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thomas
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martedì 11 febbraio 2025
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tanto rumore per nulla
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In un film della durata di oltre tre ore e mezza si ha tutto il tempo di approfondire in maniera eccezionale la psicologia dei personaggi e di costruire linee narrative estremamente articolate. Basti pensare cosa ? riuscito a fare Sergio Leone nelle tre ore e quarantanove minuti di ?C'era una volta in America? ?. Ebbene, l'unica somiglianza di questo film con il Capolavoro di Sergio Leone ? nella durata spropositata, visto che ?The Brutalist? ? una pellicola davvero brutta e sciupa una quantit? inimmaginabile di tempo ad affastellare stereotipi superficiali degni di una serie televisiva pomeridiana da trasmettere su reti generaliste. Il protagonista, Laszlo Toth, ? un reduce della Shoah che riesce ad emigrare negli Stati Uniti: pur essendo stato un architetto di successo, della sua vita pregressa si sa veramente poco ed il tutto viene trattato in maniera pi? che sbrigativa; vista la durata del film si sarebbe potuto sviluppare un adeguato spazio al retroterra culturale e di vissuto del protagonista, il che avrebbe legato meglio passato presente e futuro, ma niente.
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In un film della durata di oltre tre ore e mezza si ha tutto il tempo di approfondire in maniera eccezionale la psicologia dei personaggi e di costruire linee narrative estremamente articolate. Basti pensare cosa ? riuscito a fare Sergio Leone nelle tre ore e quarantanove minuti di ?C'era una volta in America? ?. Ebbene, l'unica somiglianza di questo film con il Capolavoro di Sergio Leone ? nella durata spropositata, visto che ?The Brutalist? ? una pellicola davvero brutta e sciupa una quantit? inimmaginabile di tempo ad affastellare stereotipi superficiali degni di una serie televisiva pomeridiana da trasmettere su reti generaliste. Il protagonista, Laszlo Toth, ? un reduce della Shoah che riesce ad emigrare negli Stati Uniti: pur essendo stato un architetto di successo, della sua vita pregressa si sa veramente poco ed il tutto viene trattato in maniera pi? che sbrigativa; vista la durata del film si sarebbe potuto sviluppare un adeguato spazio al retroterra culturale e di vissuto del protagonista, il che avrebbe legato meglio passato presente e futuro, ma niente. Laszlo Toth ? un tossicomane, il che avrebbe aperto linee narrative interessanti circa la sua dipendenza: ci si sarebbe aspettati almeno un dialogo di approfondimento su questa sua debolezza con una persona cara, o almeno un tentativo di liberarsi dalla dipendenza indotto oppure consapevole, ma ancora nulla. La storia raccontata nella pellicola si dipana per decenni, ma non c'? quasi alcun riferimento alla Storia, non vi sono agganci capaci di legare, come i veri Capolavori, la storia di un uomo con la Storia dell'Umanit?, se non in due soli casi: l'espresso richiamo alla notizia della nascita dello Stato di Israele ed all'esperimento di un missile supersonico intercontinentale testato dagli USA. La nipote del protagonista, poi, pur essendo praticamente una figlia, ? un mero personaggio di celluloide: non ha uno straccio di sviluppo narrativo se non la sola funzione di rappresentare il bisogno di andare a vivere nel neonato Stato di Israele quasi scappando (addirittura) dagli Stati Uniti. L'amicizia di Laszlo con il nero, poi, ? soltanto un espediente per garantire l'ennesimo stereotipo che dev'esserci nel classico film scritto con gli algoritmi e che richiede situazioni edificanti per il pubblico: per gran parte della storia i due sono dei reietti della societ?, ci si aspetterebbe dei dialoghi ricchi di empatia e significato, ma nulla, ancora una volta tutto rimane in superficie. E che dire degli sviluppi della trama insensati? La moglie del cugino accoglie Laszlo, lo tratta come una persona di famiglia e poi lo accusa ingiustamente di averla insidiata ? Perch? avrebbe avuto questo cambiamento repentino di comportamenti nei suoi confronti? Non si sa. Il magnate che vuole costruire un mausoleo in memoria della propria madre passa dall'ospitare Laszlo alla propria tavola con tutti i riguardi al tirargli all'improvviso un cent per svilirlo dinnanzi alla moglie appena arrivata dall'Ungheria (peraltro grazie al suo aiuto economico). Cosa lo induce ad avere tale repentino cambio di comportamento? Non si sa. La moglie di Laszlo accusa il magnate di aver fatto del male al marito ed il magnate si d? alla macchia con decine di persone che lo cercano con le torce di notte (va beh, questa ? proprio da telefilm ?). Per non parlare della scena nella cava di marmo di Carrara con un ?anarchico? (!) che dichiara di aver fatto la Resistenza (le parole comunista o socialista sono proprio bandite ?) e, stereotipo tra gli stereotipi, gli italiani che la sera nella cava ovviamente ballano. Il ritmo ? peraltro lento, il montaggio scolastico e la colonna sonora non convincente. Nonostante le sperticate lodi riteniamo ?The Brutalist? un film noioso, malriuscito, svolto a tesi, non a caso calibrato su una persona che non ? mai esistita. Abbiamo gi? assistito impassibili ad oltraggi al Cinema come gli Oscar al miglior film assegnati a ?CODA? ed a ?Everything Everywhere All at Once?, saremo forti e non ci sgomenteremo neanche stavolta.
