Così affermava Carmengloria Morales nel 1974: «I valori dimensionali sono implicitamente connessi alla mia pittura ma al di fuori di ogni programma illusionistico o prossemico (mi riferisco a certi ordini di rapporti che possono intercorrere tra quadro e spettatore come quelli di tipo "avvolgente", con la vocazione all'environment, e con perdita della visione complessiva). Mi interessa invece insistere sulle focalità medie, in modo da poter sempre controllare i confini percettivi e percepibili. Questo atteggiamento di riflessione sulle potenzialità implicite del mio linguaggio mi muove una necessità di analisi delle strutture (nel senso più oggettivo) interne della pittura e della loro articolarsi secondo relazioni pure, fondamentali.»
Nata nel 1942 a Santiago del Cile e trasferitasi in Italia dieci anni dopo, Carmengloria Morales ha iniziato a dipingere da giovane subito completati gli studi di liceo artistico. Ha vissuto a Roma negli anni Sessanta, famosi per il grande fermento culturale. La sera attorno a Piazza del Popolo poteva incontrare registi, pittori, letterati come Federico Fellini, Achille Perilli, Gastone Novelli, Umberto Eco e Pierpaolo Pasolini. La sua prima personale risale al 1965, sempre a Roma. Parteciperà nella decade successiva alle principali rassegne sulla “Pittura analitica” e sulla “Nuova Pittura”. E ancora dopo esporrà negli Stati Uniti nelle mostre di Radical painting e Fundamental painting.
Per una decina di anni Carmengloria Morales ha dipinto il “buio” con varie tonalità di nero dovute a materiali diversi, oppure opere monocromatiche, in rosso o in blu. Poi scoprirà il ruolo del colore come forza e inizierà a costruirseli da sola. È attratta dal lavoro di Lucio Fontana, ma è anche influenzata dai cosiddetti espressionisti astratti americani quali Mark Rothko, Barnett Newman e Ad Reinhardt: colori e dimensioni da indirizzare su una ricerca formale su problemi di spazio, colore e forma.
La sua non vuole essere una pittura di impressione e non appartiene allo sguardo, intende essere invece una pittura che rappresenta concetti e/o sensazioni: la consapevolezza, la distanza, l’aggressività, il buio, il silenzio. Elabora dittici o trittici dove uno dei pannelli è il “vuoto” il cui ruolo è quello di esaltare l’altro e, per contrasto, definirlo. «La distanza che mi appartiene culturalmente è quella di sapere che stai guardando un quadro: nella parte dipinta c’è tutto quello che puoi fare come artista che sta agendo, poi c’è la tela vuota che è il prima, il dopo, l’immanenza. La coscienza nel quadro è quella che ti respinge e ti dice: “attento che stai guardando un quadro!”»
Dalla metà degli anni Ottanta ha dato inizio alla serie dei Tondi e ai Progetti di pale, opere nelle quali sono sempre più evidenti l’uso di un acceso cromatismo e l’interesse per il valore materico della pittura.
Nella cappella del carcere di Viterbo sono inserite tre sue opere che lei ironicamente considera una risposta “cattolica, romana e barocca” alla cappella di Rothko, in Texas, dove si trovano 14 dipinti neri dell’artista.
Il peso della memoria è forte in Carmengloria così come sembra esserlo per tutti gli abitanti del continente americano. Lì la natura sovrasta, le dimensioni sono dilatate e probabilmente il ricordo del paesaggio cileno è il suo ispiratore di matericità.
La regista Maura Morales Bergman, nipote dell’artista, nel documentario ha voluto ricordare il viaggio di Carmengloria bambina con la madre, che fecero in nave di rientro dal Brasile, quando seppero che il padre stava morendo. È così che l’immensità dell’oceano è rimasta impressa nella sua memoria.
“Entierro” è un elegante e intenso documentario che nasce dalle ceneri di un altro lungometraggio: “Destierro”, sempre della stessa regista, andato bruciato in un incendio domestico dopo due anni di riprese. Strutturato come un dialogo tra Jorge Arriagada, un musicista cileno contemporaneo, e Carmengloria, si conclude con la mostra a Milano del 2017 “Done by fire” che ha messo insieme opere, o parti di esse, miracolosamente sopravvissute all’incendio.
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