Ho deciso di presentare la mia critica (puramente opinionistica) sul film a fronte dei pochissimi commenti che ho letto sul forum. Comprendo tutti i punti "negativi" inseriti dagli altri spettatori e non mi dilungherò né sugli stessi né sulla trama, già presenti ottimamente in altre recensioni: la mia intenzione è puntare sulle luci del film.
L'intreccio è un dramma di dimensioni memorabili, non tanto nel senso del melodramma ma nella quantità numerica delle tragedie proposte: ogni singolo personaggio, ogni situazione, ogni scena e ogni inquadratura ingigantiscono enormemente il senso tragico della storia. Dall'amore, alla famiglia, alla politica, alla tragedia, alla giustizia e al sesso, sono tutti spunti che possono essere superficialmente visti come singole macchie prive di un senso reale, ma ad una poco più attenta riflessione si distinguono chiaramente ognuna come il riflesso e la conseguenza dell'altra, in un ciclo di dolori e colori che abbracciano (forse anche in modo eccisivamente forte) tutti i personaggi, anche quelli più marginali. In sede di montaggio si potevano eliminare tantissime parti, questo è vero, ma la scelta registica (sofferta, tanto che è costata una posticipazione dell'uscita nelle sale) riesce benissimo ad ampliare il senso di angoscia che perdura per quasi tutto il film, a partire dal momento della soglia facilmente individuabile nell'incidente.
Ci sono almeno un paio di momenti in cui il film potrebbe concludersi e il suo perdurare oltre accentua così ancora di più il senso di angoscia nello spettatore e benissimo riflette l'andamento emotivo della vicenda. Se l'intenzione fosse stata quella di mostrare un dramma raffazzonato, quasi ovvio, e puramente "spettacolare" beh, i presupposti ci sono tutti. Ma non è questo il messaggio che deve trapelare. Tanti sono i film che parlano del difficile tema dell'adolescenza ma di quelli che ho avuto la fortuna di vedere nessuno come questo scende così bene nell'intimo della protagonista e, al contempo, di tutto ciò che le sta attorno e che sfiora. Il tutto è sviluppato in modo ridondante, come eccessivo è forse il senso di colpa della protagonista, sballottata ovunque da insicurezze che nascono in lei, nella sua famiglia, nelle sue amicizie, nelle sue nuove conoscenze, nella scuola e in ogni piccolo-grande luogo che viene ad abitare. Un dolore sincero e quasi puro si scontra in questo modo con un mondo maturo e insensibile, fatto di egoismi comprensibili, di dubbi lancinanti e personalità scoraggianti e addirittura cattive (latinismo che comprende anche il senso di "prigioniere e schiave"). Per questo Margaret può essere ritenuta una pellicola dalla fabula banale e scontata, già proposta in più modi, ma le strategie attraverso le quali ne trasmette il senso sfruttano appieno i metodi di quel Cinema che vuole e dove affondare la propria lama nel cuore degli spettatori. In conclusione, per descriverlo, quella che ho trovato come la migliore citazione interna: "Arrivati ad una certa velocità, i freni non servono quasi più a niente".
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