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martedì 1 febbraio 2011
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basta sbagliare porta...
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Incredibile, come da una premessa così banale un regista e due attori riescano a plasmare un film così intrigante ed elegante, lento ma tuttavia veloce per la curiosità che immette nello spettatore per seguire gli sviluppi della vicenda. Non è così scontato, ma con un regista come Patrice Leconte e due attori come Sandrine Bonnaire e Fabrice Luchini il risultato era quasi assicurato. Anna (Sandrine Bonnaire) sta per andare da uno psicanalista ma... sbaglia porta ed entra nello studio del consulente fiscale Faber (Fabrice Luchini). Questi accetta la strana casualità e si diverte, anche se in modo serio, a farsi passare per il dottore. Si pente subito dopo, si sente in colpa per aver dato inizio ad un malinteso che poteva essere subito chiarito, ma ormai.
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Incredibile, come da una premessa così banale un regista e due attori riescano a plasmare un film così intrigante ed elegante, lento ma tuttavia veloce per la curiosità che immette nello spettatore per seguire gli sviluppi della vicenda. Non è così scontato, ma con un regista come Patrice Leconte e due attori come Sandrine Bonnaire e Fabrice Luchini il risultato era quasi assicurato. Anna (Sandrine Bonnaire) sta per andare da uno psicanalista ma... sbaglia porta ed entra nello studio del consulente fiscale Faber (Fabrice Luchini). Questi accetta la strana casualità e si diverte, anche se in modo serio, a farsi passare per il dottore. Si pente subito dopo, si sente in colpa per aver dato inizio ad un malinteso che poteva essere subito chiarito, ma ormai... Ne parla con il vero medico, che diventa così partecipe, anche se in modo marginale, dello "scambio". La verità comunque viene ben presto a galla ma, e questo è il fulcro del film, la paziente preferisce continuare la terapia dal consulente finanziario. Tutti e due stanno al gioco, che a volte diventa impegnativo per le confidenze molto intime che vengono raccontate da Anna, molto disinibita e instabile, a Faber, di educazione molto conservatrice e attento non solo ai nodi delle sue cravatte (sempre impeccabili) ma anche a mantenere le stanze e gli oggetti in esse conservati in modo sempre uguale, quasi a rifiutare l'idea che il tempo passi. Come detto la vicenda viene trattata in modo elegante, senza volgarità e gli unici tocchi ironici sono le battute sarcastiche della segretaria di Faber che sospetta, giustamente, un'attrazione reciproca tra i due protagonisti. C'è un altro momento divertente, un pò fuori luogo. Quando Faber, sull'onda di un improvviso ed esagerato attacco di ottimismo, si improvvisa ballerino-chansonnier in casa propria davanti a uno specchio. In effetti Fabrice Luchini si impegna molto ma nulla che possa ricordare, ad esempio, un certo Yves Montand... Molto belle le sequenze in cui Faber torna a casa dopo un incontro con Anna e ascolta un disco di musica soft mentre ripensa a ciò di cui è venuto a conoscenza nel pomeriggio, confidenze che a volte lo turbano per la spigliatezza con la quale gli sono state raccontate, a volte così bizzarre da essere messe persino in discussione. Le sue espressioni sono straordinarie, ed il massimo sono gli sguardi increduli di fronte a tutto quello che viene a sapere da una donna che in fin dei conti è ancora solo una sconosciuta. D'altronde anche lui si lascia andare a confidenze intime che sicuramente non aveva mai raccontato prima, perchè si fida della giovane donna che il destino ha fatto entrare nel suo studio. Un'occasione unica per tornare ad occuparsi del proprio passato e rivedere forse con ottica diversa alcune situazioni attuali. Leconte è un vero maestro nel dirigere due attori seppur bravissimi in una storia così bizzarra e ricercata. Anna e Faber si allontaneranno, ognuno per la propria strada, convinti di essere stati arricchiti da questa insolita esperienza. Ma poi si cercano e si ritrovano perchè hanno bisogno tutti e due di quel rapporto che si era instaurato durante le loro "sedute". E cioè una sana, unica, disinteressata amicizia. Straordinaria l'ultima sequenza, dove il regista fa scorrere i titoli di coda. Un finale bello e unico come tutto il film. - di "Joss" -
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chris
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domenica 19 giugno 2005
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un buco nell'anima
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Leconte fa un'operazione come al solito originale e riuscita: due esseri umani a confronto, due anime che si avvicinano a poco a poco, un finale a sorpresa (ma non troppo....). Un capolavoro? No, o almeno non del tutto, anche se la mano del maestro si vede in ogni scena. A completare l'opera manca una maggiore adesione della Bonnaire al personaggio, che le resta un po' estraneo e non del tutto "su misura" per le sue capacità, pure notevoli. Bravissimo invece oltre ogni aspettativa Fabrice Luchini: partecipe eppure distaccato, con quel tanto di ingenuo e naif che lo rende credibile dall'inizio alla fine. Stupenda la fotografia tutta negli interni "viscerali" e privati; ottima la scelta della colonna sonora.