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felicity
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venerdì 20 giugno 2025
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intimo ed epico
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The Brutalist è un film vecchio stampo, che richiama il cinema del passato.
Il film è sembra provenire da un’epoca in cui il cinema era sinonimo di ambizione artistica e profondità narrativa. La narrazione non si limita a raccontare una storia, ma noi stessi siamo testimoni della sua nascita.
Tutto ciò che vediamo è insieme intimo ed epico, una riflessione su temi universali come l’identità, il sacrificio e il costo emotivo del progresso.
Le performance degli attori sono straordinarie: Adrien Brody fa un lavoro pazzesco, mostrandoci un personaggio desideroso di costruire un futuro migliore, ma alle prese con i propri demoni interiori.
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The Brutalist è un film vecchio stampo, che richiama il cinema del passato.
Il film è sembra provenire da un’epoca in cui il cinema era sinonimo di ambizione artistica e profondità narrativa. La narrazione non si limita a raccontare una storia, ma noi stessi siamo testimoni della sua nascita.
Tutto ciò che vediamo è insieme intimo ed epico, una riflessione su temi universali come l’identità, il sacrificio e il costo emotivo del progresso.
Le performance degli attori sono straordinarie: Adrien Brody fa un lavoro pazzesco, mostrandoci un personaggio desideroso di costruire un futuro migliore, ma alle prese con i propri demoni interiori. La regia di Brady Corbet non cerca mai di compiacere il pubblico, anzi lo sfida.
The Brutalist è una pellicola destinata a far discutere, un’opera che divide gli spettatori e dà vita a opinioni contrastanti.
Non che The Brutalist sia un film perfetto, qualcosa forse non torna nella seconda parte, ma nel suo gigantismo espressivo mi pare un esperimento di grande fantasia e invenzione, anche una torva metafora sui temi della creatività, in questo caso architettonica.
The Brutalist è un film-cattedrale sui tormenti di un artista, i suoi furori ed eccessi, i rapporti ancestrali e violenti con la committenza, ma anche con i propri familiari, segnati dalla tossicodipendenza dall’oppio, ma anche dalla sua dedizione maniacale al lavoro e alla messa a punto della sua visione dell’architettura e del mondo, che per lui sono ovviamente la stessa cosa, specie nel brutale, destabilizzante coercitivo squilibrio di forze che lo agitano.
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mauridal
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lunedì 3 marzo 2025
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brutalmente ambizioso
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Quando un film si presenta chiaro fin dalle prime inquadrature, ma poi si sviluppa su molteplici temi per tre ore e mezza, il rischio è che il significato ultimo si disperda. The Brutalist è un esempio di cinema ambizioso, dove l'eccesso può talvolta offuscare l'intento del regista. Il film si apre con un'immagine potente: la Statua della Libertà capovolta. Per lo spettatore, è un simbolo ribaltato, mentre per il protagonista, che sbarca in America, essa rappresenta la speranza di una nuova vita.
