midnight
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domenica 18 gennaio 2015
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il dramma di mina
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Saverio Costanzo in questa pellicola, vuole esternare il dramma di una madre (Alba Rohwacher) troppo oppressiva nei confronti del proprio figlio, con una dieta vegana e privandolo di ogni contatto con il mondo esterno, cerca di tenerlo lontano da ogni forma di “avvelenamento” . Tutto questo invece, la porta all’interno di un tunnel che costringerà il padre (Adam Driver) ad azioni estreme per proteggere il proprio figlio.
Costanzo dirige un ottimo film, che passa da una comicità iniziale un po’ stile Woody Allen, al dramma vero e proprio per concludersi con un finale thriller; un’ottima fotografia sostiene il tutto.
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enrico danelli
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domenica 8 febbraio 2015
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un cerbiatto a new york
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Trama di Bambi da wikipedia; "Una cerva dà alla luce un cerbiatto di nome Bambi, che un giorno assumerà la carica di Grande Principe della foresta. Bambi cresce molto attaccato a sua madre, con cui passa sempre il tempo. Bambi chiede spesso del mondo che lo circonda e viene ammonito sui pericoli della vita come creatura della foresta dall'amorevole madre. [+]
Trama di Bambi da wikipedia; "Una cerva dà alla luce un cerbiatto di nome Bambi, che un giorno assumerà la carica di Grande Principe della foresta. Bambi cresce molto attaccato a sua madre, con cui passa sempre il tempo. Bambi chiede spesso del mondo che lo circonda e viene ammonito sui pericoli della vita come creatura della foresta dall'amorevole madre. Durante il primo inverno di Bambi, la madre viene colpita e uccisa da un cacciatore di cervi durante il tentativo di aiutare il figlio a trovare il cibo, lasciando il piccolo cerbiatto triste e solo. Provando compassione per il suo figlio abbandonato, il Grande Principe conduce Bambi a casa e lo alleva. Dopo l'arrivo della primavera, Bambi è diventato un giovane cervo." Aggiungiamo l'incubo ricorrente di Mina (un cerbiatto ucciso da un ignoto cacciatore) e alla casa della carnefice di Mina (un fucile in bella mostra e tante teste di cervo imbalsamate oltre al latrato rabbioso in sottofondo dei cani da caccia) e vediamo che la casualità della trama di questo film è piuttosto una causalità derivata dal capolavoro disneyano del 1948. Quindi il film si snoda su di una trama classica e collaudata: gli odierni pericoli derivano da quello che mangiamo e da come ci curiamo ed è presuntuoso condannare a priori l'istinto di una madre, tanto che nel film questa condanna non arriva mai. Ottime recitazioni. Inquadrature originalissime. Una New York lontanissima dai luoghi di culto, non bella, non caotica, ma solamente assordante: il volume del traffico di strada è volutamente amplificato nelle scene esterne. Film quasi perfetto. Per cortesia: questo regista sia più prolifico.
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dani96
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venerdì 12 giugno 2015
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flagellanti urla dalle viscere.
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Puro. Liscio. Salvo. Pallido.
Dramma. Follia. Abbandono. Morte.
Gli spilli del cinema di Saverio Costanzo tornano a trafiggere, dopo il successo de " La solitudine dei numeri primi" (2010, Italia), una nuova pellicola, destinata ad imporsi nella storia del cinema come il manifesto di un incombente culto all'ecologia e al rispetto dell'ambiente, suggellato da un'atmosfera mistica, a tratti inverosimile, che lo allontana da una qualsivoglia tentativo di raccontare le note vibranti della più moderna realtà.
Attingendo ad un complesso libro su un conflitto familiare, " Il bambino indaco " di Marco Frenzoso, Costanzo affronta la storia di una coppia, nata per caso su un serale sfondo newyorkese: Mina, italiana, e Jude, giovane ingegnere americano, si conoscono, si trovano e si sposano, già pronti a dare alla luce il loro primo figlio, un bambino speciale, secondo lei, venuto al mondo con lo scopo di preservare la sua purezza, senza cadere in balìa delle tradizionali abitudini nutritive e del malato ambiente urbano.
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Puro. Liscio. Salvo. Pallido.
Dramma. Follia. Abbandono. Morte.