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maurizio
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mercoledì 4 giugno 2008
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che delizia!
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Film delizioso, intrigante, intelligente, sensuale "Confidenze troppo intime" conduce lo spettatore nel mondo particolare ed intimo della relazione terapeutica gettando, forse senza volerlo, un pò nel ridicolo le tecniche e le strategie del vero professionista e mettendo invece in risalto quello che è invece il cuore di ogni psicoterapia e cioè il desiderio sincero e non narcistico di parlare di sè e la disposizione reale all'ascolto. Un incontro voluto dal caso che trasporta i due protagonisti, interpretati dalla Bonnaire e da un Luchini in stato di grazia, in una dimensione profondamente trasformativa di loro stessi fino a un finale che forse è un pò troppo fiabesco. L'ultima scena, davvero bella, rimane esemplare nel sottolineare la presenza nel film di un erotismo diffuso, profondo e avvolgente.
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Film delizioso, intrigante, intelligente, sensuale "Confidenze troppo intime" conduce lo spettatore nel mondo particolare ed intimo della relazione terapeutica gettando, forse senza volerlo, un pò nel ridicolo le tecniche e le strategie del vero professionista e mettendo invece in risalto quello che è invece il cuore di ogni psicoterapia e cioè il desiderio sincero e non narcistico di parlare di sè e la disposizione reale all'ascolto. Un incontro voluto dal caso che trasporta i due protagonisti, interpretati dalla Bonnaire e da un Luchini in stato di grazia, in una dimensione profondamente trasformativa di loro stessi fino a un finale che forse è un pò troppo fiabesco. L'ultima scena, davvero bella, rimane esemplare nel sottolineare la presenza nel film di un erotismo diffuso, profondo e avvolgente.
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michele il critico
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giovedì 12 maggio 2005
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confidenze troppo intime
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CONFIDENZE TROPPO INTIME
regia: Patrice Leconte
Una donna vuole andare dallo psicanalista, ma sbaglia porta e si ritrova da un commercialista. La terapia inizia lo stesso. Attraverso tale equivoco Leconte realizza quello che definisce un thriller sentimentale. Il film è infatti dominato dall' angoscia che è presente sin dalla prima sequenza: qui la suspence angosciosa è accennata dalle note musicali che accompagnano il lungo carrello che segue le gambe della protagonista. Quando poi la donna incontra il commercialista, l' angoscia da motivo introduttivo diviene tema centrale: l' equivoco, le confidenze, lo smascheramento e quindi la prosecuzione del rapporto.
Lo studio del commercialista potrebbe creare un' atmosfera claustrofobica, ma Leconte, attraverso una forte profondità di campo, rende individuabili le figure dei protagonisti come entità fisicamente distanti nonostante la vicinanza creata dalla relazione.
