clavius
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venerdì 2 febbraio 2018
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spielberg gioca sempre in casa
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Da decenni Spielberg gode di una sostanziale e diffusa ammirazione sia tra il pubblico che tra i critici. Non fa eccezione questo suo ultimo impalpabile lavoro ambientato negli anni 70, che riprende il gusto estetico di quel decennio con le sue carte da parati, le inquadrature dei soffitti, le contestazioni hippies (appena accennate) nelle strade.
Vorrebbe essere un'appassionante difesa del diritto di stampa, ma di appassionante c'è ben poco. Tutto sa di già visto e non vedo nessun coraggio nel riprendere una storia vecchia di quarant'anni che descrive Nixon per l'ennesima volta (come se ne sentissimo il bisogno) come un orco che vediamo solo di spalle, rancoroso, nel suo ufficio di notte, a dare ordini al telefono per impedire che una qualsivoglia notizia possa sfuggire al suo controllo.
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Da decenni Spielberg gode di una sostanziale e diffusa ammirazione sia tra il pubblico che tra i critici. Non fa eccezione questo suo ultimo impalpabile lavoro ambientato negli anni 70, che riprende il gusto estetico di quel decennio con le sue carte da parati, le inquadrature dei soffitti, le contestazioni hippies (appena accennate) nelle strade.
Vorrebbe essere un'appassionante difesa del diritto di stampa, ma di appassionante c'è ben poco. Tutto sa di già visto e non vedo nessun coraggio nel riprendere una storia vecchia di quarant'anni che descrive Nixon per l'ennesima volta (come se ne sentissimo il bisogno) come un orco che vediamo solo di spalle, rancoroso, nel suo ufficio di notte, a dare ordini al telefono per impedire che una qualsivoglia notizia possa sfuggire al suo controllo. E' innegabile che la figura di Nixon presenti parecchie ombre storiche, ma fa sorridere che il regista forse più influente di Hollywood se la prenda con l'America del passato e lo faccia con molta meno efficacia di quanto abbiano fatto i suoi straordinari colleghi che proprio in quegli anni esprimevano un cinema impegnato, sperimentale, rischioso e personale. Questo film impallidisce rispetto a quello che ci hanno regalato i vari Pollack, Coppola, Penn, Cassavetes, Pakula, Ashby a cavallo tra gli anni '60 e '70.
Spielberg invece va sul sicuro e gioca come sempre in casa. Il suo film non disturba il sonno di nessuno, si limita ad incensare la storia del suo paese fatta di battaglie per i diritti e difesa del bene tout court. Giustizia che trionfa sempre. Ci mancherebbe!! Nella ragnatela del suo cinema pavido c'è finita questa volta anche la Streep, costretta in un ruolo piagnucoloso peggiorato dal pessimo doppiaggio petulante.
E' il film che conferma che Spielberg è un regista che non rischia ed ha poco e niente da dire di serio ai suoi contemporanei, ma nello stesso tempo dimostra per l'ennesima volta una straordinaria capacità nel costruire film dopo film, mattone dopo mattone, le basi dell'immaginario hollywoodiano dominante degli ultimi 30 anni. Un regista di corte insomma, che ha speso tutto il suo straordinario talento per fare film privi di coraggio.
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eugenio
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venerdì 2 febbraio 2018
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spielberg e la libertà di stampa
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Si respira odore di rotativa, prima del Numero 1, prima della stampa dell’articolo.
Come in televisione, la macchina lavora a tutto spiano, la pressa schiaccia e il momento topico che precede la pubblicazione in cui si consacra il coacervo di umano e robotico, di dettagli di viti, macchinari oliati, vasche di inchiostro e di una grande massa di carta spostata su caratteri mobili finalmente impressi, ha inizio.
Quarto potere. Alzi la mano chi non se lo ricorda.
Un film che ha mostrato sin da subito i limiti del libero arbitrio della carta stampata e le connivenze tra partiti politici oltre che le influenze che i poteri forti palesano sui mezzi di informazione.
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Si respira odore di rotativa, prima del Numero 1, prima della stampa dell’articolo.