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Quando un film si presenta chiaro fin dalle prime inquadrature, ma poi si sviluppa su molteplici temi per tre ore e mezza, il rischio è che il significato ultimo si disperda. The Brutalist è un esempio di cinema ambizioso, dove l'eccesso può talvolta offuscare l'intento del regista. Il film si apre con un'immagine potente: la Statua della Libertà capovolta. Per lo spettatore, è un simbolo ribaltato, mentre per il protagonista, che sbarca in America, essa rappresenta la speranza di una nuova vita. Questo spunto visivo introduce il tema dell’emigrazione, già esplorato in molte altre opere cinematografiche, ma qui declinato attraverso la storia di un uomo che non porta con sé una semplice valigia di cartone, bensì un bagaglio di talento e genialità. Laszlò Toth, ebreo ungherese e architetto, fugge da Budapest nel 1947 per evitare la persecuzione nazista e per realizzare la sua visione artistica in America. Formatosi nel dopoguerra secondo i principi dell'architettura moderna del Bauhaus, abbraccia lo stile brutalista, caratterizzato dalla rudezza dei materiali e dal rigore delle forme: edifici in ferro, acciaio e cemento grezzo, privi di decorazioni superflue. Questa concezione architettonica riflette anche la sua psicologia, segnata da un passato di dolore ma animata dal desiderio di cambiare il mondo con la propria arte. Tuttavia, nel corso del film, queste certezze vengono progressivamente smantellate.La statua capovolta si rivela dunque un presagio: l’America degli anni ’50 è un Paese in espansione, dominato dalla ricchezza e dall’ostentazione, un contesto in cui il rigore formale di Laszlò fatica a trovare spazio. Nonostante il supporto di un cugino già integrato nella società americana, è costretto ad accettare lavori minori, come arredatore. Accanto a lui, c'è la moglie, rimasta in Ungheria in attesa di poterlo raggiungere. Il loro legame è profondo, e la sua presenza aleggia costantemente nei pensieri e nelle scelte di Laszlò. La vera svolta arriva con l’entrata in scena del magnate miliardario Harrison Lee Van Buren, che decide di affidare a Laszlò la progettazione di un grande centro culturale in memoria della madre. Quella che sembra un’opportunità straordinaria si trasforma però nell’inizio di una parabola discendente, segnata da compromessi, scontri e sofferenze. Il film si struttura allora su un dualismo sempre più netto tra i due personaggi: da un lato il committente, un uomo di potere dalla personalità violenta e manipolatrice, dall’altro l’architetto visionario, sottomesso alla logica del denaro e vittima di discriminazioni. Brady Corbet evidenzia con forza la disparità tra il potere economico, concentrato nelle mani di pochi miliardari, e la lotta di artisti e creativi che cercano di lasciare un segno nella società. Nel lungo percorso narrativo, lo spettatore è chiamato a distinguere tra queste due figure e a cogliere la scelta del regista di far prevalere la brutalità di Harrison sul sogno di Laszlò. Solo nel finale l’architetto riuscirà a ritrovare sua moglie e a proseguire il suo lavoro, completando il progetto che gli era stato sottratto. Corbet, estraneo alle logiche di Hollywood, realizza così un'opera critica nei confronti del sistema americano. Il film affronta molteplici temi, tra cui la psicologia del protagonista e la sua vana ricerca di una terra promessa che l’America non si rivelerà essere. The Brutalist è un’opera impegnativa sia per il regista che per lo spettatore, ma trova il suo punto di forza nella straordinaria interpretazione di Adrien Brody, che rende Laszlò un personaggio credibile e intenso, nonostante la complessità della sceneggiatura.( Mauridal)
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clara stroppiana
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mercoledì 5 marzo 2025
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quel troppo che non giovca
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“The Brutalist è uno dei pochi film che parlano di architettura”. Lo ha affermato lo stesso regista, lo statunitense Brady Corbet. Nella locandina è ripreso un fotogramma in cui la Statua della Libertà è rappresentata a testa in giù e le scritte sono disposte in diagonale. Sembra dirci che gli ideali espressi da quel monumento hanno subito uno scossone e siamo di fronte a un periodo di grandi cambiamenti. In effetti questo è un film con varie tracce, anche se si è scelto di annunciarlo come il racconto di una corrente architettonica, il Brutalismo, fatto attraverso la biografia di un suo esponente, “il brutalista” del titolo: l’architetto László Tóth interpretato da Adrien Brody (Oscar al miglior attore protagonista) un ebreo ungherese, formatosi alla Bauhaus, che aveva ottenuto notorietà e successo.
