vanessa zarastro
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sabato 24 marzo 2018
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l’ineluttabilità del fato
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Un film intenso ed emotivamente impegnativo che parla della casualità delle vite e delle morti e dell’ineluttabilità del fato.
Il film presenta tre episodi della vita di una famiglia israeliana a Tel Haviv. O meglio una tragedia in tre atti.
Lui è Michael Feldman, un architetto di successo che ha sposato Dafna (Sarah Adler), una donna più giovane. Dopo un periodo d’innamoramento vissuto in una mansarda sul mare, lei era rimasta in cinta, hanno avuto due figli Yonatan e Hannah e si sono trasferiti in un moderno e più grande appartamento. La mamma di Michael, una tedesca ebrea che ha conosciuto gli orrori di Auschwitz, vive in una casa di riposo.
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Un film intenso ed emotivamente impegnativo che parla della casualità delle vite e delle morti e dell’ineluttabilità del fato.
Il film presenta tre episodi della vita di una famiglia israeliana a Tel Haviv. O meglio una tragedia in tre atti.
Lui è Michael Feldman, un architetto di successo che ha sposato Dafna (Sarah Adler), una donna più giovane. Dopo un periodo d’innamoramento vissuto in una mansarda sul mare, lei era rimasta in cinta, hanno avuto due figli Yonatan e Hannah e si sono trasferiti in un moderno e più grande appartamento. La mamma di Michael, una tedesca ebrea che ha conosciuto gli orrori di Auschwitz, vive in una casa di riposo.
Yonatan (Yonatan Shitay), abile disegnatore e poco più che ventenne, parte militare (due anni sono obbligatori) e un giorno Michael e Dafna ricevono l’indicibile notizia della morte del figlio. Lei sviene e viene sedata e per un po’ di ore dormirà, mentre lui ha delle reazioni dolorose di chiusura al mondo alternati a violenti scoppi di rabbia. Qui la macchina da presa svolge un compito importante: il suo dolore è decritto o con viste all’altezza del pavimento con scarpe e piedi che si muovono ad altezza dello zoccoletto, o con viste dall’alto che lo inquadrano in sfoghi solipsisti e claustrofobici. Infatti, gli mancherà l’aria e uscirà per andare a informare sua madre, che alla fine del colloquio lo scambia con il fratello Avigdor (Yehuda Almagor).
Nel pomeriggio arrivano due militari che lo informan dell’equivoco: suo figlio è vivo ed è stato un caso di omonimia. In un attacco d’ira Michael pretende che il figlio venga fatto rientrare subito a casa.
Il secondo atto mostra Yonatan con i suoi commilitoni a un posto di blocco nel deserto. Questo quadro forse è il più interessante del film con visioni statiche, dialogo che sono quasi più monologhi. Un grande vuoto riempito solo dalla danza circolare in quattro tempi del ragazzo, il fox-trot, che riporta i passi sempre sulla stessa posizione di partenza. Grande senso dello squallore pervade questo middle of nowhere, dove passano qualche isolato cammello e pochissime macchine. La paura di un attentato terroristico crea una tensione altissima. Infatti di notte, da un’auto con quattro ragazzi un po’ su di giri, esce una lattina che viene scambiata per una granata e i commilitoni spareranno. L’equivoco a generato una tragedia. Il ragazzo viene richiamato a casa.
L’ultimo atto, forse quello meno riuscito ma anche quello più intimista, è proiettato qualche tempo dopo (mesi? anni?). Si evince che Michael e Dafna si siano separati e si incontrano per commemorare il figlio nel giorno del suo compleanno. Stavolta Yonatan è davvero morto perché l’auto che lo stava riportando a casa ha avuto un incidente e per evitare di rendere un cammello è finito nel burrone.
I due si rinfacciano varie cose, o meglio lei colpevolizza il marito che man mano si apre e ricorda. Trovano della marjuana del figlio in un cassetto e si fanno una canna. Il film finisce con loro due che sembrano invecchiati di vent’anni e si sostengono come una coppia veterana.
