L'educazione di Rey

   
   
   

Educare: "condurre fuori l'uomo dai difetti" Valutazione 3 stelle su cinque

di daniela montanari


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giovedì 25 aprile 2019

Raynaldo, come tutti i ragazzi giovani, vuole sentire di "fare parte", di "appartenere". Alla banda malavitosa del fratello - ad esempio - che decide di metterlo alla prova facendogli compiere subito un piccolo crimine: intrufolarsi in casa di un notaio e rubare, con indicazioni precise, banconote provenienti da diversi incassi non propriamente onesti.
Qualcosa va storto, l'allarme si mette a ululare come un lupo alla luna, il fratello e il capo-banda che lo aspettano fuori dalla recensione se la danno a gambe e Ray, di tetto in tetto, si dilegua fino quasi a far perdere le tracce alle auto della polizia sopraggiunte. Nel tentare l'ultimo salto, messo al riparo il bottino, Ray sbaglia il salto e precipita sopra una serra di fiori, nel cortile privato di un ex guardia giurata in pensione.
Potremmo dire che è proprio qui, nel farsi prendere da Carlos, che ha inizio l'educazione. Ossia, il farsi condurre. L'uno dall'altro. Carlos ne ha visti fin troppi, nella sua Mendoza, di ragazzi come Ray, che altro non resta loro che delinquere. E nel sospendere la sua professione, povera ma affrontata con onestà, che Carlos si affeziona giorno dopo a Ray, che rimane in casa sua con la scusante che "Ora devi riparare ciò che hai distrutto".
La trama centrale ricordo un po' "Gran Torino" di Eastwood, senza tuttavia che ne scada in una forzata copia mal riuscita. E' un ritratto della società argentina che vive con disincanto quasi la delinquenza, dapprima destinata a diventare una serie Tv poi approdata sul grande schermo con l'esordio alla regia per Santiago Esteves. Seppure priva di una fotografia mozzafiato, Esteves ce la fa a mantenere coerenza, elasticità di movimento e anche a dirigere con fermezza: in fondo, ognuno di noi vorrebbe incontrare un "Carlos" che a poco a poco impara, non solo a volerci bene, ma perfino a difenderci e a rischiare il tutto e per tutto, per noi.

Al regista, poco più che trentenne, va riconosciuta l'intenzione di parlare della sua Mendoza e dell'archetipo, annoso, del voler riscattare se stessi, salvando quella parte  insita in ognuno di noi, che nessuno ha compreso, difeso, amato e condotto alla salvezza proprio nel momento in cui, da giovani, siamo dovuti diventare grandi.

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