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“The Brutalist è uno dei pochi film che parlano di architettura”. Lo ha affermato lo stesso regista, lo statunitense Brady Corbet. Nella locandina è ripreso un fotogramma in cui la Statua della Libertà è rappresentata a testa in giù e le scritte sono disposte in diagonale. Sembra dirci che gli ideali espressi da quel monumento hanno subito uno scossone e siamo di fronte a un periodo di grandi cambiamenti. In effetti questo è un film con varie tracce, anche se si è scelto di annunciarlo come il racconto di una corrente architettonica, il Brutalismo, fatto attraverso la biografia di un suo esponente, “il brutalista” del titolo: l’architetto László Tóth interpretato da Adrien Brody (Oscar al miglior attore protagonista) un ebreo ungherese, formatosi alla Bauhaus, che aveva ottenuto notorietà e successo. La sua brillante carriera si era interrotta nel ’43 quando era stato deportato nel campo di Buchenwald. Sopravvissuto, era riuscito a raggiungere gli Stati Uniti con la speranza di una nuova vita. Meglio dire subito che László Tóth non è mai esistito. Inutile andarlo a cercare in rete dove si troverebbe solo il suo omonimo, quell’ungherese che vandalizzò La Pietà michelangiolesca a San Pietro. Il nostro e’ un personaggio immaginario uscito dalla penna dei due sceneggiatori: lo stesso Corbet e Mona Fastvold. Eppure mentre assistiamo allo svolgersi della sua vita, dimentichiamo di essere in presenza di un “falso”, almeno fino a un certo punto. Per la costruzione del protagonista si sono avvalsi delle biografie di alcuni architetti cronologicamente e artisticamente vicini. Questo da una parte lo ha reso verosimile, ma dall’altra ha finito per caricare sulle sue spalle troppe delle problematiche dell’epoca con un effetto “too much”.
Il film parte da un’idea interessante, prendere in prestito l’architettura per disegnare il ritratto di un Paese (di una parte di Mondo in verità) che sta costruendo il nuovo sulle macerie di un passato verso il quale ha il dovere della memoria. Nello sviluppo però si perde e non riesce a controllare la mole delle vicende che si propone di raccontare.
La Storia si affaccia attraverso gli schermi televisivi su cui passano brevi estratti dei notiziari dell’epoca ad accompagnare sia quel che accade nel privato dei personaggi, sia i conflitti che caratterizzano la società americana dell’immediato Dopoguerra e le ferite ancora sanguinanti rispetto alle quali non tutti riescono o vogliono voltare pagina. Non sempre questa scelta funziona: a volte fornisce allo spettatore informazioni necessarie, ma altre appaiono pleonastiche, come la notizia del diffondersi dell’eroina dalla quale il protagonista ha sviluppato una dipendenza. L’impressione è che Corbet non sia riuscito a sfrondare il superfluo, che si sia fatto prendere la mano dalla preoccupazione di dover dire e spiegare tutto. Il breve riferimento alle azioni dei partigiani italiani fatto durante la visita ai marmi di Carrara non solo è inutile, ma rovina l’emozionante ripresa delle cave del britannico Lol Crawley che si è aggiudicato l’Oscar per la miglior fotografia. Lo stupro di Tóth da parte di Harrison Lee Van Buren (un ottimo Guy Pearse), un ricco industriale diventato suo mecenate, è una metafora eccessiva, non necessaria per esprimere quella violenza che di fatto esercita chi detiene il potere economico, già ben esplicitata in tutta la narrazione.
Nello svolgimento della trama, che abbraccia all’incirca gli ultimi trentacinque anni della difficile vita del protagonista, lo spettatore apprende per sommi capi i principi estetici del Brutalismo: le béton brut (cemento a vista) da cui prende nome e la semplice geometria delle forme. Principi esemplificati da un grandioso edificio che Van Buren vuole far costruire in cima a una collina e dedicare alla memoria della madre. Dal momento della sua progettazione, alla realizzazione del plastico, ai lavori per la sua edificazione, diventa il cardine della vita di László, l’oggetto dei suoi tormenti interiori e delle lotte che deve sostenere con i cittadini, l’appaltatore, le maestranze, perfino la moglie, perché tutti, per motivi diversi, minacciano di allontanarlo dal suo progetto e di snaturarne l’essenza. Le scelte estreme a cui arriva per difenderlo non risiedono tanto, o non solo, nelle convinzioni artistiche, quanto nel legame che l’edificio ha con i campi di sterminio che hanno segnato la sua vita, quella della sua famiglia e di un intero popolo. L’opera rimanda anche visivamente al monumento alle vittime dell’olocausto di Berlino e non avrebbe affatto bisogno dello “spiegone” con cui il film si conclude nell’Epilogo.
