marta
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mercoledì 25 aprile 2018
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mi aspettavo di più
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Mi aspettavo molto di più. Film mediocre con una eccellente fotografia.
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fra
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mercoledì 25 aprile 2018
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ozon non in grande forma
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Un Ozon minore, non in grande forma. Alcune scene interessanti, ma poco più. Ozon ci ha abituati a film ben più intriganti e appaganti!
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kimkiduk
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martedì 24 aprile 2018
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finalmente un non banale
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Uno dei migliori film visti ultimamente.
Grande Ozon, mi ha stupito.
Non certo mi ha stupito lui, perchè è da me apprezzato per tanti suoi film (su tutti Il Tempo Che Resta), ma perchè non mi aspettavo un thriller di così importanza partendo da un quasi melò, fino a raggiungere quasi l'horror.
Riferimenti importanti a Polanski su tutti ed a Cronenberg anche, non calano l'interesse su una tensione ed un crescendo stupefacente per quello che mi aspettavo io e stupefacente per la media dei film di adesso.
L'ho trovato veramente intelligente, affascinante, con qualche pecca scenografica (tipo qualche scena vaginale inutile e non per pudore personale), che però non ne attenuano l'attenzione.
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Uno dei migliori film visti ultimamente.
Grande Ozon, mi ha stupito.
Non certo mi ha stupito lui, perchè è da me apprezzato per tanti suoi film (su tutti Il Tempo Che Resta), ma perchè non mi aspettavo un thriller di così importanza partendo da un quasi melò, fino a raggiungere quasi l'horror.
Riferimenti importanti a Polanski su tutti ed a Cronenberg anche, non calano l'interesse su una tensione ed un crescendo stupefacente per quello che mi aspettavo io e stupefacente per la media dei film di adesso.
L'ho trovato veramente intelligente, affascinante, con qualche pecca scenografica (tipo qualche scena vaginale inutile e non per pudore personale), che però non ne attenuano l'attenzione.
Marine Vacth, ormai credo sua musa ispiratrice (visto anche Giovane e Bella), è decisamente a suo agio in tutto ed è una scelta riuscitissima per la parte interpretata ed il personaggio che sembra cucito su di lei.
Il ruolo maschile è decisamente inferiore ma ugualmente non stona.
Regia mostruosa o quasi. Passaggi di campo e controcampo nei primi 10 minuti che ne fanno, per me, un film da ricordare. Il primo dialogo sulla seduta da psicoanalisi di lei con lui è da manuale del cinema.
Musica perfetta, scenografia elegante ed accattivante. Giochi di immagini doppie ovunque, a ricordo dell'argomento del film.
Non saprei cosa aggiungere senza raccontare la trama, ma fare spoiler per questo film sarebbe un delitto.
Va visto e assolutamente fino in fondo.
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flyanto
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martedì 24 aprile 2018
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una ragazza divisa in e tra due
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"Doppio Amore" del regista Francois Ozon è un thriller psicologico in cui una giovane e bella donna è piuttosto tormentata senza saperne e capirne il motivo. Pertanto ella inizia un percorso di sedute presso uno psichiatra del quale, dopo breve tempo, si innamora, ricambiata. E' così che la coppia inizia a condividere la propria esistenza in un nuovo appartamento. Da questo momento per la protagonista inizia una serie di conturbanti avvenimenti di cui vuole ricercare la ragione e nel corso della sua indagine la donna arriverà a scoprire una sconcertante verità.
Essendo un thriller ovviamente non si può rivelare di più riguardo la trama che occorre seguire attentamente per comprendere appieno il finale rivelatore.
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"Doppio Amore" del regista Francois Ozon è un thriller psicologico in cui una giovane e bella donna è piuttosto tormentata senza saperne e capirne il motivo. Pertanto ella inizia un percorso di sedute presso uno psichiatra del quale, dopo breve tempo, si innamora, ricambiata. E' così che la coppia inizia a condividere la propria esistenza in un nuovo appartamento. Da questo momento per la protagonista inizia una serie di conturbanti avvenimenti di cui vuole ricercare la ragione e nel corso della sua indagine la donna arriverà a scoprire una sconcertante verità.
