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L’ineluttabile discesa all’inferno di un piccolo malavitoso di Copenaghen. Questo in estrema sintesi il soggetto del film esordio di Refn, un drammatico noir a tinte fosche, con un eroe negativo al centro della vicenda, come nel Rififi di Dassin ed in tanti altri film dello stesso genere in auge in Francia negli anni ‘50.
Fin dall’inizio, grazie alle prime sequenze girate con cinepresa in spalla che segue il protagonista in strada, si viene proiettati nel mondo della piccola delinquenza di Copenaghen, che ruota attorno al traffico di droga, si avverte l’atmosfera plumbea e carica di tensione dell’ambiente, si percepisce lo squallore della vita dei due ragazzi, interpretati da due straordinari attori danesi, Bodnia e Mikkelson.
Le inquadrature di Refn si allargano fino ad abbracciare la desolazione di un’intera generazione, abbrutita dal consumo di sostanze e di alcol, che si muove sullo sfondo di affollati locali notturni in un drammatico vuoto esistenziale.
Il disagio del protagonista di fronte alle volgarità del suo stravagante amico e socio in affari, il rifiuto del mestiere della donna che ama, i suoi pudori, il ritratto di una madre perbene e soprattutto la sua grande ingenuità, tratteggiano un personaggio controverso, un fuoriuscito dalla classe d’origine della piccola borghesia, capitato per caso in un ambiente criminale che non gli appartiene, ma al quale è costretto ad adeguarsi, fino alla fine.
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