davide chiappetta
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giovedì 6 marzo 2014
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il refn migliore
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Un film dal ritmo frenetico che tiene incollati allo schermo per tutta la sua durata, ha il pregio di raccontare una storia con una trama che non si discosta poi molto dal clichè dei film di genere, ma che ha un suo stile ben preciso e rende godibilissima la sua visione. Sporco, cattivo, senza speranza e senza ironia, il film è il volto della Copenhagen nera, quella di spacciatori, prostitute e trafficanti. E' Refn esordiente (all'epoca semisconosciuto; verrebbe da dire tutto contenuto e poco stile e credo migliore di quello odierno tutto stile e poco contenuto) e gira con impressionante realismo a partire dalla prova degli attori per arrivare alle location. Un budget insignificante per un opera che non può non colpire e raschiare l'anima di chi la guarda.
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Un film dal ritmo frenetico che tiene incollati allo schermo per tutta la sua durata, ha il pregio di raccontare una storia con una trama che non si discosta poi molto dal clichè dei film di genere, ma che ha un suo stile ben preciso e rende godibilissima la sua visione. Sporco, cattivo, senza speranza e senza ironia, il film è il volto della Copenhagen nera, quella di spacciatori, prostitute e trafficanti. E' Refn esordiente (all'epoca semisconosciuto; verrebbe da dire tutto contenuto e poco stile e credo migliore di quello odierno tutto stile e poco contenuto) e gira con impressionante realismo a partire dalla prova degli attori per arrivare alle location. Un budget insignificante per un opera che non può non colpire e raschiare l'anima di chi la guarda.
La prima parte tutta telecamera a spalla e grandangoli in eccesso che vira senza che ce ne rendiamo conto a ottime riprese statiche e inquadrature di più ampio respiro (per aumentare la drammaticità e la tensione oltre che alla riflessione). Il finale sospeso poi non lascia indifferenti: ci si ritrova a guardare i titoli di coda, imbambolati. Primo di una trilogia cult.
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alessandro rega
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giovedì 26 dicembre 2013
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esordio di un regista molto abile
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Film Danese del 1996, primo di Refn, Non mancano sequenze tipiche del regista danese, alcune ambientate in locali tramite i quali può permettersi di usare luci ad intermittenza. Nelle successive opere, di quell’effetto, che tanto surreale rende il film, Refn fa un uso perenne senza sentire il bisogno di giustificarle ambientando le sequenze in locali, ad esempio. Lo usa così, non giustificandosi, e ciò rende il tutto meno realistico , non evitando, tuttavia, il nudo realismo di certe scene.Ciò rispecchia di più la psicologia del protagonista che compie un viaggio psicologico onnipresente, o quasi, nella filmografia di Refn .Qui, invece, di surreale c’è ben poco, perché si tratta di una pellicola cruda e realista.
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Film Danese del 1996, primo di Refn, Non mancano sequenze tipiche del regista danese, alcune ambientate in locali tramite i quali può permettersi di usare luci ad intermittenza. Nelle successive opere, di quell’effetto, che tanto surreale rende il film, Refn fa un uso perenne senza sentire il bisogno di giustificarle ambientando le sequenze in locali, ad esempio. Lo usa così, non giustificandosi, e ciò rende il tutto meno realistico , non evitando, tuttavia, il nudo realismo di certe scene.Ciò rispecchia di più la psicologia del protagonista che compie un viaggio psicologico onnipresente, o quasi, nella filmografia di Refn .Qui, invece, di surreale c’è ben poco, perché si tratta di una pellicola cruda e realista.
Infatti, il nostro protagonista è un Pusher che ben presto si ritrova coperto di debiti.Nella prima parte c’è meno violenza ed è certamente un’opera più godibile e sembra quasi d’intrattenimento. Ma poi aumentano la violenza ed il sangue, il film diventa più morboso, così come il nostro protagonista che si ritrova ad essere più nervoso, più drogato ed anche più violento; tutto per via della sfortuna e dei debiti. In realtà, la differenza tra parti divertenti e realiste è testimoniata dal successo che ha avuto questa pellicola, successivamente ritenuta un cult de cinema underground.
C’e poca speranza in quest’opera, fino ad arrivare a quel finale beffardo, che toglie ogni dubbio, che mozza il fiato. Zoom sul volto di Frank beffato dalla sua ragazza; è un finale che veramente riesce a colpire etaglia l’ultimo filo di speranza tessuto nella scena precedente, in cui il boss Milo aveva accettato i suoi soldi e non ne aveva richiesti ulteriori, perdonando il resto non pagato da Frank.
Dunque, è un film che rispecchia la storia del suo personaggio principale, analogamente ad altri lungometraggi diretti da Refn. Per quanto strano può apparire, lo spettatore non si immedesima nella storia, è voluto dal regista che gira la totalità del film con la mdp a mano. Tutto per via della regia, che in questo film parla chiaramente.