Gli spilli del cinema di Saverio Costanzo tornano a trafiggere, dopo il successo de " La solitudine dei numeri primi" (2010, Italia), una nuova pellicola, destinata ad imporsi nella storia del cinema come il manifesto di un incombente culto all'ecologia e al rispetto dell'ambiente, suggellato da un'atmosfera mistica, a tratti inverosimile, che lo allontana da una qualsivoglia tentativo di raccontare le note vibranti della più moderna realtà.
Attingendo ad un complesso libro su un conflitto familiare, " Il bambino indaco " di Marco Frenzoso, Costanzo affronta la storia di una coppia, nata per caso su un serale sfondo newyorkese: Mina, italiana, e Jude, giovane ingegnere americano, si conoscono, si trovano e si sposano, già pronti a dare alla luce il loro primo figlio, un bambino speciale, secondo lei, venuto al mondo con lo scopo di preservare la sua purezza, senza cadere in balìa delle tradizionali abitudini nutritive e del malato ambiente urbano.
Abbracciando questo principio, che in tutto sembra esser folle e deleterio, Mina sceglie di crescerlo con pratiche ed alimenti assolutamente estranei alla norma, quali una dieta integralmente vegana ed un contatto quanto più possibile limitato con l'esterno, e finisce per abbandonare sé stessa ad un vortice di angoscia ed ossessione che, ineluttabilmente, destabilizza il rapporto familiare.
Il bambino, infatti, non riesce a mostrare alcun segno di una crescita regolare: comprendendo che in tal modo Mina avrebbe rischiato di mettere a repentaglio la salute del figlio, Jude si oppone alle sue scelte, sostenuto da una presente ed apparentemente inaffidabile madre, e, senza metterne al corrente la moglie, lo fa visitare da un noto medico del luogo, che dimostra e marca la gravità della situazione.
Mina, a questo punto, cede alle richieste del coniuge, ma solo apparentemente, e il "semplice" conflitto ideologico degenera in un'infuocata e sempre più acuta ed irrisolta battaglia tra bene e male, dove una disperata tensione verso la salvezza e una follia senza limiti si schierano, attente.
L'incubo di un'ossessione, che mangia vivi gli uomini: Costanzo pone al centro della sua riflessione la deriva distruttiva del desiderio più primitivo e spontaneo, strutturando il film come un lento logoramento della ragione, fino all'avvento della pura soggettività, impulsiva e terrorizzata dinanzi alla consapevolezza di essere disarmati. In questo senso, la tormentosa spirale di perdizione di Alba Rohrwacher rappresenta un tenue, quasi impercettibile, raggio di luce nell'oscurità di un mondo votato al progresso, alla frenesia, alla negligenza, che balla su un ritmato motivetto di patologie, respirando nient'altro che tossine; la sua convinzione viene, però, esasperata, fino a volerla elevare ad emblema di un disperato ritorno alla natura che uccide e non insegna, di un amore totalizzante per un figlio che va salvato dalla sua quotidianità.
Adam Driver, d'altro canto, è la voce della ragione, l'occhio ben spalancato sulla rovina, pronto, certo, a fare qualsiasi cosa pur di non cedere alla frantumazione familiare, ma in grado anche di tentare il tutto per tutto, in funzione della sopravvivenza del figlio neonato.
Calzanti ed originali sono gli espedienti registici impiegati: la vicenda viene raccontata tramite grandangoli, angosciosi fish-eye e prospettive distorte, con i quali Costanzo riesce, in maniera molto efficace, a far trasparire l'animo del film e a renderlo più pressante che mai in una complessa e soffocante atmosfera ai limiti dell'horror. L'ambientazione, una casa scarsamente accessibile, circondata da reti ed improvvisate recinzioni, supporta il tentativo di costruire una realtà isolata, di estrema pulizia e purezza, in contrasto con l'ambiente caotico ed inquinato della città. La scelta dei vestiti, del trucco e della musica è ridotta al minimo delle potenzialità, per lasciare spazio, invece, ad una larga ispezione psicologica dei personaggi.
Nonostante una carente e fragile sceneggiatura, che fa del racconto di questo tormento un'indagine eccessivamente superficiale delle relativistiche disposizioni mentali dell'essere umano (il personaggio della madre di Jude, scialbo e troppo poco ambiguo per risultare efficace, che sarebbe potuto essere un interessante ‘terzo incomodo’, sembra, piuttosto, un grave errore di scrittura e caratterizzazione), Saverio Costanzo riesce, in questo modo a delineare un percorso verso la vita e la morte, secondo i punti di vista, dando vita ad una singolare, originale ed utopica ricerca della purezza, nella più profonda e labirintica paranoia di "cuori affamati".
