Sequel meno riuscito di The Wave. Stessa coppia, marito e moglie, interpretata dagli stessi attori, Ane Dahl Torp e Kristoffer Joner. Stessa ambientazione, fiordi norvegesi, plumbee atmosfere nordiche. Oslo ipermoderna e asettica come sfondo di un incomprensibile dramma familiare e laboratorio per l’elaborazione di immagini computerizzate per una rappresentazione lontana e fittizia priva di pathos e di capacità empatica, di un disastro annunciato sin dall’inizio. Il protagonista piagnucolante in modo imbarazzante, dal primo minuto fino alla fine, ha due sole espressioni, con la barba e senza, fa da contrappunto alla figlioletta con gli occhi sbarrati, stereotipo della meraviglia infantile attonita e imperturbabile.
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Sequel meno riuscito di The Wave. Stessa coppia, marito e moglie, interpretata dagli stessi attori, Ane Dahl Torp e Kristoffer Joner. Stessa ambientazione, fiordi norvegesi, plumbee atmosfere nordiche. Oslo ipermoderna e asettica come sfondo di un incomprensibile dramma familiare e laboratorio per l’elaborazione di immagini computerizzate per una rappresentazione lontana e fittizia priva di pathos e di capacità empatica, di un disastro annunciato sin dall’inizio. Il protagonista piagnucolante in modo imbarazzante, dal primo minuto fino alla fine, ha due sole espressioni, con la barba e senza, fa da contrappunto alla figlioletta con gli occhi sbarrati, stereotipo della meraviglia infantile attonita e imperturbabile. Il film è molto noioso per i primi tre quarti e quando ha intorpidito completamente lo spettatore narcotizzandolo, vanamente cerca di scuoterlo con scene catastrofiche digitali tratte pedissequamente da altre pellicole simili confezionate soprattutto in America. Il regista John Andersen fa rimpiangere i disaster movie hollywoodiani, più esagerati tecnologicamente e spettacolari e con una vena autoironica qui del tutto assente.
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