Foxtrot – La danza del destino è un film surrealista drammatico che presenta una commistione di generi: ironico (i vari fumetti), tragico e comico (il balletto nel deserto in coppia con un fucile).Samuel Maoz ha realizzato questo film dopo un fatto realmente accadutogli: sua figlia è scampata a un attentato per essere arrivata in ritardo e aver preso l’autobus successivo a quello che è esploso per una bomba. Presentato alla 74esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 2017, il film ha ottenuto il premio per la miglior regia ed è stato selezionato per rappresentare Israele agli Oscar 2018.
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gaiart
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domenica 10 settembre 2017
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“la guerra non restaura diritti, ridefinisce poter
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FOXTROT
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Samuel Maoz
“La guerra non restaura diritti, ridefinisce poteri”.
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FOXTROT
di
Samuel Maoz
“La guerra non restaura diritti, ridefinisce poteri”.
Hannah Arendt
Non si dicono mai tante bugie quante se ne dicono prima delle elezioni, durante una guerra e dopo la caccia.
Otto von Bismarck
In guerra mi facevano più impressione i vivi, che i morti. I morti mi sembravano dei recipienti usati e poi buttati via da qualcuno, li guardavo come se fossero bottiglie rotte. I vivi, invece, avevano questo terribile vuoto negli occhi: erano esseri umani che avevano guardato oltre la pazzia, e ora vivevano abbracciati alla morte.
Nicolai Lilin
Un robottino giocattolo, verde elettrico con pistola, un dromedario, piastrelle grigie esagonali, un album di disegni originali, una sirena con la coda staccata in un tatuaggio.
Con pochi potenti, indelebili, elementi si delinea un film prestigioso, con l’eleganza di un Sorrentino israeliano: il regista Samuel Maoz, per intenderci quello che vinse il Leone d’Oro con Lebanon, ora a Venezia conFoxtrot.
Si perchè di ballo si tratta, seppur in guerra, in un paese che vive l’attimo più di altri.
“Il foxtrot, ovunque si vada, porta sempre nello stesso punto” dice il protagonista e, con questa massima e su questa linea, si svolge il meraviglioso e potente film.
Elicoidale su se stesso, avvolto, assieme al paese e ai suoi protagonisti, nelle proprie spirali energetiche, di memoria e di errore sia storico, che militare, che famigliare.
Un padre nasconde la propria fragilità, assieme ad un errore commesso da militare che perseguita la sua memoria, la sua autostima, generando un senso di colpa indelebile. Questo intacca la famiglia, la moglie, i figli come un sasso che gettato nello stagno genera onde concentriche.
Infatti Michael e Dafna sperimentano il più grande dei dolori quando si presentano dei funzionari dell'esercito che comunicano la morte del loro figlio Jonathan mentre si trovava impegnato in un remoto avamposto.
Il sonoro nella prima parte del film, girata nell’elegante casa di questo architetto posh, gioca fin da subito un ruolo rilevante per convogliare uno stato di ansia, di aggressione estrema: la stessa che, in sostanza, Israele vive quotidianamente nella violenza delle sue giornate e della sua politica.
Qui urla, botte, porte che sbattono, colpi improvvisi, il guaire di un cane, suoni di campanelli, reiterati allarmi sul telefonino convogliano fin dal primo istante un senso di tensione nello spettatore.
E il regista, in questo modo, è bravo a passare empatia negativa a chi non conosce la vita in Israele.
Poi, out of the blue, un twist imprevedibile del film conduce in un ballo divertente di un giovane in armi nel deserto del Negev, mentre abbarbicato al suo fucile come fosse una bionda formosa, si avventura in un’antica forma di breakdance che ha del tragicomico.
Ottima la fotografia e la grafica del film che si palesa anche con dei cartoons che spezzano tensione e aggiornano il ritmo.
Indubbiamente l’approccio artistico numeroso si svela in disegni, opere d’arte nei muri, in una grande fotografia di alberi in bianco e nero, come una guerra i cui risultati non transigono.
Gli attori, tutti credibili, autentici; geniale la presa di posizione verso la stupidità di una guerra perenne, verso l’occupazione e i posti di blocco in mezzo al deserto, in cui giovani (militari per caso) sono ignari e lontani dal tema della morte, forse perché ancora intrisi di playstation e latte materno.
Fino a quando non la devono inutilmente sperimentare - la morte- proprio sulla loro pelle o su quella di altri giovani innocenti.