Essendo un thriller ovviamente non si può rivelare di più riguardo la trama che occorre seguire attentamente per comprendere appieno il finale rivelatore. Al di là di ciò si può senza alcun dubbio affermare che quest'opera di Ozon è molto ben congegnata, diretta ed interpretata dai suoi protagonisti (Marine Vacht e Jérémie Renier) e pertanto il tutto funziona. Ozon può scandalizzare il pubblico per le sue scene esplicite e dirette, ma solo se non lo si conosce e non lo si apprezza. Il regista francese, infatti, non scende mai nel volgare e non ricorre mai a riprese inutili e gratuite: il tutto fa parte di un insieme che ben si armonizza nell'intero contesto. Forse, in "Doppio Amore" la vicenda può apparire un poco ricercata e la tematica del 'doppio' è stata anche già abbondantemente affrontata in altre pellicole precedenti da svariati registi, ma Ozon è riuscito a presentarla in una forma nuova (seppure con moltissimi riferimenti a maestri quali Polanski, Cronenberg, ecc,...) e, dunque, originale e tutta sua.
Altro non vi è da aggiungere ed il film sicuramente è consigliabile.
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[+] il cinema di ozon, tra visione, seduzione, inganno
(di antoniomontefalcone)
[ - ] il cinema di ozon, tra visione, seduzione, inganno
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1978
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martedì 24 aprile 2018
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un ozon minore
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Ozon ci ha abituati a ben altri film: girandone molti, capita a volte che non siano eccelsi. E' questo il caso di questa pellicola elegante ma che non coinvolge.
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luigagli
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sabato 21 aprile 2018
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uno psicanalista per la vita
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I primissimi piani che incorniciano la nascita di un sentimento: non doveva accadere eppure i transfert, talvolta, escono dallo studio così come le turbe che avevano portato la protagonista a entrarci. Il cote' è estremamente elegante con scenografie fatte di allestimenti e appartamenti pieni di luce e finestre.
Una psiche, quella di lei, estremamente complessa che trascina al parossismo un irrisolto complesso di elettra fino a proiettarlo ai vicini affetti (gatto incluso). Forse sarebbe piaciuto (e compiaciuto) anche a diversi maestri del cinema della scorsa generazione.
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carlosantoni
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venerdì 20 aprile 2018
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rosemary’s cat
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Davvero un film che funziona, che funziona eccome! Intanto negli aspetti formali, il che non significa esteriori. Eccellente la fotografia, specialmente se si considera che la maggior parte delle sequenze sono in notturna o girate in ambienti a luminosità scarsissima (quando non al contrario, di un chiarore smagliante): i toni cupi, le penombre, le tonalità calde e sfumate, rendono ottimamente il clima di mistero, d’incertezza e di ansia che la storia vuol comunicare. Certe immagini sono davvero preziose, come quella della protagonista che, scesa irosamente dalla macchina guidata dal suo uomo, vomita sul ciglio della strada… poi, dopo una specie di soggettiva dall’interno dell’auto, la scena è ripresa all’aperto, di notte, in grandangolo, contro una barriera altissima e uniforme di alberi, dei quali la luce radente di qualche faro o cellula fotoelettrica mette in evidenza soltanto un’esilissima trama di rami, e intorno il nero più nero.
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Davvero un film che funziona, che funziona eccome! Intanto negli aspetti formali, il che non significa esteriori. Eccellente la fotografia, specialmente se si considera che la maggior parte delle sequenze sono in notturna o girate in ambienti a luminosità scarsissima (quando non al contrario, di un chiarore smagliante): i toni cupi, le penombre, le tonalità calde e sfumate, rendono ottimamente il clima di mistero, d’incertezza e di ansia che la storia vuol comunicare. Certe immagini sono davvero preziose, come quella della protagonista che, scesa irosamente dalla macchina guidata dal suo uomo, vomita sul ciglio della strada… poi, dopo una specie di soggettiva dall’interno dell’auto, la scena è ripresa all’aperto, di notte, in grandangolo, contro una barriera altissima e uniforme di alberi, dei quali la luce radente di qualche faro o cellula fotoelettrica mette in evidenza soltanto un’esilissima trama di rami, e intorno il nero più nero. O come, al contrario, le immagini nitidissime girate nell’interno del museo dove lavora Chloé, dove ella stessa, compostamente seduta come guardiana tra un’opera d’arte e altra, può essere considerata dallo spettatore parte costitutiva dei diversi allestimenti artistici. Eccellente la musica elettronica che fa da commento sonoro, ma che, e non è certo un caso, inizia a fare la sua comparsa soltanto quando sono terminate le scene iniziali di sedute psicoterapiche, una buona decina di minuti dall’inizio del film: come dire, prima c’è da ascoltare le dichiarazioni d’intenti dei personaggi, nel loro nitore.
