icardi22
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giovedì 9 giugno 2016
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movie is art
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Parto con una premessa: ma chi ci hanno mandato a Cannes a fare i giudici?
Refn è sicuramente conosciuto per la sua principale caratteristica di dividere il pubblico, come da lui stesso affermato se non riuscisse in questo vorrebbe dire che il film non è riuscito. Secondo il mio modesto parere, il cinema deve suscitare emozioni, e se questo film lo si valuta sotto questo punto di vista stiamo parlando di apoteosi piena.
Importantissimo rimarcare che non è un film commerciale, in quanto destinato ad una categoria di persone con una apertura mentale (in senso cinematografico) molto ampia. Una visione ammaliante che gode di una fotografia con pochi eguali, grazie a giochi di luce e colori che vanno dal blu elettrico al femminile fucsia, questo fa sì che nessuna scena sia banale e fine a se stessa, rendendola un piacere per i sensi dello spettatore che si troverà completamente divorato e sommerso da ciò a cui sta assistendo, ripresa da angolazioni sempre interessanti e punti di vista che renderanno più semplice l'interpretazione.
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Parto con una premessa: ma chi ci hanno mandato a Cannes a fare i giudici?
Refn è sicuramente conosciuto per la sua principale caratteristica di dividere il pubblico, come da lui stesso affermato se non riuscisse in questo vorrebbe dire che il film non è riuscito. Secondo il mio modesto parere, il cinema deve suscitare emozioni, e se questo film lo si valuta sotto questo punto di vista stiamo parlando di apoteosi piena.
Importantissimo rimarcare che non è un film commerciale, in quanto destinato ad una categoria di persone con una apertura mentale (in senso cinematografico) molto ampia. Una visione ammaliante che gode di una fotografia con pochi eguali, grazie a giochi di luce e colori che vanno dal blu elettrico al femminile fucsia, questo fa sì che nessuna scena sia banale e fine a se stessa, rendendola un piacere per i sensi dello spettatore che si troverà completamente divorato e sommerso da ciò a cui sta assistendo, ripresa da angolazioni sempre interessanti e punti di vista che renderanno più semplice l'interpretazione. Giochi di sguardi, simbolismi, eccesso, perversione, fino alla necrofilia e al cannibalismo si evolvono in una pellicola che matura sempre di più durante la prima parte fino ad esplodere definitivamente nel finale.
La bellezza ha ovviamente il ruolo principale, mettendo in evidenza la follia e l'ossessione a cui porta la ricerca della perfezione, in un mondo dove i veri valori vengono messi da parte da quelle che sono le apparenze, senza poter sfuggire al mutamento che certi ambienti possono portare.
Insomma, Refn ha fatto nuovamente colpo, ci ha nuovamente divisi, ma la parte che ha apprezzato il suo nuovo film è uscita decisamente entusiasta e shockata dalla sala.
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(di gianlucaghetti)
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khaleb83
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giovedì 9 giugno 2016
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un magnifico gioco di specchi
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Refn è un provocatore, e per questo attira critiche e controversie come pochi. Ma prima che un provocatore è un regista, e quindi bisogna parlare dei suoi film per valutarli, non di quel che vi aleggia attorno.
Tanto per cominciare classificare The Neon Demon come un film dell'orrore è a dir poco sbagliato, per quanto la pellicola giochi molto con le atmosfere che ne sono tipiche; ma è stupido ricadere nella collocazione tradizionale dei generi per un film che dai generi esula. Se proprio si volesse badare alla trama si dovrebbe parlare di thriller grottesco, ma in generale il film è una riflessione a cuore aperto sul rapporto tra etica ed estetica, che mette in gioco prospettive contrapposte evidenziando tuttavia la posizione in merito di Refn.
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Refn è un provocatore, e per questo attira critiche e controversie come pochi. Ma prima che un provocatore è un regista, e quindi bisogna parlare dei suoi film per valutarli, non di quel che vi aleggia attorno.
