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Film che, nella sua prima parte, illude lo spettatore, sia per una location indovinata (il gran fiume Danubio e i sentieri e le ciclabili che corrono lungo le sue rive) sia per un gruppo di personaggi interessanti (dal padre architetto che conduce la sua famiglia in una vacanza in bicicletta lungo le rive del Danubio e intanto cerca case architettonicamente rilevanti da visitare, al giovane figlio 16enne Dídac dagli occhi chiari e dal volto efebico, muto e pensieroso alla ricerca di se stesso) sia infine per quel personaggio evanescente e misterioso che nuota, nudo, sottacqua affianco a Dídac o che gli compare davanti di notte come un fantasma. Fin qui tutta la storia ha il fascino del viaggio sulle sponde del gran fiume e del possibile percorso di formazione dei giovani figli dell'architetto. Poi il film si perde, quando decide (abbandonati a se stessi tutti gli altri personaggi) di materializzare la figura misteriosa che compariva a Dídac, di dargli un nome ("chiamami Alexander") e di mostrare un'improbabile (e già vista) fuga d'amore dei due ragazzi in barca, con (dulcis in fundo) l'improvvisa scomparsa della figura del "visitor" che affida il suo giovane amante alle correnti, in una barca in avaria. Così la storia si trasforma in un simbolo della crescita sentimentale e sessuale del giovane Dídac, diventando didascalica e peccando, nell'ultima scena, di un sentimentalismo dolciastro. Peccato, una bella occasione mancata!
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