Come in televisione, la macchina lavora a tutto spiano, la pressa schiaccia e il momento topico che precede la pubblicazione in cui si consacra il coacervo di umano e robotico, di dettagli di viti, macchinari oliati, vasche di inchiostro e di una grande massa di carta spostata su caratteri mobili finalmente impressi, ha inizio.
Quarto potere. Alzi la mano chi non se lo ricorda.
Un film che ha mostrato sin da subito i limiti del libero arbitrio della carta stampata e le connivenze tra partiti politici oltre che le influenze che i poteri forti palesano sui mezzi di informazione.
Spielberg nel suo ultimo film candidato agli Oscar, The post, si muove nei meandri della regia d’inchiesta confezionando un omaggio alla libertà di stampa alla Citizen Kane in un periodo difficile ostacolato da trumpismi e forme dittatoriali che vorrebbero farla tacere.
Libertà sfumata nel coraggio nell’amore, sempreterno e catartico per le rotative e la carta stampata, desueta trasfigurazione in caratteri mobili del linguaggio cinematografico.
In breve, poche sequenze dopo l’inizio del film, ecco apparire lo scandalo. I Pentagon Papers, documenti riservati che proverebbero come il governo avesse mentito ai cittadini (e non solo), durante la guerra in Vietnam, provocando lo scandalo dell’amministrazione Nixon, furono divulgati nel 1971 da Daniel Ellsberg, economista vicino al Pentagono.
Migliaia di pagine che il New York Times rivelò all’opinione pubblica sospendendo poi la pubblicazione a causa di un'ingiunzione della corte suprema.
Il film segue quello che successe “dopo lo scandalo” focalizzandosi sul Washington Post o, meglio, sulle persone che quel giornale lo guidarono, rompendo ogni indugio contro una repressione investigativa, fallace nel rivelare l’identità di un mandante nell’ombra ma pronta a chiudere la bocca a chi fosse contrario al benpensare nixiano.
Grazie al coraggio del suo editore, Katharine Graham, prima donna al vertice di un quotidiano e del suo direttore, Ben Bradlee, rispettivamente interpretati da Meryl Streep e Tom Hanks, i nodi vengono al pettine, scontrandosi con i poteri forti, uno squarcio di luce nel buio delle tenebre dell’amministrazione politica, la stessa che pochi mesi dopo avrebbe affrontato un nuovo scandalo: Watergate.
The postin poco meno di due ore mantiene alta l’attenzione dello spettatore, non risultando mai banale o scontato. Crea intorno a lui un clima fremente, incerto, instabile non solo per mostrare i limiti (e il potere) della carta stampata ma figliando in un sotto-filone che in tralice nasconde il complesso ruolo della donna, qui prima voce di un giornale, responsabile di ogni parola del “suo” quotidiano (che da locale, arriverà in Borsa).
Spielberg si “fa donna” per mostrare le fragilità ma anche e soprattutto la determinazione del direttore che lotta in un mondo di uomini per qualcosa di normale ovvero mantenere la propria opinione su ciò che le appartiene.
Ed è curioso che in un film che non ha nulla del giornalismo investigativo, sia proprio Meryl Streep (recentemente membro attivo del movimento me-too contro la discriminazione sulle donne e la salvaguardia dei diritti del genere femminile) la portavoce di un dialogo importante, una frase fulminante, come si scoprirà nella pellicola.
In The post lo spettatore assiste a due antitesi che si fondono in una sola: quella personale di una donna pronta a tutto per abbattere la rete di omertà contro il conformismo, profondo e innaturale, avvinto all’emarginazione del sesso femminile.
Emerge sottile, ambigua, parlando per sguardi, toni della voce e immagini questa discriminazione ma arriva diretta al cuore nell’epica scena dell’entrata del giornale in borsa nonostante i tentennamenti, le rimostranze, le incertezze.
Così quando una camminata dell’editrice tra una folla di sole donne, in silenzio, si palesa agli occhi dello spettatore, ecco la commozione prender piede nella presa di posizione, nell’ nvito a rompere gli schermi, i vincoli, oltre il salotto borghese delle sale impomatate.