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jonnylogan
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domenica 23 febbraio 2025
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un (parziale) capolavoro
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Dieci candidature agli Oscar per una pellicola firmata dal 37enne regista, e ancor prima attore; Brady Corbet, che nel 2007 appariva fra i protagonisti del remake, shot-for-shot, di Funny Games (id.; 2007). Per l’occasione Corbet crea una personale crasi fra una branca dell’architettura e le testimonianze dei sopravvissuti all’Olocausto. Vergando una sceneggiatura a quattro mani con la moglie Mona Fastvold, che affonda le proprie radici in una vicenda umana che ricorda quella di migliaia di altri scampati alla furia nazista e che con fatica si sono mossi verso il ‘nuovo mondo’ alla ricerca di una vita migliore, pur senza dimenticarsi quello che li aveva psicologicamente segnati in maniera irrimediabile.
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Dieci candidature agli Oscar per una pellicola firmata dal 37enne regista, e ancor prima attore; Brady Corbet, che nel 2007 appariva fra i protagonisti del remake, shot-for-shot, di Funny Games (id.; 2007). Per l’occasione Corbet crea una personale crasi fra una branca dell’architettura e le testimonianze dei sopravvissuti all’Olocausto. Vergando una sceneggiatura a quattro mani con la moglie Mona Fastvold, che affonda le proprie radici in una vicenda umana che ricorda quella di migliaia di altri scampati alla furia nazista e che con fatica si sono mossi verso il ‘nuovo mondo’ alla ricerca di una vita migliore, pur senza dimenticarsi quello che li aveva psicologicamente segnati in maniera irrimediabile.
L’epopea dell’immaginario architetto Toth diventa fra le mani di Corbet una peregrinazione fra le sue fobie e i suoi vizi. Impossibile non notarne la dipendenza da stupefacenti, dall’alcool e dalle sigarette. Il cui romanzo di vita è scomposto in tre capitoli: L’enigma dell’arrivo. Il nocciolo duro della bellezza, fino a una conclusione (Epilogo) che spiega molto, ma non tutto, delle scelte di vita e professionali di un uomo che come tutti è pieno di dubbi, incertezze e punti oscuri, che a fine film saranno solo in parte svelati.
Adrien Brody, nel ruolo di un protagonista dotato di un talento inaudito per la progettazione di ambienti, e dopo il ruolo di Władysław Szpilman ne Il Pianista (The Pianist; 2002) di Roman Polanski, prenota una seconda statuetta per il ruolo di un nuovo sopravvissuto ai campi di sterminio. Al suo fianco un cast di alto profilo, nel quale svetta Guy Pearce nella parte del mecenate Van Buren, per una pellicola nel complesso osannata da critica e incassi e capace di prenotare altre nove possibili statuette. Ma anche film la cui lunghezza può rappresentarne un handicap. In cui la narrazione si perde in elucubrazioni probabilmente superflue e il cui intento del regista era di certo quello di narrare una storia universale ma nella quale, per quanto le buone intenzioni iniziali sono in parte rispettate, la fanno principalmente da padrone la capacità di ottenere un prodotto curato nei dettagli e spendibile come film di cassetta dal facile successo commerciale.
Film consigliabile a chi ama le passioni vissute nella loro forma più pura e viscerale. Ma film che ci sentiamo di sconsigliare a chi non apprezza le pellicole fiume che si perdono nei meandri mentali dell’autore e del suo protagonista.
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francesca meneghetti
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venerdì 14 febbraio 2025
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un'epitome del '900 e dei suoi drammi
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Tre ore e mezza di film sono di per s? un deterrente: se non si ? pi? giovani, si corre il rischio di alzarsi dalla poltrona anchilosati, o di non alzarsi affatto. Erano tutti necessari i 215 minuti di proiezione (intervallati da 15 minuti di pausa)? Forse proprio tutti no. Alcune sequenze, come quelle tra le Alpi apuane, potevano essere sveltite, e altre ancora. Ma non ? questo il punto: alla fine il film si regge perch? coinvolge, facendo perno sul mestiere di uno straordinario Adrien Brody, insuperabile nell?esprimere sentimenti come dolore, disperazione, rabbia. ? lui a interpretare il protagonista, L?szl? T?th affermato architetto di Budapest, proveniente dalla scuola del Bauhaus. Una figura di fantasia, perch? l?unico omonimo nella realt? ? un geologo australiano che prese a martellate la Piet? di Michelangelo nel 1972 (elemento in comune con Laszlo: l?attrazione per il marmo di Carrara).
