Il Casanova di Federico Fellini |
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Un film di Federico Fellini.
Con Donald Sutherland, Tina Aumont, Daniel Emilfork, Olimpia Carlisi, Margareth Clementi.
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Biografico,
durata 165 min.
- Italia 1976.
MYMONETRO
Il Casanova di Federico Fellini
valutazione media:
3,53
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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"L’anima schiacciata/soffocata dal corpo-mente macchina"di AndreaFeedback: 0 |
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lunedì 14 maggio 2001 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Probabilmente il capolavoro più inafferabile di uno dei più inafferabili (anche a se stesso, come tutti i geni) registi della storia del cinema. Un cinema talmente puro quello del Casanova felliniano da lasciare ad “occhi spalancati”, stupiti per una visionarietà che nel suo “concretarsi” nel cinema-falsità tanto amato dal regista è così continuativamente libera da raggiungere un’intensità da Fellini mai più toccata. Proprio questa purezza all’epoca come oggi tende a sconcertare (e in alcuni casi a repellere) l’estimatore felliniano medio. La morte aleggia implacabilmente su ogni inquadratura anche “amorosa” del film, non solo e non tanto attraverso il cerone sul viso di Sutherland, il trucco delle mostruose donne e degli altri personaggi, o attraverso la dominante temporale di tipo notturno e nella scenografia settecentesca (che Fellini non vuole ricreare né filologicamente né sommariamente, anche se indaga il secolo utilizzando una cura formale che trova la sua forza nella capacità di svelare le nascoste miserie dell’epoca e ricorda in questo e nella successione pittorica di “quadri” l’approccio kubrickiano in “Barry Lindon”) ma perché “pulsa”(?!) dentro ogni cosa. Il meccanicismo sessuale e sentimentale di Casanova, derivato da una concezione puramente narcisistica quindi egoistica del sesso/rapporto umano, trova il suo dantesco contrappasso nella solitudine causata dall’incomprensione culturale, che non riguarda tanto l’incapacità di Casanova di affermarsi oltre che come “grande amatore” anche come grande letterato bensì, invece, si estrinseca attraverso la terribile valenza-essenza della solitudine come non-amore. E’ come se, in sostanza, il mondo non riconoscendolo come letterato gli negasse “l’amore sociale” che gli potrebbe concedere (onori, riconoscimenti, ardenti estimatrici...). Per ricordare solo una sequenza (tra le infinite memorabili) citerei quella iniziale in cui al clamore carnascialesco e bacchico dell’umanità si contrappone l’austero e placido silenzio subacqueo nell’inquadratura della divinità (che richiama alla mente per dimensioni il celebre capo di Costantino, frammento di una statua colossale, conservato en plein air nel cortile [non molto distante da Cinecittà!] del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio) che anticipa e inaugura il rapporto/conflitto corpo-anima che permea il film.
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