Che dire poi degli attori protagonisti, Marine Vacth e Jérémie Renier? Molto convincenti, perfettamente nel loro ruolo (per Jérémie dovrei dire: ruoli). Peraltro, ottima la scelta del casting specialmente per quanto riguarda la Vacth, per il semplice motivo che ha un viso i cui lineamenti ricordano molto quelli di Mia Farrow (e come dirò non mi sembra affatto casuale) e al tempo stesso un corpo stupendamente sensuale, insomma tale da racchiudere nella stessa persona caratteristiche che possono alludere a due ben diverse personalità. La storia, di cui non dico niente se non che è del genere thriller-horror, direi che è ben congegnata e le scelte scenografiche alludono continuamente al concetto del doppio, con un continuo utilizzo di specchi che duplicano l’immagine, o con l’utilizzo di effetti speciali che permettono l’esplicita duplicazione del volto o della persona di lei, o di lui, o addirittura di entrambi nello stesso momento, all’interno della stessa sequenza: il film, in fondo, s’interroga su questo, sull’ossessione per il doppio e il mistero che questa ossessione può nascondere.
Alludevo alla non casualità della somiglianza della Vacth alla Farrow, perché il film richiama per più motivi “Rosemary’s Baby”: non solo per la centralità del tema della gravidanza, ma per la presenza della vicina di casa che pare assomigliare alla megera del film di Polanski, o per le simbologie connesse alla presenza dei gatti. Peraltro, l’idea dei gemelli e delle fantasie orrorifiche sul corpo umano rinviano a Cronenberg (“Inseparabili”), mentre quella che fonde l’idea dei gemelli con quella dei gatti rimanda con forza al “Bacio della pantera”, straordinario noir-horror di Tourneur. C’è poi una citazione esplicita ad una scena di “Alien” di Scott, laddove la protagonista… “partorisce”, e non è difficile rinvenire allusioni al mondo di Hitchcock e di De Palma nelle strutture architettoniche, soprattutto degl’interni.
Un film sicuramente da vedere (e almeno rivedere: una volta per gemello).
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vanessa zarastro
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venerdì 6 aprile 2018
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il glossario di psicoanalisi
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All’interno del Festival di Cinema francese a Roma in questi giorni è stato proiettato “L’amant double – Doppio amore” di François Ozon, tratto da un romanzo breve di Joyce Carol Oates “Lives of the Twince”.
La tematica del doppio è uno degli argomenti di base trattati dalla psicoanalisi. Nella Vienna dell’inizio del Novecento Sigmund Freud confidò di evitare lo scrittore Arthur Schnitzler «per una specie di timore del “sosia”». Così gli scrisse nel 1922 in una lettera: «...sempre,quando mi sono abbandonato alle Sue belle creazioni, ho creduto di trovare dietro la loro parvenza poetica gli stessi presupposti, interessi e risultati che conoscevo come miei propri.
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All’interno del Festival di Cinema francese a Roma in questi giorni è stato proiettato “L’amant double – Doppio amore” di François Ozon, tratto da un romanzo breve di Joyce Carol Oates “Lives of the Twince”.
La tematica del doppio è uno degli argomenti di base trattati dalla psicoanalisi. Nella Vienna dell’inizio del Novecento Sigmund Freud confidò di evitare lo scrittore Arthur Schnitzler «per una specie di timore del “sosia”». Così gli scrisse nel 1922 in una lettera: «...sempre,quando mi sono abbandonato alle Sue belle creazioni, ho creduto di trovare dietro la loro parvenza poetica gli stessi presupposti, interessi e risultati che conoscevo come miei propri. Il Suo determinismo come il Suo scetticismo - che la gente chiama pessimismo -, la Sua penetrazione nelle verità dell'inconscio, nella natura istintiva dell'uomo, la Sua demolizione delle certezze convenzionali della civiltà, l'adesione dei Suoi pensieri alla polarità di amore e morte, tutto ciò mi ha commosso come qualcosa di incredibilmente familiare…».
