TANGUY (FR, 2001) diretto da éTIENNE CHATILIEZ. Interpretato da SABINE AZéMA, ANDRé DUSSOLLIER, ERIC BERGER, HéLèNE DUC, AURORE CLéMENT, ANDRè WILMS, JEAN-PAUL ROUVE
A ventott’anni Tanguy Guetz è un giovane estremamente brillante e intelligente: due lauree, una tesi in preparazione sulla filosofia cinese, sa a manetta il giapponese, fa lezioni all’università, ha la dote naturale della simpatia e si porta a casa tutte le conquiste amorose. Il suo unico difetto sta nel fatto che vive ancora coi genitori. Edith e Paul, madre e padre esemplari, gli vogliono bene, ma cominciano ad avvertire la sua presenza come un fardello di cui vorrebbero liberarsi. Come fare? Vari tentativi: disgustarlo fino a rendergli intollerabile la convivenza; trattarlo come un poppante; comprargli un appartamento; fargli capire che, con tutto il denaro che guadagna, può benissimo mantenersi da solo. Risultato? Attacchi di panico, nostalgia, autocommiserazione e tristezza da parte del figlio. Altre strategie adottate dai genitori, col supporto psicologico della becera e ciarliera madre di Paul, portano addirittura il simpatico terzetto in tribunale, e il processo si risolve a favore di Tanguy. Tutto, fortunatamente, si sistema quando Tanguy trova casa e moglie in Cina. Il presepe è finalmente ricomposto con le due famiglie, quella europea e quella asiatica, che si conoscono e passeggiano lungo i muri della Città Proibita a Pechino. Commedia francese famigliare in piena regola, con una colonna sonora insolitamente invadente, dialoghi vivaci, personaggi scoppiettanti e attenzione ai temi sociali dell’Europa odierna. Molta simpatia per i genitori cinquantenni che vedono nella prole un ostacolo alla propria tranquillità e un peso opprimente di cui farebbero volentieri a meno, ma anche per Tanguy, nonostante tutto: il ragazzo viene descritto come un giovane rampollo dalle capacità intellettive strabilianti e dalla parlantina micidiale che riesce bene in ogni cosa, esclusa la separazione affettiva da papà e mamma, da cui proprio non riesce a prendere le dovute distanze. Molti momenti esilaranti, qualche rallentamento nella parte centrale, una morale educativa che schiva abilmente il buonismo, un trio di personaggi principali molto amati dalla sceneggiatura, che di suo sforna una sequela di gag che rispettano ampiamente i tempi comici e fanno riflettere su un tema di scottante e incrollabile attualità, senza però dare giudizi né schierarsi da una determinata parte. Favoloso gioco di squadra fra S. Azéma e A. Dussollier, già visti insieme nel bellissimo Parole, parole, parole… (1997) di Alain Resnais, e qui riconfermati nel ruolo di una moglie e un marito che sanno sia andare d’accordo come due angeli che battibeccare per il minimo contrattempo o incidente: lei sfoderando un’ansia repressa che la rende al tempo stesso vivida e titubante, lui insistendo su una proverbiale ferocia che non nasconde tuttavia un’innata e paciosa tenerezza. Quanto al giovane E. Berger, se la cava egregiamente nel ruolo di Tanguy, alternando le espressioni sornione alle precipitazioni emotive e scandendo una recitazione efficace che adotta vari registri, dal patetico al romantico, inserendosi con armonia in una costruzione ben architettata. Denso di piccoli personaggi che condiscono di un sapore casereccio, a tratti addirittura grottesco, una trama saltellante che spezzetta con allegria la vicenda e le conferisce un ritmo che ciononostante non si fatica a reggere, fra cui vale la pena di ricordare l’arcigna e beffarda nonna di Tanguy, la di lui consorte cinese, i picchiatori, gli appassionati di tennis, gli amici annoiati ed emancipati di Edith e Paul, l’istruttrice di nuoto, la mastodontica bambinaia, i professori dell’università e i compagni di corso del protagonista. Butta anche un occhio velatamente critico e non troppo ottimista sul trasferimento dal franco all’euro e, più specificamente, sul passaggio socio-economico della Quinta Repubblica, senza però mai perdere la bussola nella narrazione di una storia in effetti poco originale, ma giusta nel suo dosaggio di pathos e ironia e perfetta per un cammino d’iniziazione che comincia a fatica, ma corona infine il suo spasmodico e fatidico scopo.
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