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Tre ore e mezza di film sono di per s? un deterrente: se non si ? pi? giovani, si corre il rischio di alzarsi dalla poltrona anchilosati, o di non alzarsi affatto. Erano tutti necessari i 215 minuti di proiezione (intervallati da 15 minuti di pausa)? Forse proprio tutti no. Alcune sequenze, come quelle tra le Alpi apuane, potevano essere sveltite, e altre ancora. Ma non ? questo il punto: alla fine il film si regge perch? coinvolge, facendo perno sul mestiere di uno straordinario Adrien Brody, insuperabile nell?esprimere sentimenti come dolore, disperazione, rabbia. ? lui a interpretare il protagonista, L?szl? T?th affermato architetto di Budapest, proveniente dalla scuola del Bauhaus. Una figura di fantasia, perch? l?unico omonimo nella realt? ? un geologo australiano che prese a martellate la Piet? di Michelangelo nel 1972 (elemento in comune con Laszlo: l?attrazione per il marmo di Carrara). Il personaggio creato dal regista Brady Corbett ? un ebreo, riuscito a scampare al campo di concentramento di Buchenwald, mentre sua moglie era finita a Dacau. Ma ? viva: lo scopre il lettore, prima del protagonista, grazie all?artificio di far scorrere il testo di una sua lettera mentre Laszlo ? imbarcato e diretto negli States. La classica immagine della statua della libert? che appare alla fine del viaggio ? per? ruotata, quasi ad ammonire che l?America non ? esattamente la terra promessa. Il percorso di Laszlo ? lungo e complesso: forse non ha nemmeno senso raccontarlo nei dettagli. Si pu? dire che lui ? emblema di un?Europa ferita e divisa dal nazifascismo, ma ricca di cultura, di progetti visionari, mentre il suo ?antagonista?, il mecenate Van Buren (che a volte sembra alleato e protettore) rappresenta una nazione ricca, che aspira alla cultura, ma ha sempre la mano in tasca a controllare il portafoglio. Un?America wasp, che diffida degli stranieri e degli ebrei, come dei neri, visto che un amico fidato di Laszlo ? un umo di colore. (qui il regista si adegua al politically correct imperante a Hollywood: ma ? anche vero che pu? diventare ossessivo cercare gli allineamenti, veri o presunti, alle sue regole). Nella seconda parte del film, intitolata ?Il nocciolo duro della bellezza?, si assiste all?arrivo in America della moglie (ridotta in carrozzina da osteoporosi da denutrizione) e la nipote, che ha perso la parola. In questo periodo sembra potersi realizzare il pi? grandioso progetto di Laszlo, commissionato da Van Buren: un centro polivalente. In realt? ? proprio questo che fa scoppiare le contraddizioni: Laszlo esige che sia rigorosamente rispettato il suo progetto, basato sull?uso del calcestruzzo (canonizzato dall?architettura brutalista). Il committente, attraverso sottoposti, cerca di sforbiciare i costi. Laszlo paga di tasca sua le differenze. Si capir? alla fine che i soffitti alti, le pareti cementate su cui non transige sono una costruzione di memoria: rappresentano simbolicamente il campo di concentramento, le persecuzioni subite (come il memoriale dedicato agli ebrei a Berlino). Le alterne e complesse vicende che ruotano a questo progetto, sommate alle difficolt? a ritrovare l?intimit? con la moglie, causano crisi di disperazione, che portano Laszlo a fare uso di eroina. Van Buren lo scopre, e se ne approfitta sadicamente, in quel di Carrara. L?epilogo racconta una mostra ad honorem a Venezia. Il film ? complesso: abbiamo taciuto altri personaggi (meritava di essere ricordata almeno la moglie di Laszlo, una delle personalit? pi? forti, nonostante le sue crisi di panico notturne), e altri temi che spaziano dall?architettura alla storia. Ci ha colpito, oltre a una colonna sonora suggestiva, anche il montaggio che unisce fotogrammi statici, suggerendo la sensazione di un album fotografico. Alla fine le tre ore e mezza sono passate e affatto male.