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CONFIDENZE TROPPO INTIME
regia: Patrice Leconte
Una donna vuole andare dallo psicanalista, ma sbaglia porta e si ritrova da un commercialista. La terapia inizia lo stesso. Attraverso tale equivoco Leconte realizza quello che definisce un thriller sentimentale. Il film è infatti dominato dall' angoscia che è presente sin dalla prima sequenza: qui la suspence angosciosa è accennata dalle note musicali che accompagnano il lungo carrello che segue le gambe della protagonista. Quando poi la donna incontra il commercialista, l' angoscia da motivo introduttivo diviene tema centrale: l' equivoco, le confidenze, lo smascheramento e quindi la prosecuzione del rapporto.
Lo studio del commercialista potrebbe creare un' atmosfera claustrofobica, ma Leconte, attraverso una forte profondità di campo, rende individuabili le figure dei protagonisti come entità fisicamente distanti nonostante la vicinanza creata dalla relazione. Tale distanza è funzionale a creare un' attesa ed una crescita del desiderio. Ma la terapia finisce e i due si perdono di vista.
La donna riesce a superare il suo problema, lascia il marito e si dedica quindi a quella che è la sua reale passione: l' insegnamento del ballo.
Il commercialista invece riesce a troncare definitivamente una storia già chiusa da tempo con la ex compagna.
Tutto sembra ritrovare un equilibrio e anche il film perde la carica d'angoscia che lo caratterizzava. Fino alla scena finale in cui il commercialista cerca e ritrova la donna: l'inquadratura a piombo schiaccia i protagonisti mentre riprendono la morbosa relazione confidenziale; la struttura della loro relazione è ancora viva, il thriller non è ancora finito.
VOTO ***1/2
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guidobaldo maria riccardelli
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giovedì 28 aprile 2016
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un saper ascoltare garbato
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Patrice Leconte sa come lavorare sugli opposti e sulle dinamiche di relazione, prendendo le mosse da un piacevole equivoco (?).
Tra il detto, la spudoratezza financo eccessiva, e, all'opposto, il non-detto, la timidezza di approccio e sguardo, la correttezza e disponibilità anche qui parossistiche, si muovono questi bei personaggi, sui quali si innesta un dramma fatto di dialoghi ben scritti, volti ad evocare sensazioni ed immmagini vivide.
Sa essere seduttivo e sensuale questo Confidences Trop Intimes, restando sicuramente nel solido buon gusto, pur sapendo ammiccare negli insicuri movimenti di macchina, rispondenti al forse anacronistico pudore del nostro William Faber, guidato da pulsioni opposte, combattuto tra la più naturale attrazione ed il prescritto bon ton borghese parigino.
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Patrice Leconte sa come lavorare sugli opposti e sulle dinamiche di relazione, prendendo le mosse da un piacevole equivoco (?).
Tra il detto, la spudoratezza financo eccessiva, e, all'opposto, il non-detto, la timidezza di approccio e sguardo, la correttezza e disponibilità anche qui parossistiche, si muovono questi bei personaggi, sui quali si innesta un dramma fatto di dialoghi ben scritti, volti ad evocare sensazioni ed immmagini vivide.
Sa essere seduttivo e sensuale questo Confidences Trop Intimes, restando sicuramente nel solido buon gusto, pur sapendo ammiccare negli insicuri movimenti di macchina, rispondenti al forse anacronistico pudore del nostro William Faber, guidato da pulsioni opposte, combattuto tra la più naturale attrazione ed il prescritto bon ton borghese parigino.
Questo bel parlare, in un'atmosfera intima e rassicurante, rischia a più riprese di contagiare la rappresentazione stessa, leggermente appesantita nella parte centrale, e dunque incapace di gettare nuove pietanze su di una tavola comunque ben preparata; risiede qui il limite principale della pellicola, con la tendenza ad essere a tratti ridondante.
Rimane ad ogni modo opera da saper apprezzare, con l'ottima vena dei bravi Fabrice Luchini e Sandrine Bonnaire.
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paola di giuseppe
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venerdì 1 ottobre 2010
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sbagliare porta per cambiare vita
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Anna è una donna sposata e infelice.Come molte donne in questi casi,va dallo psicanalista,ma a volte succedono cose incredibili.Sbaglia porta,invece che alla terza a sinistra suona alla terza a destra (tende a confondere sinistra e destra, succederà ancora,più avanti,con il bagno, Laconte dissemina piccoli particolari e indizi,la vicinanza a stilemi hitchcockiani è notevole anche in questo) e si ritrova a confidare i guai del suo matrimonio ad un consulente fiscale, William Faber.
