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Questa opera, sommersa alla sua uscita nel 1973 da critiche pesanti, spesso dovute alla superficialità e prese di posizione rigide di chi le portava avanti, si poneva, come ben affermava il suo autore, come una chiave di lettura dell'Italia, oramai uscita dal periodo cosiddetto del boom economico e piombata nella crisi petrolifera, e una visione spietata sugli italiani che si erano oramai fatti l'espressione del paese.
Già nel suo primo lungometraggio, 'L'assassino' (1961), Petri ci aveva messo in guardia sulla situazione italiana che vedeva emergere squallidi e disumani personaggi in un clima sociale pre-boom.
Vediamo il titolo del film. La proprietà non è più un furto ma...è una malattia: questo il senso nascosto nel titolo del film e il senso palese del film stesso che svolge il tema in una maniera che non lascia scampo a speranza alcuna.
La classe rampante piccolo-borghese nella figura del macellaio, interpretato dall'eccellente Tognazzi, dà la visione chiara e tagliente di coloro che nel nostro paese si sono arricchiti si con il sudore della fronte, ma macchiandosi di mancanza di rispetto di ogni legalità e la messa in opera di furberie varie, pur di aumentare il proprio grado di livello sociale: diventare così i nuovi ricchi ad emulazione della nostra contradditoria borghesia.
Dall'altra parte un modestissimo impiegato di banca, poi disoccupato, che nella propria bramosia di rivolta sociale (sottrarre i beni al macellaio) confonde gli ideali nobili di giustizia con il sentimento dell'invidia: malato, anch'egli mostra come il possesso possa essere allora davvero considerato una malattia. Avere o essere?
E per concludere: grandi tutti gli interpreti, grande la regia e le trovate filmiche che solo un regista come Petri, attento e consapevole del cinema come arte di espressione delle contraddizioni della società in cui viviamo, era in grado di ideare.
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