Frank non è l’unico personaggio da annotare, essendo il cast più scarno, i principali, seppur pochi, assumono maggior importanza. Tonny e Milo sono altri esempi da constatare.
Tonny, inizialmente, sembra quasi il protagonista della nostra storia: pervertito e drogato che collabora con Frank, per poi tradirlo, è da dire che Mikkelsen ha ben reso il personaggio.
Milo è colui a cui il protagonista deve dei soldi: lo chiama amico, ma si intuisce la sua crudeltà criptata, che poi emerge verso la fine del film.
Altri personaggi, blandamente caratterizzati, fanno da sfondo a questa storia, ma di analizzarli non vale la pena.
Questo è un film non male da vedere, chi è appassionato di Refn non può perderselo, perché questo è un Refn non ancora maturo. ma è interessante vedere il suo esordio alla regia.
Sicuramente non un capolavoro: è un lungometraggio che non ha freschezza di fondo né lucidità nei contenuti, ma è assai coerente e tecnicamente ha pochi difetti…certamente diversi da quelli delle sue successive produzioni che, pur esseno più raffinate, ne presentano di difetti.
Sicuramente, quando si parla di Refn non si può che dire di un regista abilissimo, con un suo stile non trascurabile, che tanto piace al sottoscritto; per me deve solo curare meglio alcuni aspetti, però sa affrontare progetti diversi sempre dominati dalla violenza e, talvolta, riesce veramente bene (come in Drive, ad esempio).
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andrej
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giovedì 27 aprile 2017
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la discesa agli inferi di un piccolo gangster
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Film d’esordio di Refn eppure, a mio parere, superiore a varie altre sue pellicole successive e forse piu’ note (Bronson, Valhalla rising, Solo Dio perdona, The neon demon). Rispetto ad esse questo film e’ di impianto molto piu’ tradizionale, non presentando nessuna di quelle caratteristiche che in seguito sembrano purtroppo essere diventate un marchio di fabbrica del regista: ritmi lentissimi, con rare, brevi, repentine accelerazioni; interminabili silenzi; mescolanza di elementi realistici, surrealistici e simbolici; colori ultra saturi e irreali; contaminazione di registri e stili espressivi molto diversi; direzione degli attori nel senso di una recitazione poco spontanea, sempre o troppo sopra o troppo sotto le righe.
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Film d’esordio di Refn eppure, a mio parere, superiore a varie altre sue pellicole successive e forse piu’ note (Bronson, Valhalla rising, Solo Dio perdona, The neon demon). Rispetto ad esse questo film e’ di impianto molto piu’ tradizionale, non presentando nessuna di quelle caratteristiche che in seguito sembrano purtroppo essere diventate un marchio di fabbrica del regista: ritmi lentissimi, con rare, brevi, repentine accelerazioni; interminabili silenzi; mescolanza di elementi realistici, surrealistici e simbolici; colori ultra saturi e irreali; contaminazione di registri e stili espressivi molto diversi; direzione degli attori nel senso di una recitazione poco spontanea, sempre o troppo sopra o troppo sotto le righe. Qui, con mia sorpresa e grande sollievo, non ho trovato nulla di tutto cio’: la storia e’ semplice, chiara, lineare, sviluppata in normalissimo ordine cronologico; la narrazione e’ asciutta, drammatica, oltremodo realistica ed efficace; la recitazione e’ anch’essa realistica, spontanea, credibile, senza fronzoli, pose, stravaganze, bizzarrie di sorta; la regia e’ solida, capace ma priva di quelle fastidiose civetterie, licenze e velleita’ autoriali che purtroppo il regista si concedera’ sempre piu’ spesso in seguito; lo stile e’ robusto, coerente, omogeneo, tanto semplice quanto efficace. La vicenda ci racconta una settimana di vita (presumibilmente l’ultima) di un piccolo spacciatore di droga e íl costante, irresistibile declino delle sue fortune, iniziato con la perdita di una partita di droga, da lui comprata a credito, che lo porta in collisione con altri criminali, molto piu’ cattivi e pericolosi di lui. Non ci sono buoni fra i protagonisti di questo film: tutti spacciano, rubano, ingannano, promettono e non mantengono, si imbrogliano e ammazzano a vicenda: vite squallide, precarie, violente, costantemente esposte a mille imprevisti e destinate a probabile esito rovinoso. Nessuna grandezza, neppure nel male: solo mediocrita’ e squallore. E a governare il gioco una sola legge: quella del piu’ forte. Un magistrale ritratto della criminalita’ di basso profilo. Peccato per il finale, abbastanza intuibile ma lasciato come in sospeso, incompiuto ed irrisolto (come in altri film del regista: pare quasi essere un suo vizio congenito …). Peccato, perche’ un film come questo avrebbe meritato a mio parere una conclusione piu’ efficace e significativa. Peccato soprattutto che negli anni a venire il regista abbia abbandonato questo stile semplice ma pregnante per tentare altre strade, piu’ ambiziose ma assai meno produttive.
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