The post, in altre parole, due piccioni con una fava. In un colpo solo, un film capace di affermare, con dialoghi riusciti (aiutati da coprimari in stato di grazia), il potere dell’etica e della libertà di stampa e la presa di posizione femminile, simbolo di virtù e contrasto contro ogni forma di preponderazione dell’altro sesso.
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[+] spielberg e welles: mondi lontanissimi
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chrisnolan
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sabato 3 febbraio 2018
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bel film
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Ho dato tre stelle perché mymovies.it non mi permette di dare come voto 3.5, che sarebbe più giusto. Il film è bello, ben fatto e gli attori sono bravi, ma pecca per un aspetto: non tratta l'argomento della pubblicazione del giornale con la stessa forza utilizzata per soffermarsi sulla libertà di stampa e sul ruolo della donna nella leadership aziendale. L'argomento della mal condotta degli Stati Uniti (e in particolare dei comportamenti non corretti dell'allora ministro della difesa e dei vari presidenti statunitensi) in una guerra che secondo l'opinione pubblica americana non doveva né essere combattuta né continuata, è sì trattato, ma con meno ardore rispetto al ruolo della donna e alla libertà di stampa.
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Ho dato tre stelle perché mymovies.it non mi permette di dare come voto 3.5, che sarebbe più giusto. Il film è bello, ben fatto e gli attori sono bravi, ma pecca per un aspetto: non tratta l'argomento della pubblicazione del giornale con la stessa forza utilizzata per soffermarsi sulla libertà di stampa e sul ruolo della donna nella leadership aziendale. L'argomento della mal condotta degli Stati Uniti (e in particolare dei comportamenti non corretti dell'allora ministro della difesa e dei vari presidenti statunitensi) in una guerra che secondo l'opinione pubblica americana non doveva né essere combattuta né continuata, è sì trattato, ma con meno ardore rispetto al ruolo della donna e alla libertà di stampa. Per questo motivo non gli do 4 come voto e lo reputo un gradino al di sotto ad esempio di un altro bel film giornalistico come Insider-dietro la verità, il quale trattava con grande impatto sia l'argomento d'inchiesta, sia la delicata questione della libertà di stampa.
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maurizio.meres
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domenica 4 febbraio 2018
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lezione di giornalismo
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In questo film viene rappresentato uno dei momenti più importanti della storia del giornalismo,quando la corte suprema Americana con una sentenza che andava contro un potere politico presidenziale,fatto di minacce che continuava ad occultare la verità sull'infinita guerra del Vietnam,sancì il concetto sulla libertà di stampa che doveva salvaguardare il diritto dell'informazione verso tutti senza nessuna restrizione.
Il periodo storico rappresentato mette in luce la parte più oscura e soprattutto crudele degli Stati Uniti,il film seppur con un tono un po' spento e se vogliamo statico con un andamento lento e non incisivo,trasmette allo spettatore tutta la volgarità politica accompagnata dal potere economico,così come adesso,dopo tanti anni la storia non cambia,il vero giornalismo pur essendo sempre presente spesso viene intrappolato da un potere occulto che si tramanda nel dna di chi vuole instabilità politico economica.
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In questo film viene rappresentato uno dei momenti più importanti della storia del giornalismo,quando la corte suprema Americana con una sentenza che andava contro un potere politico presidenziale,fatto di minacce che continuava ad occultare la verità sull'infinita guerra del Vietnam,sancì il concetto sulla libertà di stampa che doveva salvaguardare il diritto dell'informazione verso tutti senza nessuna restrizione.
Il periodo storico rappresentato mette in luce la parte più oscura e soprattutto crudele degli Stati Uniti,il film seppur con un tono un po' spento e se vogliamo statico con un andamento lento e non incisivo,trasmette allo spettatore tutta la volgarità politica accompagnata dal potere economico,così come adesso,dopo tanti anni la storia non cambia,il vero giornalismo pur essendo sempre presente spesso viene intrappolato da un potere occulto che si tramanda nel dna di chi vuole instabilità politico economica.
