fabiofeli
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martedì 20 novembre 2018
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il rispetto dei patti e le "ragioni" del profitto
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IN GUERRA di Stéphane Brizé
Laurent (lo straordinario Vincent Lindon) è un sindacalista della CGT, organizzazione francese analoga alla CGIL italiana, che fronteggia il direttore di una azienda metalmeccanica, la Perrin, che appartiene al gruppo multinazionale tedesco Dinke: la Perrin non rispetta il patto di un accordo firmato 2 anni prima e vuole spostare la produzione in Romania, chiudendo gli stabilimenti in Aquitania (Sud Ovest della Francia).
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IN GUERRA di Stéphane Brizé
Laurent (lo straordinario Vincent Lindon) è un sindacalista della CGT, organizzazione francese analoga alla CGIL italiana, che fronteggia il direttore di una azienda metalmeccanica, la Perrin, che appartiene al gruppo multinazionale tedesco Dinke: la Perrin non rispetta il patto di un accordo firmato 2 anni prima e vuole spostare la produzione in Romania, chiudendo gli stabilimenti in Aquitania (Sud Ovest della Francia). L’accordo precedente prevedeva che il lavoro sarebbe continuato per almeno 5 anni con la contropartita di 5 ore in più a settimana per operaio a parità di salario. Pur di non perdere il lavoro gli operai avevano accettato l’accordo-capestro a tutto vantaggio dei congrui dividendi degli azionisti della Dinke. I tentativi di Laurent di far rispettare il patto, nonostante l’iniziale fermezza dei 1100 operai e l’alleanza con quelli dello stesso gruppo in una fabbrica vicina si scontra con “le ragioni” del profitto …
Chi ha presentato il film come “La Legge del Mercato. 2” , giudicandolo una inutile coda per il fatto che regista e attore principali sono gli stessi del film di tre anni fa, sbaglia. Il modo di filmare e il ritmo di In Guerra, ora lento, ora precipitoso sono completamente diversi. C’è un uso massiccio di telegiornali (costruiti, è ovvio) e di filmati simili a quelli “postati” su youtube, convulsi e confusi: manifestazioni sindacali, picchetti, sgomberi, scontri sono di una verosimiglianza perfetta. Il tutto è alternato a brevi accenni sulle situazioni personali di alcuni protagonisti, quasi fossero mascherati da una sorta di pudore; Brizé vuole focalizzare tutto sullo scontro tra chi rinnega canagliescamente la firma sull’accordo e chi ne chiede il rispetto. L’effetto è quello di comunicare che è ineluttabile che la situazione claustrofobica ed oppressiva si concluda male come in un incubo. Il fronte operaio si sfalda. Ricordate gli accordi separati già verificatisi, anche in Italia, in diversi settori industriali? La spaccatura tra chi spera di limitare i danni già subiti e la perdita del lavoro con una liquidazione che neanche copre i costi già sopportati con il taglio di salario e chi non transige si allarga. Chiedere il rispetto dei patti è il rifiuto di essere considerati una merce di nessun valore, uomini inferiori, non-uomini; si può dare torto a chi ha solo la sua occupazione per vivere mantenendo se stesso e la sua famiglia? Se si perde il lavoro, si perde tutto: la dignità, l’autostima e il rispetto di se stessi; a volte la vita stessa. Citiamo due soli film precedenti che ci hanno commosso, con il tema della perdita del lavoro, ma con situazioni e sviluppo abbastanza differenti: Due giorni, Una notte dei fratelli Dardenne con Marion Cotillard (2014) e Io, Daniel Blake di Ken Loach (2016, Palma d’oro a Cannes).
La storia inventata da Brizé va in scena sempre più spesso nel mondo industrializzato e purtroppo è già accaduta e continua ad accadere con una tale frequenza che chi non è direttamente coinvolto, dimentica e rimuove quasi si trattasse di una fatalità ineluttabile. Questo film angosciante ha il merito di indurre al ricordo e alla riflessione: da non mancare.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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vanessa zarastro
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venerdì 16 novembre 2018
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en lutte
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“En guerre” – in originale - è un film militante, impegnato e impegnativo, che tratta delle lotte operaie dei lavoratori della fabbrica Perrin ad Agen, capoluogo di Lot-et-Garonne nel Sud Ovest della Francia. La fabbrica sta per essere chiusa per essere delocalizzata in Romania e 1100 lavoratori stanno per essere licenziati, in una Regione economicamente in crisi.
La fabbrica fa parte di un gruppo tedesco che aveva firmato un accordo con i lavoratori dove garantiva cinque anni di occupazione a fronte di una riduzione salariale, ma dopo due anni la proprietà non ha mantenuto fede al contratto.
