Souvenirs d'en France

Film 1975 | Commedia drammatica 90 min.

Regia di André Téchiné. Un film con Jeanne Moreau, Michel Auclair, Marie-France Pisier, Claude Mann, Orane Demazis. Cast completo Genere Commedia drammatica - Francia, 1975, durata 90 minuti.

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Roland Barthes
Roland Barthes

Ho avuto spesso occasione di considerare come i cosiddetti film politici abbiano qualcosa di wagneriano. Infatti, danno origine agli stessi sentimenti che Wagner ispirava a Nietzsche: si riconosce la loro potenza, e ci si accorge che sono artificiosi, pesanti come un dovere, efficaci come una magia morale; insomma, quasi sempre, proprio come il Wagner di Nietzsche: un malinteso. La leggerezza comincia con André Téchiné ("Ciò che è buono è leggero. Tutto ciò che è divino cammina con piedi delicati"). Ed è un avvenimento che interessa sia la teoria del cineasta che la pratica dello spettatore: l'arte impegnata cambia infine il suo regime di linguaggio e si rimette in movimento qualcosa di molto quotidiano: il piacere di andare al cinema: un cinema "che non trasuda" né dal punto di vista politico né da quello commerciale.
Da cosa nasce questa leggerezza? Intanto, dal fatto che sono gli oggetti, in primo piano, a essere trattati politicamente. Brecht, quando vuole parlare di una cosa talmente enorme come la collusione del commercio e della guerra, mette in scena la fibbia di un cinturone. E Téchiné, quando vuol parlare di quel pesante complesso storico che è il gioco della morale e dell'interesse in seno a una famiglia borghese, ciò che fa vedere sono degli strofinacci ben stirati, delle monete d'argento, degli occhiali, delle mani; se il capitalismo americano rimette a galla la vecchia industria familiare, è sotto forma di una macchina da scrivere rossa, maneggiata con noia da una dattilografa a forza di whisky e di cicche; l'attrito tra le classi sociali? un gioco d'ombrelli (oh! quelle piogge del Sud-Ovest!) all'uscita di un cinema di provincia. Ma l'arte, non comincia proprio quando si rendono gli oggetti intelligenti? Quelli di André Téchiné sono animati da un'enfasi leggera, che li rende esclusivamente chiari e quasi felici (un po' ebbri) di esserlo.
È un'arte più ellittica che allusiva, molto leggibile eppure libera da ogni pregiudizio narrativo (e dunque un po' folle). Ci si è felicitati con André Téchiné perché porta al cine ma una nuova arte romanzesca. Sì, il romanzo sta lì; non tanto a titolo di genere narrativo o di pathos psicologico, ma per una necessità di linguaggio: Téchiné sa che i generi non sono mai buoni o cattivi in sé, ma che ognuno di essi è legato a qualche grande struttura della storia umana: la famiglia borghese non può essere raccontata che attraverso il romanzo, perché vi coincide. Nonostante ciò, il racconto di Téchiné è piuttosto perverso: da un lato, gli episodi, nettamente separati l'uno dall'altro, sono assolutamente significanti; sono momenti pregnanti, come voleva Diderot, o tratti di una gestualità sociale, come voleva Brecht (detto di passata, il film di André Téchiné è un'opera assolutamente brechtiana, ma per fortuna, non lo si nota affatto); d'altro canto questi episodi sono così netti, così seducenti, che creano ciò che si potrebbe chiamare dei buchi della narrazione; paradossalmente, sono proprio questi buchi che fanno andare avanti la storia e la rendono significante, senza imbrattarla con una temporalità progressiva (e falsamente progressista): il tempo non è più una lusinga. La componente che determina il successo, è di aver osato applicare al cinema ciò che sappiamo delle mancanze del soggetto narrante (per farlo, non c'è alcun bisogno di assumere un'aria psicotica). Ogni spettatore può provare la novità di questo modo di raccontare osservando che, contro ogni aspettativa, non risulta affatto turbato dai volti di quegli attori che non invecchiano mai per tutto il corso di una vecchia storia. -Ricoprire i volti di rughe, imbiancare i capelli era dunque, da lungo tempo, un'impostura. Che cosa può importare, in fondo, che Berthe, Régina o Hector degenerino a livello corporale, col pretesto che la cronologia ci obbliga a passare dal Fronte Popolare alla Resistenza? Ciò che conta davvero è il loro desiderio: essi desiderano, carnalmente e socialmente, ed è per questo chela storia (la loro, la nostra) avanza: il desiderio è atemporale, come la filosofia, secondo Nietzsche.
Trasmutare invece di far invecchiare, è impedire che le cose "rapprendano", si invischino e si alienino nelle lusinghe del destino, la nevrosi del tempo: ciò che "si sviluppa" (come si usa dire), s'immobilizza; la parola più seria del cinema è: Tagliate! Una parola che dà la chiave di un tono: l'ironia di André Téchiné è assai paradossale: è un'ironia che ha nella nobiltà la sua forza segreta: essa impedisce alla cattiveria di prendere consistenza, la stacca dalla lucidità, come una pelle inutile, elude con leggerezza e, per dire così, amichevolmente, quel po' di paranoia che regola ordinariamente la produzione delle opere intelligenti; in una parola, essa ha la funzione di mettere in uno spettacolo, che per altro non si lascia abbindolare da nulla, una sorta di generosità. Nessuna caricatura, nient'altro che delle rapide prese di distanza, degli zoom di linguaggio: nulla viene imitato, ma soltanto spostato (cioè non sta più al suo posto): Berthe, la lavandaia, nel corso di una serrata contrattazione morale e pecuniaria, si mette inaspettatamente a sviluppare una lunga frase preziosa e sofisticata: è breve e netta come un gag, la firma appena accennata di un delirio; ma questo delirio precipita il discorso borghese della vecchia Augustine: il falso linguaggio cade al fondo del vaso, come la feccia. È divertente? Sì; ma soprattutto perché quest'arte smacchia senza distruggere (che bisogno abbiamo di distruggere questo linguaggio? è sufficiente smacchiarlo), il che rende leggeri; e la leggerezza, quella particolare leggerezza fatta di vigilanza e di allegria, che cos'è a ben vedere? una certa emozione: in fin dei conti!
Da Sul cinema, Il Melangolo, Genova, 1994

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