vanessa zarastro
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venerdì 22 settembre 2017
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odissea nera
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Dopo il successo ottenuto da Jonas Carpignano con il film A Ciambra, alcune sale cinematografiche hanno deciso di proiettare il suo docu-film precedente dal titolo Mediterranea, passato troppo velocemente nelle sale romane. Il film racconta l’odissea di Ayiva nato e cresciuto a Ouagadougu in Burkina Faso, che emigra in Italia e si ferma in Calabria circa una decina di anni fa. Il regista non indugia sulle peripezie e disgrazie del suo attraversamento del deserto in Algeria, del suo arrivo in Libia e dell’attraversamento del Mediterraneo. Attraverso poche immagini sintetiche il regista ci dà l’idea del deserto con i copricapi sbattuti da vento, oppure con le riprese sul gommone da “da dentro” che sembra di esserci anche noi.
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Dopo il successo ottenuto da Jonas Carpignano con il film A Ciambra, alcune sale cinematografiche hanno deciso di proiettare il suo docu-film precedente dal titolo Mediterranea, passato troppo velocemente nelle sale romane. Il film racconta l’odissea di Ayiva nato e cresciuto a Ouagadougu in Burkina Faso, che emigra in Italia e si ferma in Calabria circa una decina di anni fa. Il regista non indugia sulle peripezie e disgrazie del suo attraversamento del deserto in Algeria, del suo arrivo in Libia e dell’attraversamento del Mediterraneo. Attraverso poche immagini sintetiche il regista ci dà l’idea del deserto con i copricapi sbattuti da vento, oppure con le riprese sul gommone da “da dentro” che sembra di esserci anche noi. Con Ayiva è l’amico più giovane Abas, molto diverso di carattere. Ayiva è propositivo e lavoratore sempre pronto ad affrontare di petto le cose, Abas è più negativo e insofferente, finisce per deprimersi nelle difficoltà. Secondo lo stesso Carpignano, i due rappresentano due aspetti della stessa persona combattuta tra la ribellione e l’asservimento per sopravvivenza.
Attraverso la cinepresa in spalla - il film è girato in pellicola nel formato 16 mm -, il giovane regista italo-americano penetra, con occhio perseverante e poco clemente, una realtà difficile come quella dei braccianti stagionali neri ridotti in schiavitù a a Rosarno per raccogliere le arance a ritmi disumani e per pochi euro. È proprio per questo che, nella piana di Gioia Tauro che, nel 2010 hanno manifestato per le strade dopo che due lavoratori neri furono uccisi, e si sono così ribellati ai numerosi da sfruttamento e soprusi che subivano da anni.
Il regista descrive l’arrivo di Ayiva e Abas che ritrovano con i compaesani, poi vengono accompagnati in un giaciglio (provvisorio?) in una tendopoli sporca, fredda e con i topi. Man mano Ayiva scoprirà le piccole cose con l’arte di arrangiarsi – comprava scarpe in Burkina per rivenderle nel deserto algerino, così come compra i guanti per rivenderli ai braccianti. Ottenere un MP3 da mandare in Burkina a sua figlia di sette anni che viene cresciuta dalla sorella è già qualcosa che gli dà la forza di andare avanti.
È sano, forte, onesto e non si risparmia con il lavoro, così che il suo datore calabrese gli affida sempre qualche lavoretto in più extra.
Come ho avuto modo di scrivere un mese fa a proposito dell’anteprima di A Ciambra, si nota il giovane regista coniuga una sua particolare sensibilità con una buona conoscenza cinematografica. Anche i personaggi minori del suo film sono ben tratteggiati: tutti i membri della famiglia del suo datore di lavoro che lo accoglie, ma non lo mettere in regola per ottenere un permesso di soggiorno; mamma Africa che apparecchia piatti di pasta per quei ragazzi venuti dall’altra parte del mar mediterraneo e le volontarie nel loro orgogliosa e (anche troppo) manifesta generosità, e Pio il piccolo capetto Rom già trafficante di riciclaggio.
Approdato alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes Mediterranea ottiene la Palma d’oro e Carpignano è premiato come miglior autore debuttante dal neworkese National Board of Review.
