Chiariamolo subito: Il grande giorno, ultima fatica di Aldo, Giovanni e Giacomo (per non parlar di Massimo Venier), non è un capolavoro ma ha un piglio, un’ironia e soprattutto una incertezza sintomatica di questi tempi che non lascia indifferente lo spettatore.
Al centro c’è un matrimonio (il grande giorno appunto) di due giovani che si conoscono da una vita, Elio e Caterina. Come lo sono anche i nostri protagonisti, Giacomo, padre di Elio e Giovanni, di Caterina, commercianti e detentori di un’azienda che produce divani (di qualità?) e come, ogni commedia che si rispetti, dai comportamenti opposti: quanto il primo è pignolo e oculato nell’investimento, tanto il secondo non bada a spese per far sì che quel giorno sia indimenticabile organizzando con certosina precisione un prezzolato wedding-plan con tanto di staff stellato, torta nuziale di pasticceri tirolesi, cardinali ad officiar messe su una villa faraonica del lago di Como (poi ribattezzata Smerdi per la piega che prenderà inevitabilmente il sontuoso preparativo) e cantanti (il cameo di Francesco Renga) ad annunciare con un “Ave o Maria” l’arrivo della sposa. Sposa, tuttavia, incerta sul da farsi come del resto la madre e il futuro marito, ma amaramente avvinta a quella che pare quasi una naturale conseguenza di un legame iniziato anni prima.
E Aldo? Non poteva mancare il caciarone del gruppo che irrompe con l’ex moglie di Giovanni, Margherita (la convincente Lucia Mascino), fuggita anni prima in Norvegia dove ha vissuto da single indipendente e da lui mai dimenticata in un afflato nostalgico. Sarà proprio Aldo, in una scena molto ben fatta, quella della corale Maledetta primavera a riscaldare gli animi dei “milanesi imbruttiti”, svelando ipocrisie e non detti, figlie del legame di coppie stanche che non sembrano sapersi dire nulla di nuovo.
Il lago, irenico e non torbido, come nella cornice drammatica di Io sono l’abisso di Carrisi, svela la superficie entro cui si rifrange il disincanto e la fine delle illusioni secondo il regista Venier, con richiami ingenui alle commedie hollywoodiane (si pensi a quella dei fuochi d’artificio da Hollywood party con Sellers) o del vino d’annata che col carrellino termina la sua corsa vorticosa nello specchio lacustre, testimone indiscreto di una programmata farsa.
Sullo sfondo di una festa in cui nulla andrà evidentemente come pianificato da Giovanni, che baderà a ogni minimo particolare per evitare di far brutta figura con i colleghi, i quali non riserveranno da buoni pettegoli, frecciate al nuovo ospite, Il grande giorno ha il pregio di alternare sapientemente momenti di consolidata malinconia, ad altri di programmatica decadenza, come il matrimonio di Giacomo, avvinto a goccine per calmare ansia, vivendo di fugaci scampoli di ilarità. E’ un film, nel quale, senza volgarità, le donne tornano protagoniste con scelte coraggiose (come la "la barbie vintage" Margherita), con dinamiche genitoriali e tempi comici rispettati dove, evitati alcuni momenti sin troppo risibili, alberga come nel precedente Odio l’estate, la rivoluzione latente personale, mai disfattistica o pessimistica di una scelta, tutta da assaporare, tra dolori e felicità. Una benedetta primavera della vita.
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