Due grandi attori salgono in cattedra con una eccezionale lezione di recitazione,si vede in modo inequivocabile direi netto il distacco da tutti gli altri,diventa quasi un monologo come se l'uno detta i tempi dell'altro,i due mostri sacri di Hollywood Meryl e Tom,alimentano con grande professionalità un film vero attraverso sguardi intensi e soprattutto pause che con la loro grande espressività diventano parole.
Spielberg sfiora la politica senza accanimento dell'uno o dell'altro partito quasi a voler fare un unico calderone di cialtronerie e falsità,da soltanto il giusto peso al grande giornalismo,quello vero al servizio di tutti,apolitico,e democratico dal punto di vista sociale,inoltre inquadra perfettamente quello che la storia racconta,perfezionando alcuni particolari e sfumature, lasciando il giudizio quasi scontato allo spettatore,ma questa è storia.
Senza dubbio un film da vedere.
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lorenzoferraro
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domenica 4 febbraio 2018
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enorme
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Ero abbastanza scettico inizialmente. I miei amici chiamano questo genere di film "quelli dove bisogna pensare", ed in genere li evitano. E solitamente fanno bene. Drammi esistenziali triti e pesanti oltre ogni modo, spacciati per capolavori senza pari, ci hanno illusi più volte. Quindi mi sono preparato al peggio, non curante che alla regia ci fosse Spielberg. E cavolo quanto mi sono ricreduto. Il film mi è piaciuto veramente tantissimo. Ovviamente complesso, come i fatti di cui parla, l'ingiunzione del governo Nixon al New York Times sull'ulteriore pubblicazione di documenti segreti che svelavano come la presidenza degli Stati Uniti avesse mentito a tutti riguardo la guerra in Vietnam, ed il coraggio di una direttrice e di un direttore di redazione di un giornale, di andare contro quell'ingiunzione in nome della libertà di stampa e del diritto da parte di un popolo ad avere l'informazione che merita.
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Ero abbastanza scettico inizialmente. I miei amici chiamano questo genere di film "quelli dove bisogna pensare", ed in genere li evitano. E solitamente fanno bene. Drammi esistenziali triti e pesanti oltre ogni modo, spacciati per capolavori senza pari, ci hanno illusi più volte. Quindi mi sono preparato al peggio, non curante che alla regia ci fosse Spielberg. E cavolo quanto mi sono ricreduto. Il film mi è piaciuto veramente tantissimo. Ovviamente complesso, come i fatti di cui parla, l'ingiunzione del governo Nixon al New York Times sull'ulteriore pubblicazione di documenti segreti che svelavano come la presidenza degli Stati Uniti avesse mentito a tutti riguardo la guerra in Vietnam, ed il coraggio di una direttrice e di un direttore di redazione di un giornale, di andare contro quell'ingiunzione in nome della libertà di stampa e del diritto da parte di un popolo ad avere l'informazione che merita. Ma ragazzi, diretto in modo MAGISTRALE. Oltre ad avere il merito di presentare gli eventi in modo chiaro e capibile ad un pubblico di qualsiasi genere e presupposto culturale, senza minimizzare i fatti, oltre al merito di essere estremamente attuale (libertà di stampa e dignità delle donne nell'era Trump sembrano essere un temi più che attuali), all'interno del film ci sono momenti di pura genialità cinematografica (la conversazione telefonica tra la signora Graham e cinque dei suoi uomini è da brividi). Non ho aggettivi per descrivere questo film, se non ENORME. Non ho visto molti dei film candidati a Miglior Film 2018 agli Oscar. Penso però che The Post sia uno dei candidati più papabili
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domenica 4 febbraio 2018
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un film ancora necessario
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The Post è l'ennesima conferma di come la ferita della guerra in Vietnam negli Stati Uniti non si sia mai sanata. Spielberg riprende un argomento non certo nuovo e già più volte trattato da vari punti di vista, la guerra del Vietnam, per mettere in risalto l'importanza della difesa di libertà di stampa. Come tutti i film di Spielberg la confezione è splendida. Quello che ho trovato in alcuni punti poco efficace è la sceneggiatura, non sempre chiara e scorrevole. Per chi non conosce la storia dell'epoca e le vicende politiche americane risulta difficile capire determinati intrecci e i ruoli di tutti i protagonisti. Per il resto, a parte la retorica che è sempre presente in certi film americani, ritengo sia un bel lavoro di Spielberg.