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fabiofeli
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domenica 1 ottobre 2017
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il mare unisce le terre che divide ...
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L’odissea di Ayiva (Koudos Seihon) e Abas (Alassane Sy), due giovani del Burkina Faso, intrapresa per raggiungere l’Europa con il miraggio di un lavoro qualunque che permetta loro di mantenere la famiglia lontana, viene descritta in tutti i suoi passaggi. I primi lavori nei paesi nordafricani servono a racimolare il denaro per “il biglietto” della traversata in mare, ma è facile incappare nei predoni del deserto che ti tolgono tutto o addirittura la vita. Il percorso nei territori desertici di Marocco, Algeria e Libia viene effettuato a piedi: le lunghe file sulle dune sabbiose e le scarpate rocciose ricordano le foto di Salgado degli esodi sudamericani, esteticamente splendide ma agghiaccianti per il loro significato.
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L’odissea di Ayiva (Koudos Seihon) e Abas (Alassane Sy), due giovani del Burkina Faso, intrapresa per raggiungere l’Europa con il miraggio di un lavoro qualunque che permetta loro di mantenere la famiglia lontana, viene descritta in tutti i suoi passaggi. I primi lavori nei paesi nordafricani servono a racimolare il denaro per “il biglietto” della traversata in mare, ma è facile incappare nei predoni del deserto che ti tolgono tutto o addirittura la vita. Il percorso nei territori desertici di Marocco, Algeria e Libia viene effettuato a piedi: le lunghe file sulle dune sabbiose e le scarpate rocciose ricordano le foto di Salgado degli esodi sudamericani, esteticamente splendide ma agghiaccianti per il loro significato. Infine quello che accade sul canotto sovraffollato descrive tutta la falsità e la crudeltà della descrizione della traversata fatta sui presunti “taxi del Mediterraneo”, come ebbe a definirli cinicamente un certo politico italiano. Il migrante Ayiva deve occuparsi lui stesso di tenere la rotta al timone. Lo scoppio di una tempesta notturna con i fulmini che piovono attorno al canotto è un lungo momento tremendo: il mare grosso lascia i naufraghi aggrappati ad un relitto e questi solo per caso vengono avvistati e salvati. In terraferma c’è un centro che assomiglia ad una prigione: lì fuori la Calabria di Rosarno. Il lavoro? 10 ore al giorno di raccolta delle arance negli agrumeti per 20 euro; nessuna garanzia di una assunzione vera con contratto che prolunghi il permesso di soggiorno trimestrale. E va già bene, perché il più sembra fatto. Ma c’è un altro ostacolo da superare: i giovani del luogo mal sopportano gli africani – a meno che non si tratti di prostitute, beninteso – e uccidono due di loro spingendoli alla protesta e alla rivolta …
Non c’è niente di inventato nel racconto, opera prima presentata a Cannes da Carpignano, autore di A Ciambra che rappresenterà l’Italia all’Oscar: solo fatti di cronaca che vorremmo dimenticare. La cinepresa in mano puntata su primi e primissimi piani accentua lo spessore neorealistico della storia, che non scivola mai – e sarebbe potuto accadere – nel patetico o, peggio, nel melodrammatico. Funziona anche da catalizzatore per l’immedesimazione nei protagonisti; lo spettatore è spinto a chiedersi: “Io come mi comporterei nei loro panni? Accetterei i soprusi o mi ribellerei? Cosa mi potrebbe accadere? …”. Perché la strada da percorrere è tutta in salita ed è costellata di spine. Nessuno sconto viene fatto a chi migra che può contare su poche persone di buona volontà, tra le quali spicca il piccolo Pio Amato – successivamente protagonista del sopra citato A Ciambra -, impegnato nei traffici e negli scambi con Ayiva. Ci si rende conto che il mare unisce le terre che separa, ma anche che divide le terre che unisce. Il racconto asciutto, in fondo, fa balenare la speranza di una accettazione ed una integrazione con pari dignità, come quella che cercavano i minatori siciliani ne Il cammino della speranza di Pietro Germi; le distese innevate dei valichi alpini sono sostituite dai deserti, ma le difficoltà sono le stesse e gli uomini che combattono per sopravvivere non sono diversi. Un film da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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