Brama di vivere

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Un film di Vincente Minnelli. Con Everett Sloane, Anthony Quinn, Kirk Douglas, James Donald, Pamela Brown.
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Titolo originale Lust for Life. Drammatico, durata 122 min. - USA 1956. MYMONETRO Brama di vivere * * * * - valutazione media: 4,08 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Biografico nelle cadenze di avventura che forgia. Valutazione 3 stelle su cinque

di Great Steven


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giovedì 16 luglio 2015

BRAMA DI VIVERE (USA, 1956) diretto da VINCENTE MINNELLI. Interpretato da KIRK DOUGLAS, ANTHONY QUINN, JAMES DONALD, PAMELA BROWN, HENRY DANIELL, EVERETT SLOANE, MADGE KENNEDY
Vita e opere di Vincent van Gogh, dal 1876, anno in cui volle farsi missionario laico per predicare il verbo divino presso una disastrata comunità di minatori belgi, al 1890, il tragico anno in cui uscì dal manicomio di Saint-Rémy per andare a vivere ad Auvers-sur-Oise col fratello Theo per spararsi infine un colpo di pistola allo stomaco. Ottocentocinquanta tele in dieci anni di attività: l’artista olandese fu un pittore alquanto prolifico, e trasferì nei propri quadri le inquietudini ossessionanti che provava con regolare costanza, dipingendo soggetti che l’hanno reso famoso e apprezzato nel mondo (cipressi, chiese, agricoltori al lavoro, ritratti di persone che conobbe, campi arati, edifici colorati). È probabilmente uno dei migliori bio-pic americani degli anni 1950 incentrati sulla figura di un pittore: la veridicità con cui si attiene ai fatti realmente accaduti, la lucidità di uno sguardo non totalmente celebrativo e la potenza espressiva del racconto di formazione sono ammirevoli, e rivelano perfino un sottofondo di critica al perbenismo imperante nell’Europa del XIX secolo, lo stesso di cui van Gogh fu involontariamente vittima nella sua strada verso la conquista di un angolo professionale a lungo agognato e sofferto mediante un patimento estremo. L’aderenza fisica di K. Douglas al suo protagonista è impressionante (la somiglianza ci sta davvero a pennello, visto che si parla di pittura!), mentre il Paul Gauguin di A. Quinn (premiato con l’Oscar per questa interpretazione) è un esempio ragguardevole di crudezza e mascolinità di un artista che realizzava ciò che sentiva, liberandosi delle proprie tossine prima che lo sconvolgessero e applicando alle proprie azioni un concetto di vita assai pragmatico e materialistico. Molti sono i personaggi azzeccati che si muovono intorno all’universo del pittore olandese: Theo van Gogh, mercante d’arte che cercò per tutta la vita di piazzare, sovente con scarso successo, le opere del fratello maggiore; la lavandaia/prostituta Christine, madre di un pargoletto, con la quale van Gogh convisse per un periodo, andando avanti a forza di stenti; il cugino Mauve, che fu uno dei primi a valorizzare il suo lavoro offrendogli il materiale necessario per proseguire con la pittura professionistica; il postino Roulin (somigliantissimo all’originale che van Gogh dipinse in suo celeberrimo ritratto), che gli trovò un’adeguata sistemazione domestica quando si trasferì ad Arles per tentare di fondare una colonia pittorica con a capo l’amico Gauguin; e infine anche il dottor Paul-Ferdinand Gachet (la cui apparizione è effettivamente di durata troppo esigua), che conservava nella propria residenza svariati dipinti tutti realizzati fra le sue mura casalinghe. I momenti più accesi e focosi si riscontrano nel corso della travagliata e drammatica convivenza con Gauguin nel summenzionato paese della Francia meridionale. Sia nei titoli di testa che in quelli di coda si intravedono i ringraziamenti della produzione nei confronti dei numerosi musei che hanno messo a disposizione i quadri dell’indiscusso genio europeo, insieme ai collezionisti che hanno operato il medesimo gesto con infinita disponibilità d’animo. Lodevole anche la vicinanza fra la ricostruzione scenografica e i paesaggi rappresentati su tela. Fra i luoghi più riusciti come ambientazione scenica, spiccano la topaia diroccata e sporca in cui egli dimorò quando faceva il predicatore, la casa di cura e l’abitazione campestre del padre Theodorius, pastore protestante. Un omaggio ben più che decente dalle tinte fosche ma al tempo stesso anche limpide e raggianti, se si osserva il film da una prospettiva che rifiuta il panegirico incondizionato e abbraccia invece una visuale più critica, metodica e riflessiva.

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