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giovanni morandi
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sabato 15 febbraio 2025
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film smisurato in tutti i sensi
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È il film del momento, 10 anni di lavorazione, 10 candidature agli Oscar, 3 Golden Globe, e una durata di 3 ore e mezzo, con in più la nuova reintroduzione dell'intervallo tra la prima e la seconda parte (secondo me, la meno riuscita).
Circa la durata da taluni criticata, mi piace ricordare che molti film lo hanno preceduto come lunghezza (per tutti, oltre al classico Via col Vento, il più recente Killers of the Flower Moon di Scorsese...); circa l'intervallo lo ritengo utile, se non come dichiarato l'autore, Corbet, in un'intervista "per fumare 3 sigarette o farsi una scopata in bagno...", per dar modo allo spettatore di pensare a quello che ha visto, magari commentando col vicino di sedia.
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È il film del momento, 10 anni di lavorazione, 10 candidature agli Oscar, 3 Golden Globe, e una durata di 3 ore e mezzo, con in più la nuova reintroduzione dell'intervallo tra la prima e la seconda parte (secondo me, la meno riuscita).
Circa la durata da taluni criticata, mi piace ricordare che molti film lo hanno preceduto come lunghezza (per tutti, oltre al classico Via col Vento, il più recente Killers of the Flower Moon di Scorsese...); circa l'intervallo lo ritengo utile, se non come dichiarato l'autore, Corbet, in un'intervista "per fumare 3 sigarette o farsi una scopata in bagno...", per dar modo allo spettatore di pensare a quello che ha visto, magari commentando col vicino di sedia..."ammesso che non si sia addormentato".
Il film non credo e non ritengo giusto che sia premiato con 10 statuette, ma 1 senz'altro la merita l'interpretazione superba di Adrian Brody.
L’autore dà allo spettatore la sensazione di trovarsi davanti a un biopic nell’epoca in cui ogni falsità pare vera. Qui ogni dettaglio di fiction è intessuto di realtà e realismo, imbevuto di verità. La drammaturgia e la messa in scena consentono allo spettatore un’immersione totale nel mondo "altro". Nel dolore e nello sguardo di un architetto di genio e sregolatezza (avrà dipendenze da alcol e droghe). Toth (Brody) e il magnate Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce) faranno insieme un viaggio fino a Carrara, per scegliere i marmi direttamente da una cava. La terra delle cave e dell’anarchismo (a cui sembra affine l’ebreo ungherese Toth) sarà purtroppo il luogo di una violenza indicibile, girata in campo lungo.
Inutile dire che una caterva di architetti ha fatto una levata di scudi, non so se professionale, contro la pellicola, ma resta il fatto che l'opera resterà a lungo nella Storia della settima arte.
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cardclau
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giovedì 20 febbraio 2025
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il bello ? ci? che piace senza concetto
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Il film di Brady Corbet, The Brutalist, rappresenta un tentativo di raccontare un'epopea dalla fine della seconda guerra mondiale fino all'invasione dell'Ungheria da parte dell'Unione Sovietica nel 1956. Racconta la storia di una famiglia di emigranti ebrei ungheresi (è un famoso architetto che ha studiato alla scuola Bauhaus, sotto lo pseudonimo di László Tóth). Il quadro risulta molto più complesso di quanto sembri perché prende in considerazione una serie di aspetti: come un campo di sterminio possa cambiare per sempre la personalità di un essere umano, non importa quanto sia brillante, non importa quanto duramente si cerchi di elaborare quella perdita; come i sopravvissuti di un campo di sterminio vengano tenuti in limbo, nessuno li vuole, e i Sionisti cristiani evangelici, americani e britannici, per non averli fra i piedi, inventano Israele (con il sostegno dell'Antico Testamento) tanto la Palestina è disabitata, l'inizio del colonialismo di insediamento, che finirà con l'eliminazione dell'ultimo arabo palestinese; come i ricchi americani (che controllano tutto) hanno solo il denaro come loro Dio; usano gli stranieri nella loro battaglia nella guerra fredda, per ottenere manodopera a basso costo, per espandere i loro mercati dove impongono le loro regole; comprendono l'unico aspetto dell'arte o della scienza che gli interessi: guadagnare ancora più denaro (non conoscono assolutamente il detto di Kant: il bello è ciò che piace senza concetto).
