Se già il polverone delle polemiche si era alzato per “Romanzo criminale”, Michele Plaicido non doveva aspettarsi certo una diversa accoglienza per il suo nuovo (e sempre più “politicamente scorretto”) gangster movie.
Il protagonista è il criminale Renato Vallanzasca (che sta ancora scontando i suoi 260 anni di galera) che negli anni ’70 gettò Milano e la Lombardia nel panico in un’escalation di omicidi, rapine ed evasioni.
L’obiettivo di Placido si allontana dal “branco”, dal gruppo, dalla “banda”, per focalizzarsi sull’”uomo”. L’occhio dello spettatore è continuamente fisso sul bel Renè, come lo era stato a suo tempo quello della cronaca, cui la banda sembra fare quasi da sfondo, da contorno più che mai superfluo.
Un film azzardato e scellerato, giustificato dal regista con una sorta d’indagine pseudopsiclogica del male che, in realtà, più che alla sceneggiatura è lasciata in toto alla straordinaria (e ripeto straordinaria) interpretazione di Kim Rossi Stuart.
Difficile, in quella che finisce per apparire come un enorme chanson de geste, individuare un netto giudizio sulla scottante questione morale sottesa ad ogni gangster movie, forse perché, proprio per il suo accostarsi al modello americano più che al poliziesco all’italiana, il film di Placido lascia il giudizio sospeso e incompiuto, lasciando inevitabilmente trapelare fra i fotogrammi l’ambiguo (e perverso) fascino dell’eroe romantico (nel senso letterario e non letterale del termine).
Non c’è apologia, non c’è analisi profonda del comportamento … ma allora cosa c’è?
Parlando ora del film, e non di Renato Vallanzasca, quello di Placido è una gradita sorpresa per un cinema italiano che ormai riesce ad andare avanti solo grazie a commedie e commediole affidandosi sempre più a personaggi (o meglio, attori) già consacrati alla comicità dalla televisione come Checco Zalone, Albanese e gli altri dei cinepanettoni. E non è solo la sorpresa per un film italiano d’azione adrenalinica (e i registi di film d’azione, in Italia, si contano davvero sulle dita di una mano) ma anche per un attore magnifico e poliedrico come il bel Kim (e il suo “nuovo” accento milanese) e un eccellente colonna sonora firmata dai Negramaro. Un’ottima fotografia e un buon cast internazionale (che però inevitabilmente finisce per sfigurare davanti al Kim “Vallanzasca” Stuart) dà al film una compattezza che gli permette di “farsi vedere” dall’inizio alla fine senza cedimenti (tranne, forse, la parte finale in stile “carcerario”).
“Se il film non fosse su di un assassino contemporaneo … “ “Se solo Placido avesse scelto un personaggio fittizio …” è quello che verrebbe da dire. Ma così non è, e il film dovrà fare sempre i conti con questa sua anima nera.
Il rischio d’immedesimazione, seppur forte, non è comparabile ad altre pellicole “criminali” (non criticate, a quanto ricordo, da nessuno se non voci isolate) e stupide e infondate sono le polemiche sollevate contro un cinema che si vorrebbe solo strumento di comicità o di edificazione morale.
Uniche polemiche giustificate e, a mio avviso, sacrosante, sono quelle dei familiari delle vittime.
Insomma, quello che cerca Placido è la libertà del cinema dalla morale, puro esercizio stilistico o semplicemente un disincantato gangster movie?
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