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greatsteven
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lunedì 13 febbraio 2017
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in bilico e disaccordo per far crescere un bimbo.
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HUNGRY HEARTS (IT, 2015) diretto da SAVERIO COSTANZO. Interpretato da ADAM DRIVER, ALBA ROHRWACHER, ROBERTA MAXWELL, AL ROFFE, GEISHA OTERO, JASON SELVIG
Jude, ingegnere americano, e Mina, ambasciatrice italiana, si incontrano casualmente nel bagno di un ristorante cinese mentre vi rimangono bloccati (l’unica scena un po’ divertente, ma dalla comicità di dubbio ed opinabile gusto).
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HUNGRY HEARTS (IT, 2015) diretto da SAVERIO COSTANZO. Interpretato da ADAM DRIVER, ALBA ROHRWACHER, ROBERTA MAXWELL, AL ROFFE, GEISHA OTERO, JASON SELVIG
Jude, ingegnere americano, e Mina, ambasciatrice italiana, si incontrano casualmente nel bagno di un ristorante cinese mentre vi rimangono bloccati (l’unica scena un po’ divertente, ma dalla comicità di dubbio ed opinabile gusto). Si innamorano e decidono di sposarsi. Mina è orfana della madre e ha un padre anziano con cui non intrattiene più rapporti da tempo. Jude ha una madre iperprotettiva che vuole però tenere fuori dalla sua vita sentimentale. Mina rimane incinta, e fin dai primi tempi della gestazione capisce che il suo sarà un bambino speciale, credendo perfino ad una chiromante che le preannuncia che partorirà un "bimbo indaco". I problemi cominciano dopo il parto, che per altro avviene senza che Mina ne sia consapevole, in quanto i chirurghi effettuano un cesareo per il ritardato arrivo delle contrazioni: il neonato non ha uno sviluppo regolare, poiché la madre, oltre che proteggerlo dall’inquinamento esterno di New York (la metropoli in cui la vicenda è ambientata), lo nutre esclusivamente con cibi vegetali, escludendo a priori la carne e tutti i derivati animali. Jude la asseconda finché un medico, dal quale porta il figlioletto, non lo avverte che il pargolo è in pericolo, dal momento che ben 93 bambini su 100 della sua età crescono con maggiore velocità di lui. Costretto ad alimentare il bambino di nascosto con tacchino liofilizzato e prosciutto, Jude viene infine scoperto dalla moglie, e allora la madre di lui lo convince a buttare la faccenda su vie legali. Contattata una detective privata, Jude sottrae con la forza il figlio alla consorte, ma una denuncia per percosse nei confronti del marito, dopo la permanenza forzata del bambino in casa della nonna, lo restituisce a Mina. A questo punto interviene la suocera, che elimina fisicamente la nuora. La scena finale mostra Jude che passeggia sulla spiaggia dell’oceano col figlio già un po’ cresciuto, mentre sua madre testimonia dietro le sbarre il motivo del suo assassinio. I riferimenti effettuati da una parte della critica verso le ambizioni e la potenza da thriller hitchcockiano o polanskiano sono esagerate: è un noir cupo, asciutto e sobrio (tratto dal romanzo Il bambino indaco di Marco Fronzoso) che tratta un tema di scottante attualità, ma senza uno sguardo sufficientemente lucido da giustificarne la sua eccessiva lentezza narrativa, le sue frequenti incursioni nel moralismo e nella leziosità e un certo sottofondo di moralismo che ripristina in parte la figura di Jude e fa di Mina un’insolita, ma anche inadeguata antagonista (ovviamente giocoforza e contro la sua stessa volontà), una donna che pensa di agire per il bene del figlio ma che in realtà, come anche il marito sottolinea, non senza un tocco di amaro sarcasmo, ne decreta la lenta e inesorabile morte per inedia. Il soggetto della fame infantile non è mai stato analizzato molto a fondo nel cinema, compreso quello italiano, ma la pellicola di Costanzo (che già aveva diretto la Rohrwacher nel poco convincente adattamento cinematografico de La solitudine dei numeri primi del Premio Strega Paolo Giordano, uscito nel 2010) lo banalizza abbondantemente volendo insistere troppo sulla vena dark e su una cupezza che ricerca sé stessa fino allo sfinimento, ma senza raggiungere punte di tensione drammatica che soddisfino. Al suo attivo ha invece due interpretazioni principali sotto le righe, ma non sottotono: entrambi premiati con la Coppa Volpi a Venezia 2014, Driver e la Rohrwacher imbastiscono un buon lavoro di squadra che valorizza ampiamente la rabbia di lui e la testardaggine coesa e inarrestabile di lei, volti tutti e due al mantenimento e all’allevamento