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Il film di Brady Corbet, The Brutalist, rappresenta un tentativo di raccontare un'epopea dalla fine della seconda guerra mondiale fino all'invasione dell'Ungheria da parte dell'Unione Sovietica nel 1956. Racconta la storia di una famiglia di emigranti ebrei ungheresi (è un famoso architetto che ha studiato alla scuola Bauhaus, sotto lo pseudonimo di László Tóth). Il quadro risulta molto più complesso di quanto sembri perché prende in considerazione una serie di aspetti: come un campo di sterminio possa cambiare per sempre la personalità di un essere umano, non importa quanto sia brillante, non importa quanto duramente si cerchi di elaborare quella perdita; come i sopravvissuti di un campo di sterminio vengano tenuti in limbo, nessuno li vuole, e i Sionisti cristiani evangelici, americani e britannici, per non averli fra i piedi, inventano Israele (con il sostegno dell'Antico Testamento) tanto la Palestina è disabitata, l'inizio del colonialismo di insediamento, che finirà con l'eliminazione dell'ultimo arabo palestinese; come i ricchi americani (che controllano tutto) hanno solo il denaro come loro Dio; usano gli stranieri nella loro battaglia nella guerra fredda, per ottenere manodopera a basso costo, per espandere i loro mercati dove impongono le loro regole; comprendono l'unico aspetto dell'arte o della scienza che gli interessi: guadagnare ancora più denaro (non conoscono assolutamente il detto di Kant: il bello è ciò che piace senza concetto). È chiaro, in questa visione, che László Tóth sia un perdente, l'immagine è particolarmente dolorosa e Adrien Brody è in grado di esprimerla a tutto spessore, in modo piuttosto convincente, una figura, piena, nel mondo uscito dalla seconda guerra mondiale, ma nuovamente uscito dai cardini, forse per l'ultima volta.
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goldy
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venerdì 7 febbraio 2025
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soeranze vane
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Nel titolo troviamo la chiave di lettura del film. Brutalist viene definito lo stile del ll’architettura del movimento della Bahaus tedesca degli anni ‘30. Usavano il cemento come materiale per le costruzioni lasciato a vista senza infingimenti per ammorbidirne la fredda e cruda consistenza.
E’ la stessa concreta durezza che caratterizza gli intenti creativi dell’architetto Toth, un ebreo ungherese immigrato negli USA, sopravvissuto a Buchenwald.
Profondamente segnato dalla sua esperienza , ha interiorizzato un codice di comportamento non incline al compromesso. Ha la stessa durezza del cemento che vuole mettere nelle sue creazioni incapace di piegarsi ai numerosi compromessi inevitabili per portare a termine la grandiosa opera che gli è stata commissionata.
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Nel titolo troviamo la chiave di lettura del film. Brutalist viene definito lo stile del ll’architettura del movimento della Bahaus tedesca degli anni ‘30. Usavano il cemento come materiale per le costruzioni lasciato a vista senza infingimenti per ammorbidirne la fredda e cruda consistenza.
E’ la stessa concreta durezza che caratterizza gli intenti creativi dell’architetto Toth, un ebreo ungherese immigrato negli USA, sopravvissuto a Buchenwald.
Profondamente segnato dalla sua esperienza , ha interiorizzato un codice di comportamento non incline al compromesso. Ha la stessa durezza del cemento che vuole mettere nelle sue creazioni incapace di piegarsi ai numerosi compromessi inevitabili per portare a termine la grandiosa opera che gli è stata commissionata. Impdimenti tecnici, economici, culturali, per non parlare del fallimento nel rapporto di amicizia col suo mecenate e in generale amareggiato dalla percezione di non essere accettato in quanto ebreoe Tutto si sgretola e la speranza di conservare la propria integrità professionale e di vita ne esce sconfitta.
Molta carne al fuoco per un film ambizioso e evangelico che induce a riflessioni profonde quanto fragili e destinate al fallimento. No, non è la freddezza del cemento che cerchiamo, non siamo in grado di reggerne l’inflessibilità . Ci avevano provato con i greci ma poi abboiamo sterzato su una via di fuga consolatoria nel pensiero cristiano che tuttavia ora sta sempre più impallidendo senza intravvedere un’alternativa al nostro vivere.
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