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Piccolo olocausto di una follia sessista Valutazione 3 stelle su cinque

di gianleo67


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martedì 22 settembre 2015

Marc è uno studente in bolletta con la passione per le armi e per l'esercito, che vive una grave crisi interiore dovuta ai suoi fallimenti professionali e personali ed ha sviluppato un odio insensato e farneticante verso l'altro sesso ed il movimento femminista in particolare. Storia di una strage: quella in cui il 6 dicembre 1989 all'École polytechnique di Montréal il venticinquenne Marc Lépine uccise a colpi di fucile quattordici studentesse, per poi rivolgere l'arma contro sè stesso.
Raggelato nel bianco e nero della fotografia spettrale di Pierre Gill e costruito come la docufiction del resoconto romanzato di una tragedia annunciata, il terzo film di Denis Villeneuve è il piccolo olocausto di una follia sessista, la fredda meccanica di una epurazione di genere che sembra prendere le mosse dallo squallore emotivo e dalla disperazione di chi, abbandonato a sè stesso dalla famiglia e dalle istituzioni, sembra avere smarrito quel senso di empatia e di umana pietà che fa di un modesto studente universitario l'elemento di un disordine sociale in grado di riversare sulle proprie vittime innocenti l'odio e la violenza di una istintiva intolleranza verso un diverso con cui da sempre si identifica il nemico. Con un Incipit che sembra il finale di una ellissi di morte (con un fucile che fa cilecca e viene riposto sotto il letto) si passa in realtà al triste preludio di un lento ed inesorabile cammino a passo d'elefante che , come nell'omonimo titolo di Van Sant, finisce per moltiplicare i punti di vista sul mistero inesplicabile e sulle conseguenze di una violenza omicida le cui ragioni, benchè analizzate e focalizzate attraverso una corretta sintassi del montaggio filmico, non bastano a spiegarne la motivazioni nè tantomeno a prevederne l'onda lunga delle conseguenze fisiche e psicologiche, riverberando nell'animo dei protagonisti come l'indicibile squarcio in una coscienza assopita che si apre ad una nuova e sconvolgente consapevolezza e che, costretta a misurarsi con la dimensione incommensurabile dell'abominio e del dolore, riscopre il valore prezioso e negletto di uma ritrovata umanità. Adottando una sorta di teoria meccanicistica sulla dinamica del massacro, Villeneuve ci dimostra come l'instabilità  di un sistema di relazioni umane fondate sull'odio e l'incomunicabilita porti al parossismo di reazioni incontrollate e ad un nuovo e mutato equilibrio che ci insegni a non ricadere negli stessi, fatali errori del passato. Almeno fino alla prossima crisi. In questo, un intento didascalico che inizia con il lugubre presagio di una riproduzione di Guernica e si conclude con  i saggi propositi per la incipiente maternità di una donna ferita e scampata al massacro ("Se avrò un maschietto gli insegnero  ad amare, se sarà una femminuccia che il mondo le appartiene"), cercando di organizzare il suo discorso antropologico attorno a quelle piccole crepe del tessuto sociale in grado di minare le basi per una libera e giusta convivenza: dalla freddezza burocratica di un congedo forzato ai pregiudizi sessisti nel mondo del lavoro, passando attraverso un modello educativo che inizi dalla famiglia ad infondere quei valori di amore e di tolleranza come imprescindibili momenti (strumenti) di crescita individuale ed affermazione del sè. Se le ragioni psicologiche possono apparire più o meno credibili poi, Villeneuve non evita di eccedere in una immancabile schematizzazione degli elementi drammaturgici (compreso il rendez-vous shakespearino di un'amore spezzato), presentandoci da un lato le debolezze del carnefice (Marc) che scrive alla madre distante e invisibile la sua disperazione postuma e dall'altro quelle dell'agnello sacrificale (Jean-François) che dopo la visita ad una madre comprensiva e amorosa assume su di sé le colpe di una intolleranza di genere. Ma, si sa, per indagare i misteri dell'animo umano e cavarne qualcosa di buono a volte si deve pur rinunciare al rigore ed all'eleganza delle cose non dette. Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2009 ha vinto nove Premi Génie, tra cui quelli per il miglior film e la miglior regia.

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