Il gioco delle coppie |
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Un film di Olivier Assayas.
Con Guillaume Canet, Juliette Binoche, Vincent Macaigne, Nora Hamzawi.
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Titolo originale Doubles vies.
Commedia,
Ratings: Kids+13,
durata 100 min.
- Francia 2018.
- I Wonder Pictures
uscita giovedì 27 dicembre 2018.
MYMONETRO
Il gioco delle coppie ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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Quante parole questi intellettuali fuori dal tempo
di Natalia Aspesi La Repubblica
Il gioco delle coppie, titolo italiano erroneamente arrapante del nuovo film di Olivier Assayas, potrebbe sin dalla prima inquadratura deludere il pubblico in cerca di arrapo: infatti l'offerta di sesso è molto scarsa, anzi invisibile, sommersa da una montagna di chiacchiere talmente intelligenti da smorzare qualsiasi libido. Lui già a rimettersi le mutande mostrando un di dietro di solida perfezione: "Come in Luci d'inverno di Bergman...". Lei ancora deliziosamente nuda con qualche tatuaggio furbamente nascosto, enfatizzando la sua giovinezza: "Non ho mai visto i suoi film...". Il protagonista della storia però non è né il sesso né il cinema d'autore, ma un soggetto ancor più dirompente, che terrorizza i meno preparati prospettando un futuro da Pianeta delle scimmie: il digitale e il suo imperio assoluto, inarrestabile, ignoto, sul mondo. I personaggi non sono avatar, ma qualcosa di simile, trattandosi di umani della bastonata tribù dei borghesi chic: il direttore editoriale di un marchio di antica fama, Alain, sua moglie Selena, attrice del teatro classico, al momento poliziotta in una fiction popolare, lo scrittore troppo autobiografico Leonard, la sua seconda moglie Valérie assistente di un politico, di sinistra, e la giovane Laure, esperta di algoritmi e adepta totale della religione tecnologica. Cioè Guillaume Canet, Juliette Binoche. Vincent Macaigne, Nora Hamzawi, Christa Théret, un gruppo di attori meravigliosi, che poi si sa, senza offesa, il doppiaggio un po' spegne. Al suo primo film, Nora Hamzavi, bella spilungona con occhiali, è incantevole nella sua sbrigativa e sfuggente dolcezza, la Binoche spettinata, senza trucco, con orridi maglioni, è una adultera irreprensibile e molto simpatica, Macaigne è un dolcissimo presuntuoso, del di dietro di Canet si è già detto, in più ha un sorriso di massima seduzione. Ecco la landa aliena di quella che un tempo, senza offesa, si chiamava "intellighenzia", adesso non si sa, ma che comunque, continuando a essere appunto intelligente e per di più francese quindi serenamente intoccabile, si sta salvando adattandosi agli inesorabili veloci cambiamenti, senza cambiare, citando pure Il gattopardo. C'è di mezzo il futuro dell'editoria, cartacea o no, e l'esperto Alain che pure è scettico, assume la bella Laure perché lo convinca a puntare di più sul virtuale: anche se gli e-book vendono sempre meno, il cartaceo torna ad avere un mercato, i bambini leggono, i veri successi sono gli audiolibri letti da celebrità. Assayas sa raccontare i riti editoriali con una vispa tenerezza verso la loro costante noiosità: l'incontro su temi universali con la sala semivuota e muta, la presentazione del libro in libreria dove c'è sempre chi mette in imbarazzo l'autore, la desolazione dell'autore stesso quando l'amico editore, con subdola eleganza, rifiuta il suo nuovo manoscritto, lo sperdimento dello scrittore quando lo informano che i social, da lui ignorati, stanno massacrando il suo romanzo, e l'amaro giubilo di chi vende poco ma sul sito dove racconta sciocchezze ha migliaia di follower. Ecco le pecche di tutti i personaggi del film, secondo i gusti per ora vincenti: sono molto educati, non alzano mai la voce, sono sapienti di tutto, guai se accendono il telefonino quando sono con altri, sono di sinistra ma ormai scettici, lo scrittore Leonard dice che voterebbe Gengis Khan oppure Attila, su Macron, non si sa mai, nessuna battuta; vivono in grandi case col giardino e grondanti libri e disordine, si confessano narcisi, la sera si ritrovano tra loro a parlare e parlare, uomini e donne che discutono di temi molto su, troppo geniali e apparentemente paritari per scontrarsi su banalità di gender, smitragliate e smitragliate di battute intelligenti; mangiano e bevono non a tavola ma seduti in poltrona cose appena sfornate o anche solo noccioline, e vino si immagina ottimo. Il mondo di fuori con tutti i suoi problemi e drammi non sembra toccarli, se non questa apocalisse del digitale; perché riguarda non solo il potere economico ma anche quello culturale, che è ciò che li rende diversi, e probabilmente secondo loro, migliori. Poi naturalmente ci sono i sentimenti, il sesso, le gelosie, i tradimenti, gli abbandoni, da cui non sono esenti neppure gli intellettuali, anzi: solo che ogni cosa, ogni dubbio, ogni dispiacere, ogni ferita, resta leggiadra, sorridente, sfiorata, non detta, un passaggio, un diversivo, mai un peccato, un muoversi nel massimo bon ton, tutto tra amici, senza che se ne venga scalfiti più di tanto, perdonandosi senza dirlo. Una storia come questa, molto divertente intelligente, ironica, mai sguaiata, da noi l'avrebbero affidata a quelle due brave persone che sono Boldi e De Sica, perché forse il nostro cinema preferisce ignorare la casta colta a cui pure i suoi appartenenti appartengono, o se osa, sceglie di prenderla in giro e di svillaneggiarla. In nome di 60 milioni di italiani?
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