Toccato dal vivo, come racconta in conferenza stampa, il regista racconta una storia reale relativa a quando credette di aver perso sua figlia in un attentato terroristico nell’autobus che la portava a scuola. Invece proprio quella mattina per caso aveva preso un taxi perché in ritardo, salvandosi.
Il film è sconvolgente e merita di vincere un premio. Non il leone d’oro che non basterebbe, ma magari il Nobel per la pace.
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[+] la danza beffarda del destino
(di antoniomontefalcone)
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peergynt
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martedì 5 settembre 2017
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la guerra e la colpa
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Film dall'incipit fulminante: qualcuno che non vediamo suona ad una porta, apre una donna, la voce fuori campo chiede: "Signora Feldmann?" e la donna sviene. Resta in primo piano un quadro appeso al muro, il disegno in bianco e nero di un tunnel angoscioso. Lo spettatore si chiede perché, e lo scopre vedendo che le persone che hanno suonato alla porta sono militari: la donna ha un figlio soldato, loro sono venuti a comunicarle che il ragazzo è caduto nell'adempimento del suo dovere.
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Film dall'incipit fulminante: qualcuno che non vediamo suona ad una porta, apre una donna, la voce fuori campo chiede: "Signora Feldmann?" e la donna sviene. Resta in primo piano un quadro appeso al muro, il disegno in bianco e nero di un tunnel angoscioso. Lo spettatore si chiede perché, e lo scopre vedendo che le persone che hanno suonato alla porta sono militari: la donna ha un figlio soldato, loro sono venuti a comunicarle che il ragazzo è caduto nell'adempimento del suo dovere.
Il film, diretto da Samuel Maoz (che vinse nel 2009 il Leone d'oro col film "Lebanon"), ha il pregio non solo di idee cinematograficamente riuscite come questa ma anche di una costruzione rigorosa e stringente sul tema tipicamente ebraico della colpa, che in qualche modo va scontata, e sull'assurdità della guerra, rappresentata da un posto di blocco dove quattro giovani militari attendono qualcosa che non si verifica mai.
Sorta di dramma dell'assurdo, il film spicca per intelligenza nel panorama dei film presentati alla 74. Mostra del cinema di Venezia.
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robert eroica
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venerdì 1 settembre 2017
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foxtrot
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#Venezia74. FOXTROT. Viene subito alla mente un celebre racconto di Tommaso Landolfi guardando il film di Maoz. Quello della moglie prima pianta perche' creduta morta e poi morta per davvero. Ma Landolfi dell'insensatezza della vita se ne infischiava e ci giocava allegramente a dadi. Maoz, che e' stato soldato davvero e ha vinto a Venezia con il riuscito LEBANON, non ha certo lo stesso punto di vista. Racconta anche lui una doppia morte ma lo fa con la prospettiva di chi decide come e quando bagnare i fazzoletti.. Con compiaciuto pregiudizio di essere comunque dalla parte della ragione, militare, politica, civile. Guardate con quale sbrigativa dissoluzione vengono liquidate le vittime di guerra e l'agghiacciante ricerca dello shock nei primi 15 minuti con scelte registiche francamente inqualificabili.
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#Venezia74. FOXTROT. Viene subito alla mente un celebre racconto di Tommaso Landolfi guardando il film di Maoz. Quello della moglie prima pianta perche' creduta morta e poi morta per davvero. Ma Landolfi dell'insensatezza della vita se ne infischiava e ci giocava allegramente a dadi. Maoz, che e' stato soldato davvero e ha vinto a Venezia con il riuscito LEBANON, non ha certo lo stesso punto di vista. Racconta anche lui una doppia morte ma lo fa con la prospettiva di chi decide come e quando bagnare i fazzoletti.. Con compiaciuto pregiudizio di essere comunque dalla parte della ragione, militare, politica, civile. Guardate con quale sbrigativa dissoluzione vengono liquidate le vittime di guerra e l'agghiacciante ricerca dello shock nei primi 15 minuti con scelte registiche francamente inqualificabili. Maoz vorrebbe fare un film arty impegnato e colto con sprazzi di ironia, un israeliano d'autore. Riesce in un pasticcio incredibile tra temi alti e l'inadeguatezza assoluta di esserne all'altezza. Peggior opera in gara. Voto:0
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