William,sbalordito (gli occhi sgranati e la mimica facciale perfetta, minimale,ogni muscolo è controllato,paralisi della volontà, impotenza decisionale e desiderio,c’è tutto in quel viso rotondo,né bello né brutto,di una normalità impressionante) la lascia parlare.
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Anna è una donna sposata e infelice.Come molte donne in questi casi,va dallo psicanalista,ma a volte succedono cose incredibili.Sbaglia porta,invece che alla terza a sinistra suona alla terza a destra (tende a confondere sinistra e destra, succederà ancora,più avanti,con il bagno, Laconte dissemina piccoli particolari e indizi,la vicinanza a stilemi hitchcockiani è notevole anche in questo) e si ritrova a confidare i guai del suo matrimonio ad un consulente fiscale, William Faber.
William,sbalordito (gli occhi sgranati e la mimica facciale perfetta, minimale,ogni muscolo è controllato,paralisi della volontà, impotenza decisionale e desiderio,c’è tutto in quel viso rotondo,né bello né brutto,di una normalità impressionante) la lascia parlare.
Ogni volta che è lì lì per dire“Ma cara signora, cosa crede..” c’è qualcosa che glielo impedisce,e spesso è proprio lei che chiude frettolosamente la “seduta”,dà l’altro appuntamento,va via di corsa perché perde il treno.
L’ex di lui, con cui i rapporti sono rimasti amichevoli, gli dice:“Ma come,sei pazzo?devi dirle che non sei il dottor XY,che senso ha?”
Il senso ce lo racconta Laconte, con i suoi millimetrici e inesorabili avanzamenti nel profondo dei suoi personaggi, aiutato dalla sceneggiatura di Jerome Tonnerre distillata, essenziale, non una parola di troppo e la musica,ora da thriller ora da favola romantica, di Pascal Esteve.
Completa l’opera la scenografia anni trenta di Ivan Maussion,che la fotografia di Eduardo Serra illumina con filtri per interni claustrofobici,come ipnotici,per poi far irrompere luce e sole nel finale mediterraneo,con un prevalere di toni rosati da favola d’altri tempi.
Confidenze troppo intime è un film che sollecita uno sguardo da “giallista” fin dall’inizio,ha ritmo,sonorità e tecnica di ripresa del thriller:prima scena,tic tac tic tac,sono le polacchine nere di lei, moda anni trenta,inquietanti,che battono sul selciato e la mdp le segue fin dentro il portone.
Tutto quello che accadrà dopo il fatale sbaglio d’indirizzo,o sarebbe meglio dire non accadrà,sarà una schermaglia sottile di piccoli gesti e di sguardi, un piacere reiterato del gioco seduttivo fine a sé stesso, una scoperta di complicità che si consuma tutta nell’ascolto e nella confidenza, ma che riesce ad avere l’aspetto dell’appagamento pieno, per entrambi,al punto da modificare stili di vita e scelte di comportamento.
Accorgersi dell’equivoco fin dalla seconda seduta non ha cambiato le cose per Anna,e forse addirittura ha reso tutto più attraente.
Viene il dubbio che l’abbia fatto volutamente,ed è uno dei misteri del film,come la sua storia col marito,di cui emergono versioni contrastanti.
William viene letteralmente scardinato da una condizione catatonica di vita in una casa/studio ereditata dal padre, spazio di ordine maniacale da cui non si è mai mosso,scaffale di giocattoli infantili conservati con cura gelosa, ed è portato ad una rivisitazione della sua vita che si traduce, ad esempio, nell’abolizione della cravatta. Bisogno di comunicare e trovare un orecchio disposto all’ascolto, il mistero è tutto lì, in quel momento in cui riconosciamo di poterlo fare e non sappiamo perché è quello il momento e quella la persona giusta.
La storia di una donna che aveva sbagliato porta finisce qui, forse.
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