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The Post è l'ennesima conferma di come la ferita della guerra in Vietnam negli Stati Uniti non si sia mai sanata. Spielberg riprende un argomento non certo nuovo e già più volte trattato da vari punti di vista, la guerra del Vietnam, per mettere in risalto l'importanza della difesa di libertà di stampa. Come tutti i film di Spielberg la confezione è splendida. Quello che ho trovato in alcuni punti poco efficace è la sceneggiatura, non sempre chiara e scorrevole. Per chi non conosce la storia dell'epoca e le vicende politiche americane risulta difficile capire determinati intrecci e i ruoli di tutti i protagonisti. Per il resto, a parte la retorica che è sempre presente in certi film americani, ritengo sia un bel lavoro di Spielberg. Spero in Italia sia visto da molte persone. Da noi la stampa libera è quasi del tutto assente, ma soprattutto mance qualcuno che abbia voglia di difenderla. L'ultimo suggerimento il film andrebbe visto in lingua originale, il doppiaggio italiano è scandalosamente indecente, quasi da denuncia, specie quello su Meryl Streep.
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goldy
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lunedì 5 febbraio 2018
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purchè si faccia in fretta
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Il film, nonostante l'ottimo montaggio non convince come dovrebbe. Un film in difesa del diritto di informazione deve perlomenotoccare il sentimento dell'indignazione per approdare a quello del trionfo del bene. Cos' non è . Tutto si svolge rapidamente senza costruire adeguatamente i momenti topici. Una Meryl Street doppiata in modo melenso e altalenante contribuisce ad aumentare gli aspetti negativi.
Impegnato in altra produzione, sembra che Spielberg abbia girato in modo frettoloso trascinato forse dall'urgenza di intervenire e sensibilizzare sul problema delle fake news e si vede. Il finale è sbrigativo: fuga delle notizie top secret, rischio della pubblicazione, veto della Procura di Stato, rifiuto del divieto partono le rotative, tutti esaltano e la libertà di stampa trionfa.
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Il film, nonostante l'ottimo montaggio non convince come dovrebbe. Un film in difesa del diritto di informazione deve perlomenotoccare il sentimento dell'indignazione per approdare a quello del trionfo del bene. Cos' non è . Tutto si svolge rapidamente senza costruire adeguatamente i momenti topici. Una Meryl Street doppiata in modo melenso e altalenante contribuisce ad aumentare gli aspetti negativi.
Impegnato in altra produzione, sembra che Spielberg abbia girato in modo frettoloso trascinato forse dall'urgenza di intervenire e sensibilizzare sul problema delle fake news e si vede. Il finale è sbrigativo: fuga delle notizie top secret, rischio della pubblicazione, veto della Procura di Stato, rifiuto del divieto partono le rotative, tutti esaltano e la libertà di stampa trionfa. Manca tensione nella narrazione e la noia si fa sentire.
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udiego
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martedì 6 febbraio 2018
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non è come sembra
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Nel 1971 un uomo del Pentagono decide di divulgare alla stampa un documento di 7000 pagine che racconta di come il governo degli Stati Uniti abbia mentito ai propri cittadini sull’andamento della guerra in Vietnam: è il New York Times il primo giornale a pubblicare le notizia ed il governo americano decide di bloccare tutto con un’ingiunzione della Corte Suprema. Toccherà di conseguenza al Washington Post, che nel frattempo è riuscito a mettere le mani su questi scottanti documenti, decidere se pubblicare tutta l’inchiesta, mettendo a rischio la vita del giornale stesso o insabbiare il tutto per salvaguardare l’integrità della testata giornalistica.