Tanto per cominciare classificare The Neon Demon come un film dell'orrore è a dir poco sbagliato, per quanto la pellicola giochi molto con le atmosfere che ne sono tipiche; ma è stupido ricadere nella collocazione tradizionale dei generi per un film che dai generi esula. Se proprio si volesse badare alla trama si dovrebbe parlare di thriller grottesco, ma in generale il film è una riflessione a cuore aperto sul rapporto tra etica ed estetica, che mette in gioco prospettive contrapposte evidenziando tuttavia la posizione in merito di Refn. In molti hanno parlato di vuota estetica; al contrario ritengo che, per usare un'espressione rubata, sia "piena estetica"; non c'è una singola inquadratura, un singolo gioco di luci o di specchi (sapientemente, elemento ricorrente nel film usato sia per rendere le scene intriganti, sia per il suo valore simbolico) che non sia prettamente funzionale al racconto. Non puoi presentare un lavoro che tratti di estetica (soprattutto con le peculiari prospettive di Refn, che fa anche un lavoro di autocritica esponendo la sua personalissima soluzione per bocca di alcuni personaggi) senza curare l'estetica del tuo film, in positivo o in negativo.
La recitazione è più che buona, anche se non è il punto focale del film per la maggior parte delle scene (uno dei peggiori attori di grande fama al mondo, Reeves, è nel cast e non stona, per capirci). La fotografia è magnifica, soprattutto ancora una volta funzionale alla storia, patinata perché così è il racconto. La sceneggiatura regge, riuscendo anche ad avere una certa gradualità che solitamente è difficile ottenere in lavori del genere, anche se rimangono un paio di scene che usciti dal cinema - anche dopo il paio d'ore abbondante che un film del genere richiede per essere metabolizzato - continuano a rimanere poco chiare. E' fuor di dubbio che, qui e là, Refn si diverta a provocare; ma non è mai una provocazione gratuita, se non per un occhio superficiale. Come l'estetica quasi eccessiva del film, si tratta di qualcosa di costantemente mirato al messaggio di fondo, di funzionale al film stesso; che si tratti di erotismo, necrofilia o crudezza, lo spettatore è disturbato. Superficialmente dalla composizione della scena, in profondità dal suo significato.
In calce, la polemica sul maschilismo del film è seconda per sterilità soltanto a quella sul cartellone pubblicitario di X-Men: Apocalypse degli scorsi giorni. Sostenerla significa aver visto il film senza capire che i personaggi incarnano prospettive sulla bellezza, che non sono condannabili se non nella misura in cui lo fa la loro etica; è quello il senso del film, valutarlo dall'esterno confondendo le caratteristiche dei personaggi con la loro femminilità indica una certa impermeabilità ai contenuti. Si può accettare o non accettare la visione del mondo che ha Refn, e io certo non ho intenzione di fare la prima cosa, ma trasformarla in maschilismo indica davvero profonda superficialità o malafede. O, semplicemente, ingenuità nell'esser cascati nel suo trabocchetto.
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no_data
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giovedì 9 giugno 2016
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un passo indietro
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Per alcuni aspetti The Neon Demon rimanda a Fear X ma è sul piano meramente qualitativo che il nuovo film di Refn appare un passo indietro, specie se si prende in considerazione quale sia l'equilibrio perfetto tra immagine/scrittura e la capacità di eludere ogni prevedibilità attraverso scarti narrativi che si apprezzano in Bronson, Drive e in Only God Forgives. Mal consigliato nel lavoro alla sceneggiatura, Refn non ha raggiunto qui quella nitidezza di idee, e quell'esattezza del rapporto fra tempi/contenuto che è prerogativa del grande cinema; per il respiro imposto alla narrazione e senza una sintassi di ferro, 110 minuti (il film più lungo del regista) appaiono davvero troppi. L'errore sorprendente, forse il solo davvero importante ma capace di provocare al centro del film una torsione dalla quale il lavoro si riprende solo andando verso la conclusione, sta nella scelta di Keanu Reeves: un attore-icona che, anche se apparisse in solo due fotogrammi, sarebbe capace di riempire di sé lo schermo per un quarto d'ora avrebbe meritato, infatti, la parte del fotografo, conteso da ogni modella, aggiungendo così un carico sulla bilancia dei segni del potere e del desiderio ben più sostanziale rispetto a quello che apporta Harrington.