del frugoletto, ma con modi d’agire, pensieri e intenzioni decisamente agli antipodi gli uni rispetto agli altri, come dimostrato dai comportamenti che adottano per un compito positivo, ma che diventa pericoloso e destabilizzante nell’istante stesso in cui una giovanissima vita umana corre rischi inenarrabili. Un po’ in disparte il personaggio della madre di Jude nella prima metà del film (una R. Maxwell che fa della coerenza un elemento fortificante in merito alla sua recitazione tranquilla e ardente), poi più opportunamente rivalutata nel secondo tempo. Per il resto, l’opera è popolata di piccoli personaggi che compaiono con estrema brevità, impiegando i pochissimi minuti in scena per supportare la coppia protagonista, il cui movente (la crescita di un bimbo fuori dal comune) diviene anche l’alibi dei loro atti, generosi e cortesi in apparenza, ma assai più deleteri, autodistruttivi ed egoistici se si scende più in profondità. Insomma, un tema abbastanza originale, ma non compiuto ed eseguito con la creatività e la necessaria tetraggine che meritava, ma può vantare come marcia in più rispetto ad altri thriller drammatici usciti di recente una vena pessimistica neanche tanto velata, che definisce con forza una morale disperata, e anche un ambiente circostante che si muove come fosse una persona fisica, stabilendo una sorta di habitat pensante che condiziona le scelte di due giovani non ancora esperti della vita, che si affacciano ai problemi dell’esistenza adulta acquisendo solo con l’esperienza gli strumenti che occorrono per superare le avversità.
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peer gynt
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domenica 31 agosto 2014
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follia di una madre alla ricerca della purezza
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Quello che manca decisamente al film di Saverio Costanzo è l'ambiguità, quanto mai necessaria in una vicenda come questa per non dare tutto per scontato e per deciso già a priori. Invece il personaggio della madre, interpretato da Alba Rohrwacher (ancora una volta alle prese con un personaggio allucinato), non ha alcuna sfumatura, non ha tridimensionalità, non sembra dotato di quella normalità plausibile che avrebbe reso ancor più agghiacciante la vicenda. La madre, così come rappresentata nel film, è una pazza, donna fragile e facilmente suggestionabile che, senza alcuna gradualità, mostra subito dopo la prima scena (da commedia leggera, con i due protagonisti incastrati nella toilette di un ristorante) una mente già completamente malata e annebbiata.
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Quello che manca decisamente al film di Saverio Costanzo è l'ambiguità, quanto mai necessaria in una vicenda come questa per non dare tutto per scontato e per deciso già a priori. Invece il personaggio della madre, interpretato da Alba Rohrwacher (ancora una volta alle prese con un personaggio allucinato), non ha alcuna sfumatura, non ha tridimensionalità, non sembra dotato di quella normalità plausibile che avrebbe reso ancor più agghiacciante la vicenda. La madre, così come rappresentata nel film, è una pazza, donna fragile e facilmente suggestionabile che, senza alcuna gradualità, mostra subito dopo la prima scena (da commedia leggera, con i due protagonisti incastrati nella toilette di un ristorante) una mente già completamente malata e annebbiata. Così come, in questo manicheismo di maniera, il padre è l'uomo normale, buon marito e padre affettuoso, alle prese con un problema inaspettato: la follia totale della moglie.
Per farne un thriller problematico e convincente, si sarebbe dovuto lasciare allo spettatore una buona dose di dubbio sull'interesse reale e la buona fede di entrambi i personaggi, non interpretarli manicheisticamente come il Male e la sua radicale Soluzione.
E stilisticamente contribuisce a calcare il tasto della follia patologica la scelta, che infastidisce, di abusare con le focali anamorfiche, per dare quasi in soggettiva lo stato d'animo di una madre confusa in odore di figlicidio.
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[+] ma che film hai visto
(di gustavo76)
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[+] trovo abbastanza condivisibili.....
(di francesco2)
[ - ] trovo abbastanza condivisibili.....
[+] tema complesso trattato semplicisticamente
(di carlottacorday)
[ - ] tema complesso trattato semplicisticamente
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