremmo sapere più di altri popoli che cosa vuol dire. E infatti, i baresi, terra la Puglia di grandi emigrazioni, hanno accolto all’epoca gli albanesi quando arrivarono; furono le istituzioni nazionali, in un irrigidimento incredibile che mandarono avanti l’esercito; creando, tra l’altro, un conflitto tra il Capo dello Stato e il Sindaco di Bari, persona dello stesso partito, che però pensavano l’accoglienza in due modi opposti. Il sindaco di Bari voleva costruire una tendopoli e curare queste persone. Non è che metteva bocca sul fatto che dovessero o meno restare in Italia. Lui diceva, arrivano, dobbiamo trovare il modo di dargli da mangiare, farli andare in bagno, dargli dei vestiti, eccetera. Tutto qua. Ebbene, è intervenuto un blocco istituzionale che ha detto – No! - Sono stati chiusi in uno stadio, che anche simbolicamente, pure quella cosa lì è una cosa terrificante, ricorda il Cile dei primi anni settanta, e poi sono stati cacciati a calci. Ecco, questa cosa non si fa! Ed è una cosa che purtroppo in questi anni non c’è stata un’evoluzione vera nel rapporto con questo problema che c’era, c’è e ci sarà ancora di più in futuro. Se noi non evolviamo in qualche modo il nostro rapporto con questa questione, con questo problema, cioè che le persone che vengono da noi; anche noi stessi rimaniamo inchiodati ad una modalità di rapporto con il mondo che non ci porta da nessuna parte.

- Ora, a Novembre questo film andrà a Tirana, mi sembra anche al festival di Tirana, parteciperà; qual è il messaggio che secondo te può portare agli albanesi di oggi.

Vicari 
- Beh… diciamo che… io credo che un po’ li spaventerà. Al festival di Venezia c’erano degli albanesi in sala che sono rimasti molto scioccati vedendo il film. Un po’ secondo me il film spaventerà gli Albanesi, un po’ li farà riflettere, perché per fortuna venti anni non sono passati invano per certi versi, e oggi loro hanno altre aspirazioni, no? Tendono per esempio ha costruire nel loro paese una società più sana, più forte, anziché andare a cercare fuori dal loro paese diciamo la fortuna. Però credo che non li riporterà dietro nel tempo, li farà confrontare con lo sviluppo della società albanese che dalla caduta di Enver Hoxha ad oggi è stato notevole.

Buona visione.  

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