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Nel 1971 un uomo del Pentagono decide di divulgare alla stampa un documento di 7000 pagine che racconta di come il governo degli Stati Uniti abbia mentito ai propri cittadini sull’andamento della guerra in Vietnam: è il New York Times il primo giornale a pubblicare le notizia ed il governo americano decide di bloccare tutto con un’ingiunzione della Corte Suprema. Toccherà di conseguenza al Washington Post, che nel frattempo è riuscito a mettere le mani su questi scottanti documenti, decidere se pubblicare tutta l’inchiesta, mettendo a rischio la vita del giornale stesso o insabbiare il tutto per salvaguardare l’integrità della testata giornalistica.
Steven Spielberg con The Post porta al cinema un’inchiesta che ebbe la capacità di dare il primo grande scossone alla presidenza Nixon. Il cineasta americano ci mostra i fatti dell’epoca trasmettendoci tutta l’energia e gli sforzi sostenuti dai protagonisti per riuscire a portare a termine un compito di fondamentale importanza per la salvaguardia della democrazia degli Stati Uniti d’America.
The Post è un film dal forte impatto e fonda tutta la sua struttura sullo stile narrativo. La sceneggiatura, curata a quattro mani da Liz Hannah e Josh Singer, riesce nel non facile compito di imprimere alla vicenda un taglio prettamente giornalistico, senza togliere nulla dal punto di vista emotivo. Da parte sua Spielberg riesce a regalare all’opera grandi fervore e grinta con una regia dinamica, mai troppo pesante e sempre in grado di regalare la giusta atmosfera a tutte le diverse situazioni. The Post è un film che da forza al coraggio ed ai sentimenti e che riesce attraverso i suoi personaggi a regalare una speranza anche quando si fatica a vedere la luce in fondo al tunnel.
Inutile menzionare il cast, a partire da una Maryl Streep in grandissima forma, fino ad un Tom Hanks bravo e capace come sempre di dare credibilità ai suoi personaggi. Per concludere possiamo definire The Post un film asciutto, capace di centrare senza troppi giri di parole i suoi obiettivi e di arrivare alla pancia dello spettatore. Mostrando un aspetto della società di grandissima attualità anche al giorno d’oggi e ricordandoci che la stampa dovrebbe essere al servizio di chi è governato e non viceversa.
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enzo70
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martedì 6 febbraio 2018
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lezione di libertà di un editore e di un direttore
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The post ha due diverse prospettive; dalla prima, immediata, si inquadra un bel film diretto da Spielberg e che ha come protagonisti Tom Hanks e Meryl Streep. Faccio una doverosa premessa; Meryl, semplicemente, mi incanta, il mio giudizio nei suoi confronti non vale, è condizionato da uno dei sentimenti più forti dell’uomo: l’amore impossibile. I ritmi di Spielberg, la bravura dell’intero cast e la storia avvincente rappresentano un più che valido motivo per andare al cinema. La seconda prospettiva, è diversa. The post è un film necessario in un momento in cui, a livello mondiale, il ruolo dell’informazione viene messo in discussione per la perdita di credibilità dei giornali e dei giornalisti.
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The post ha due diverse prospettive; dalla prima, immediata, si inquadra un bel film diretto da Spielberg e che ha come protagonisti Tom Hanks e Meryl Streep. Faccio una doverosa premessa; Meryl, semplicemente, mi incanta, il mio giudizio nei suoi confronti non vale, è condizionato da uno dei sentimenti più forti dell’uomo: l’amore impossibile. I ritmi di Spielberg, la bravura dell’intero cast e la storia avvincente rappresentano un più che valido motivo per andare al cinema. La seconda prospettiva, è diversa. The post è un film necessario in un momento in cui, a livello mondiale, il ruolo dell’informazione viene messo in discussione per la perdita di credibilità dei giornali e dei giornalisti. Storia vera, quella dell’editrice Katharine Graham e del direttore del Washington Post, Ben Bradlee; la decisione di pubblicare una notizia coperta da segreto di Stato, un memoriale della Casa Bianca dalla quale emergeva la consapevolezza di tutti i governi statunitensi di non poter vincere la guerra in Vietnam, poteva distruggere l’allora piccola e fragile casa editrice. Ma la decisione di pubblicare il dossier, con le relative conseguenze giudiziarie e politiche, in nome della libertà di stampa apre lo spazio ad una riflessione che ogni spettatore dovrebbe, a mio avviso, elaborare con calma. Cercando, forse, nella buona stampa che ancora esiste, anzi resiste, la memoria del lavoro di quei giornali che hanno cambiato la storia del mondo.