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Per alcuni aspetti The Neon Demon rimanda a Fear X ma è sul piano meramente qualitativo che il nuovo film di Refn appare un passo indietro, specie se si prende in considerazione quale sia l'equilibrio perfetto tra immagine/scrittura e la capacità di eludere ogni prevedibilità attraverso scarti narrativi che si apprezzano in Bronson, Drive e in Only God Forgives. Mal consigliato nel lavoro alla sceneggiatura, Refn non ha raggiunto qui quella nitidezza di idee, e quell'esattezza del rapporto fra tempi/contenuto che è prerogativa del grande cinema; per il respiro imposto alla narrazione e senza una sintassi di ferro, 110 minuti (il film più lungo del regista) appaiono davvero troppi. L'errore sorprendente, forse il solo davvero importante ma capace di provocare al centro del film una torsione dalla quale il lavoro si riprende solo andando verso la conclusione, sta nella scelta di Keanu Reeves: un attore-icona che, anche se apparisse in solo due fotogrammi, sarebbe capace di riempire di sé lo schermo per un quarto d'ora avrebbe meritato, infatti, la parte del fotografo, conteso da ogni modella, aggiungendo così un carico sulla bilancia dei segni del potere e del desiderio ben più sostanziale rispetto a quello che apporta Harrington. Del resto s'impone meglio all'attenzione dello spettatore una voce inquisitoria che sentenzia dietro la grata del portierato che Reeves ripreso più per dovere che per necessità drammatica durante il colloquio con Dean (Karl Glusman) sul quale invece, ed a ragione, continua ad indugiare la mdp; e dire che in Only God Forgives per schizzare i tratti dello stupratore (tale è anche Hank) bastano il viso e le inquadrature giuste che danno abbrivio azione. Come anche sono sufficienti in The Neon Demon le urla che Jesse ascolta provenire nella stanza accanto in una delle sequenze meglio montate del film: la dissolvenza su un'immagine rarefatta e al tempo stesso capace di evocare suggestioni primordiali, ottenuta con un gesto plastico sulla silhouette accesa attraverso le foglie della carta da parati. Ed è in luoghi come questo che si riconosce il talento di Refn. Terminata la proiezione, infatti, ben più che il disegno generale si trattengono momenti dell'azione inscritti nella rigogliosa, raggelante, fotografia della Braier e, al tempo stesso, capaci di essere cinema: l'apice della festa che è video-istallazione ed epifania per la protagonista, l'apparizione del felino nella stanza, la sfilata di moda sostituita con la contemplazione solipsistica di Jesse che inventa altre se stessa nella rifrazione prismatica delle geometrie di un flash, le sequenze tanatoprassiche, quelle necrofiliache e poi cannibaliche. E spetta ancora una volta a Cliff Martinez intessere una fitta maglia sonora talmente suggestiva da soffrire solo laddove l'immagine non le si accordi nel significato con precisione millimetrica. Cercare i rimandi cinematografici è gioco facile in un soggetto come questo e, con una vertigine, si può andare da Blow-Up a La morte ti fa bella, da Crash a The Canyons. Eppure restano salienti i tratti del linguaggio di Refn. A differenza del cinema di Lynch, ad esempio, qui non si assiste ad uno svuotamento della tensione teleologica perché il cinema del regista danese, negli esiti più felici, continua a trarre alimento dall'orizzonte finalistico della trama; ed è anche per questa ragione che un'accorta disposizione degli elementi narrativi appare quanto mai necessaria.
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giovedì 9 giugno 2016
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un film complice di quanto denuncia
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Condivido il giudizio, pessimo, sul film. Non condivido lo stupore per tanta condivisa misoginia e non mi illudo affatto che le sceneggiatrici, perché donne, non ne siano colpevoli. Anzi. Lo stesso mi sembra ingenuo lo stupore per il marketing sotteso. Il modo della moda vive di negatività e ne fa uso da sempre. Il film da questo punto di vista è del tutto COMPLICE di quanto vorrebbe denunciare. Ed è questo che lo rende inaccettabile. La sua incapacità è infatti nell'essere oggetto di bellezza naturale, la sua estetica dell'artificio è la stessa che uccide la bellezza. Nulla a che vedere con De Palma e Lynch.
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