“L’amant double” presenta un motivo onirico-reale surreale, un po’ come i romanzi di Schnitzler, trasposto a Parigi ai giorni d’oggi. Chloé è una ragazza di venticinque anni, ex modella, che soffre spesso di algie addominali. Vive sola con un gattone certosino di nome Milo. Figlia unica – avrebbe sempre desiderato avere una sorella, magari una gemella - e non voluta, di una donna libera e affascinate, di padre incerto, è stata cresciuta dai nonni sentendosi, pertanto, abbandonata e non amata. A un controllo la ginecologa non le riscontra alcun problema fisico, pensa che sia un problema psicosomatico, ragion per cui Chloé inizia una terapia psicoanalitica con l’affascinate dott. Paul Meyer. Tra i due nasce un forte desiderio: la terapia si interrompe e vanno, invece, a vivere insieme. Casualmente scopre che Paul ha un fratello gemello monozigote anch’esso psichiatra, ma che pratica una terapia cognitivo-comportamentale. Lei inizia, di nascosto da Paul a frequentarlo e anche lì da terapia si trasforma in un rapporto sessuale passionale. Di più non posso dire perché da film psicologico si trasforma, man mano in crescendo in un thriller. Di film sui gemelli ne sono stati fatti vari ma io ne ricordo uno splendido, che sicuramente Ozon conosce bene che è Gli inseparabili di Cronenberg del 1988 con la magnifica interpretazione di Jeremy Irons dei gemelli ginecologi. Qui purtroppo Jérémie Renier non riesce a essere all’altezza del suo doppio ruolo.
L’ambientazione è accurata, dall’appartamento più modesto si passa al Museo di Arte Contemporanea del Trocadero e, allo studio del fratello cognitivo comportamentale in un bellissimo palazzo decò a Les Invalides. Molti sono gli specchi negli interni o le immagini simmetriche della fotografia che è notevole. I percorsi della protagonista negli interni minimalisti del museo o su per le scale a spirale dei palazzi sono inquietanti, però il film non convince. François Ozon ha molto talento come regista ma spesso eccede: ha la mano facile ma non sa quando fermarsi, pertanto, diventa un po’ manierista e ridondante.
Nella prima parte “L’amant double – Doppio amore” finisce per diventare ripetitivo e molte trovate del regista sembrano scelte con l’obiettivo di épater les bourgeois. Inoltre, se si sfoglia un glossario di psicoanalisi si possono ritrovare tutti gli elementi del film:
- Il tranfert è un meccanismo per cui si tende a spostare sentimenti, emozioni e desideri su una persona con cui si ha un coinvolgimento, un rapporto interpersonale, in un modo inconscio. Una normale proiezione di stima, affetto, amore per il partner psicoanalitico.
- Il contro-tranfert è la contro-traslazione che insorge nel medico per l’influsso del paziente sui suoi sentimenti inconsci.
- La proiezione in psicoanalisi è un meccanismo di difesa per cui un soggetto attribuisce a qualcun altro delle situazioni psichiche che non riesce ad ammettere in se stesso.
- L’isteria è il primissimo disturbo affrontato da Sigmund Freud (il caso di Dora costituisce uno dei suoi casi clinici più celebri). È una tipologia di attacchi nevrotici intensi di soggetti prevalentemente femminili, con stati emozionali parossistici particolarmente teatrali. Possono portare, ad esempio, a una gravidanza isterica.
- Il narcisismo: in una delle versioni del mito di Narciso si racconta che avesse una sorella gemella di cui poi s’innamorò e quando lei morì, guardandosi allo specchio credette di vedere l’immagine di lei.
- Vale anche per i sogni con i loro significati, per l’invidia del pene di cui soffrono molte donne per i complessi edipici, e così via.
Molte sono le esplicite citazioni cinefile, da Rosemary’s baby di Polanski del 1968 – la vicina invadente è un omaggio a Minnie interpretata da Ruth Gordon – agli animali impagliati de La donna che visse due volte di Hitchcock del 1954, dal gatto spettatore degli amplessi in Elle di Paul Verhoeven del 2016, a La signora di Shanghai di Orson Wells del 1947 nello specchio a una delle due immagini speculari con conseguente rottura dello specchio.
L’amant double è stato presentato alla 70ma edizione del festival di Cannes. Françoise Ozon e Marine Vacth avevano già girato insieme nel 2013 Giovane e bella, un buon film sulla prostituzione femminile e sicuramente con meno citazioni.
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