Laurent Amedeo (interpretato da Vincent Lindon), è un operaio militante e un rappresentante del sindacato CGT, fermamente intenzionato a non far chiudere la fabbrica e a non perdere il lavoro.
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“En guerre” – in originale - è un film militante, impegnato e impegnativo, che tratta delle lotte operaie dei lavoratori della fabbrica Perrin ad Agen, capoluogo di Lot-et-Garonne nel Sud Ovest della Francia. La fabbrica sta per essere chiusa per essere delocalizzata in Romania e 1100 lavoratori stanno per essere licenziati, in una Regione economicamente in crisi.
La fabbrica fa parte di un gruppo tedesco che aveva firmato un accordo con i lavoratori dove garantiva cinque anni di occupazione a fronte di una riduzione salariale, ma dopo due anni la proprietà non ha mantenuto fede al contratto.
Laurent Amedeo (interpretato da Vincent Lindon), è un operaio militante e un rappresentante del sindacato CGT, fermamente intenzionato a non far chiudere la fabbrica e a non perdere il lavoro. Laurent è un uomo appassionato, tutto d'un pezzo, indignato, che considera lo sciopero l'unico strumento valido a difesa dell’impiego dei compagni e della loro dignità. Guida le manifestazioni di piazza, cerca con caparbietà un incontro con i rappresentati del Governo prima, poi con il sig. Hauser, l’amministratore delegato dell’azienda che continua a negarsi.
Il Tribunale presso il quale gli operai si erano rivolti ha dato ragione alla proprietà e dopo mesi di battaglie il comitato di lotta, che vede sigle sindacali diverse, inizia a disunirsi fomentato anche da offerte di buonuscita allettanti da parte del gruppo aziendale. Laurent riuscirà a ricucire le discordie e a ottenere un incontro presso il Governo.
Nel film c’è poco spazio per i sentimenti individuali, i più evidenti sono la speranza prima, la rabbia e la delusione poi per un accordo saltato, e la preoccupazione per l’incertezza del futuro. La conclusione del film è molto dura e non fornisce alcune possibilità, nessuno spiraglio e Amedeo si dimostrerà un uomo tutto di un pezzo, duro e puro.
Tutto il film è incentrato su picchetti, riunioni discussioni e manifestazioni. Non c’è spazio per il privato. Si intuiscono le difficoltà economiche delle famiglie in sciopero e qua e là problemi di coppia nel periodo delle battaglie. Amedeo ha una figlia incinta e una ex moglie cui ha lasciato la casa, di più non si saprà. Il film è ossessivo, ipnotico, claustrofobico, e comunica un senso d’intrappolamento e inesorabilità
Sembrerebbe che l’obiettivo di Stéphan Brizé sia quello di essere considerato il Ken Loach francese. Infatti, aveva già diretto un altro film, “La legge del mercato” nel 2015, sempre con il bravissimo Vincent Lindon nella parte di Thierry un uomo cinquantenne impegnato nell'affannosa e umiliante ricerca di un nuovo impiego. Tra agenzie di collocamento, corsi di formazione inutili, colloqui degradanti, Thierry compie una corsa contro il tempo con la speranza di poter continuare a sostenere la famiglia, gli studi e le cure necessarie al figlio affetto da paralisi cerebrale.
L’anno dopo Stéphan Brizé ha diretto “Une vie”, film tratto dal romanzo di Guy de Maupassant, dove la sceneggiatura ne livellava le premesse, le spiegazioni, gli antefatti mostrando solo l’essenza dei fatti e i loro effetti.
Così il film “In guerra” è privo di orpelli: nella Francia di oggi si va a trattare, così come allora, non c’è il populismo, non ci sono le derive xenofobe, ma c’è la crisi dell’occupazione, la perdita del lavoro che se ne va in zone del mondo più convenienti e meno costose.
Così in nuovocinemalocatelli.com: «…[L’assenza del lavoro è una] questione lancinante che preme sulle esistenze e le cambia e reindirizza e devasta, trattata stavolta da Stéphane Brizé in una sorta di film-manifesto, di storia esemplare che ne riassume infinite altre capitate qua e là nell’Europa della deindustrializzazione e della delocalizzazione. Ma dire, come ho sentito dopo la proiezione a Cannes, che Brizé ricalca se stesso e che già tutto stava in La legge del mercato, dove un cinquantenne colpito da disoccupazione era costretto a reinventarsi la vita, è un abbaglio. In guerra non racconta una storia ma storie plurime che si intrecciano lungo un asse narrativo che ingloba e sovrasta le individualità, e lo fa con una forma cinema e uno stile assai audaci che mimano e riproducono i linguaggi visivi caotici e informi delle news tv, di youtube, dei video postati sui social e spediti via whatsapp. Qualcosa che porta In guerra molto al di là dei tanti film sulla stessa questione» scrive Luigi Locatelli.
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