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maumauroma
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sabato 10 febbraio 2018
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the post
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Nel 1971 , durante la presidenza Nixon e in piena guerra del Vietnam in corso, Il quotidiano The Washington Post decise di pubblicare una serie di dossier segreti, trafugati dalle casseforti del Pentagono da un dipendente del Ministero della Difesa in piena crisi di coscienza, nei quali si faceva luce sugli errori di gestione commessi dalle Amministrazioni presidenziali e dai loro consiglieri nei decenni precedenti riguardo le politiche di ingerenza nella importante e stratetica regione del sud est asiatico, politiche che avevano causato e stavano ancora provocando decine di migliaia di morti tra i soldati americani. Quella di pubblicare tali documenti fu una decisione molto sofferta soprattutto per il rischio da parte della editrice Katharine Graham e del direttore del giornale Ben Bradlee di essere incriminati dalla Corte Suprema degli Stati Uniti per attacco alla sicurezza dela Nazione.
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Nel 1971 , durante la presidenza Nixon e in piena guerra del Vietnam in corso, Il quotidiano The Washington Post decise di pubblicare una serie di dossier segreti, trafugati dalle casseforti del Pentagono da un dipendente del Ministero della Difesa in piena crisi di coscienza, nei quali si faceva luce sugli errori di gestione commessi dalle Amministrazioni presidenziali e dai loro consiglieri nei decenni precedenti riguardo le politiche di ingerenza nella importante e stratetica regione del sud est asiatico, politiche che avevano causato e stavano ancora provocando decine di migliaia di morti tra i soldati americani. Quella di pubblicare tali documenti fu una decisione molto sofferta soprattutto per il rischio da parte della editrice Katharine Graham e del direttore del giornale Ben Bradlee di essere incriminati dalla Corte Suprema degli Stati Uniti per attacco alla sicurezza dela Nazione. Ma al processo i due furono assolti in nome della Costituzione americana che sanciva totale liberta' di parola e di stampa. Tale vicenda fini' per provocare il primo duro colpo al presidente Nixon, che un paio di anni dopo fu costretto a dimettersi per il celebre caso di spionaggio nella sede del Partito Democratico piu' noto come scandalo Watergate, Nel rievocare quegli avvenimenti, Spielberg si sofferma soprattutto sulla figura di Katharine Graham, prima donna a capo di una casa editrice in anni di maschilismo imperante , sulle difficolta' finanziarie affrontate dal giornale, a quel tempo abbondantemente superato nelle vendite e nel prestigio dal piu' celebre New York Times, difficolta' peraltro poi superate proprio grazie alla abilita' manageriale della Graham, nonche' sul difficile lavoro che dovevano svolgere i giornalisti in quegli anni, perche', nonostante la passione, l' impegno e l' entusiasmo profuso, dovevano svolgere la loro opera senza i fondamentali mezzi di comunicazione che abbiamo oggi, come Il Web, i computer, la telefonia mobile.
In questa suo ultimo lavoro, il regista di Cincinnati si conferma, come sempre, abile regista, un vero maestro nel manovrare e nel gestire la macchina da presa. Negi anni pero' si e' andata perdendo buona parte della sua vena creativa, e in The post si avverte molto " mestiere" e molta accademia.Sceneggiatura e dialoghi sono strutturati secondo quello che il pubblico si aspetta che accada e che si dica, tanto che con un po' di attenzione non risulta cosi' difficile anticipare le battute che saranno poi di li a poco pronunciate dai protagonisti.. Comunque il film si lascia vedere volentieri, soprattutto all' inizio, per ritmo e tensione, e nel finale, avvincente e con quella giusta dose di enfasi patriottica che non guasta in questi casi. Perfetta la ricostruzione d' epoca sia negli interni che negli esterni. Ovviamente bravi Meryl Streep e Tom Hanks, anche se i loro volti hanno ormai assorbito le espressioni delle decine di personaggi da loro interpretati
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