NOTTURNO
C’è un indizio che suggerisce la grandezza di “Notturno” di Rosi: il non aver ricevuto un premio nel concorso ufficiale al Festival di Venezia. Proprio perché questo film non è solo un racconto di straziante verità, ma testimonianza di un cinema che ha la forza di interrogarsi, di mettere in gioco le proprie stesse radici, di trovare un autentico spazio per qualcosa che non assomiglia a nient’altro.
“Notturno” è un’epifania: lo si guarda ed è come se affiorasse un racconto rimosso, un nucleo di testimonianza umana e partecipazione che mancava dalle centinaia di telegiornali e reportage che ognuno di noi ha visto sul Medio-Oriente. Ciò che non poteva essere raccontato, che non faceva notizia, che non reggeva il ritmo implacabile delle news.
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NOTTURNO
C’è un indizio che suggerisce la grandezza di “Notturno” di Rosi: il non aver ricevuto un premio nel concorso ufficiale al Festival di Venezia. Proprio perché questo film non è solo un racconto di straziante verità, ma testimonianza di un cinema che ha la forza di interrogarsi, di mettere in gioco le proprie stesse radici, di trovare un autentico spazio per qualcosa che non assomiglia a nient’altro.
“Notturno” è un’epifania: lo si guarda ed è come se affiorasse un racconto rimosso, un nucleo di testimonianza umana e partecipazione che mancava dalle centinaia di telegiornali e reportage che ognuno di noi ha visto sul Medio-Oriente. Ciò che non poteva essere raccontato, che non faceva notizia, che non reggeva il ritmo implacabile delle news. Ciò che mancava per comprendere, cioè fare profondamente nostro, quel che succede agli umani che hanno la ventura di vivere in quella terra. “Notturno” lavora a questo affioramento del rimosso con le armi della poesia e del cinema, con il coraggio di un cineasta che arriva solo, in terra straniera, con un’Arri Mini e tre obbiettivi: senza luci, senza camion e roulotte, senza troupe.
È passato il fuoco della battaglia, e gli inviati di guerra hanno spento le spotlight sulle telecamere, lasciato i loro alberghi. Su quelle terre cala il silenzio, la notte della nostra indifferenza. È in questa notte, tra quelle ceneri, che indaga e vaga “Notturno”, alla ricerca di confini che non vediamo mai: confini coloniali, arbitrari, come ormai tutti i confini. C’è in tutto il film un solo richiamo all’identità nazionale, al patriottismo, quando dei volonterosi ricoverati in un manicomio sono coinvolti da un regista per mettere in scena una stonata e retorica pièce patriottica.
Abbiamo parlato di epifania. Ed è ancora più doloroso che un “festival d’arte cinematografica” non colga la potenza di un cinema che si riappropria tecnicamente, artisticamente, ideologicamente del modo in cui si fa un film. Sfuggendo ai tempi contingentati, alla luce artificiale, all’impatto di una troupe sulla realtà che si vuole raccontare. Assimilando il lavoro del regista a quello dei grandi fotografi viaggiatori. Evadendo i confini delle sovvenzioni e delle lingue nazionali che avviliscono il cinema europeo nella ripetizione inerte di modelli passati. Il frutto di questo percorso artistico di Rosi è un film unico e crepuscolare che riempie un vuoto di verità nelle nostre coscienze.
Tante sono le immagini che rimangono con noi. Un piccolo cavallo bianco è stato lasciato dal suo cavaliere in mezzo a un incrocio trafficato, mentre la notte avanza. Lo sguardo muto, sperso. Un’inquadratura lunga, tenuta, che compie il miracolo di farci trascorrere in una solitudine che incombe come una fine. Sovrastata dai rumori di una grande città, l’innocenza dei suoi occhi non ci parla solo di Medio Oriente, ma della libertà di un cinema nuovo.
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