Ci sono alcuni film (rarissimi purtroppo) tanto complessi, articolati che ritengo, da parte mia, non recensibili, perché so di non essere capace di espimere tutto ciò che il film esprime. Perderei particolari, rimandi, sfumature, sensi e sottosenti. Quindi avevo deciso di non recensire "Un prophete". Poi col tempo tutti i ricordi si essenzializzano, così anche i film. Con il distacco dato dalle settimane passate dalla visione, posso ora parlarne, sapendo di non essere esaustivo, ma senza più il senso di fare qualcosa di sbagliato. Premessa troppo lunga, per chi vuole semplicemente sapere com'è un film, però forse già questa premessa vi ha detto qualcosa.
Un prophete è un film stupendo. Non v'è sbavatura, nessuna caduta di stile, nessun cedimento registico, niente di troppo né troppo poco. Reale quanto deve esserlo. Amorale come è giusto che sia un film che vuole solo rappresentare un'odissea umana senza nulla aggiungere né togliere a quello che già è.
La storia è di un giovane arabo che sconta sei anni in un carcere francese. È l'apologia di un essere umano solo, in un sistema che non si limita ad ignorarlo ma lo sfrutta con disumanità. Non c'è giustizia in questo luogo. L'uomo è sottoposto alle più atroci scelte e situazioni. L'uomo che non è mai né cattivo né buono ma solo umano. Così emergerà e sopravviverà adattandosi ad ogni contesto. Soffrendo e introiettando le regole che governano la realtà che lo circonda. Tenendosi vicine le colpe come fantasmi contro la solitudine, riconoscendo l'amicizia quando arriva e schierandosi dalla parte giusta al momento giusto. E riuscendo, forse, a non vendere la propria l'anima.
Un film che travalica i generi. Riduttivo è dargli un'etichetta.
La prova i Tahar Rahim è semplicemente perfetta. Raramente al cinema ho visto volti tanto umani da sembrare perfettamente veri.
Il regista osserva quanto accade, non giudica, non svela, non fornisce soluzioni. Fa solo una splendida fotografia del carcere in cui viviamo.
Con questo film, insieme al bellissimo "Welcome", a parer mio, la Francia si conferma (insieme ad una certa Inghilterra) vera portavoce della realtà dell'immigrazione nei nostri paesi ricchi. Sembra l'unico occho capare davvero di cogliere il senso dei continui incontri-scontri che avvengono nelle nostre città.
Sarebbe stato bello vedere, su questa locandina, la promozione di Quentin Tarantino, invece che darlo a tante boiate senza spessore, tanto per farci sapere che anche se nel fare è un po' confuso, almeno a vedere è ancora capace.
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