angelo umana
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domenica 5 maggio 2013
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ilusiòn de vivir
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Si è parlato molto di questo film, esordio di Valeria Golino alla regia, come di un film sull’eutanasia. Per un personalissimo parere, “protagonista” del film non è l’argomento eutanasia: essa è mostrata come una pratica possibile anche in Italia, la medicina c’è, c’è pure la preparazione e la scelta della musica che accompagni il trapasso, non mancano i risvolti affettivi d’obbligo nelle persone che hanno deciso di non soffrire più e nei loro familiari, le lacrime, tutto naturalmente rappresentato, una pratica semplice in fondo. Densa di pathos la morte di un giovane ragazzo accompagnato dall’abbraccio e dal pianto di sua madre.
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Si è parlato molto di questo film, esordio di Valeria Golino alla regia, come di un film sull’eutanasia. Per un personalissimo parere, “protagonista” del film non è l’argomento eutanasia: essa è mostrata come una pratica possibile anche in Italia, la medicina c’è, c’è pure la preparazione e la scelta della musica che accompagni il trapasso, non mancano i risvolti affettivi d’obbligo nelle persone che hanno deciso di non soffrire più e nei loro familiari, le lacrime, tutto naturalmente rappresentato, una pratica semplice in fondo. Densa di pathos la morte di un giovane ragazzo accompagnato dall’abbraccio e dal pianto di sua madre.
Protagonista attorno a cui gira il film è Irene (Jasmine Trinca), detta Miele quando svolge la funzione di “undertaker”, accompagnatrice all’altro mondo di persone che così hanno deciso: ha la tragedia disegnata in un volto duro, quasi incomunicabile, l’aria tremendamente seria sia che parli con suo padre o che consumi amplessi col suo compagno, persone che non sanno nulla dell’attività che svolge, serissima tra Roma, Padova, Los Angeles e Messico, dove procura il Lamputal, veleno per uccidere animali in stato terminale. Non smette quell’espressione nemmeno quando si sfianca in lunghe forzose nuotate con la muta, come a voler scrollarsi di dosso la pesantezza di quel mestiere. E’ protagonista la sua solitudine, il dover celare il suo “lavoro di merda”, così glielo definisce la sorella di un morituro. Per strada chiede a una turista giapponese di farsi una foto con lei: è tremendamente sola Miele-Irene. Non si può dire che abbia il tempo per stabilire con chi muore un rapporto, che del resto è innecessario (i “verbi al futuro” sono banditi in questi casi).
Irene è “chimica e solitaria”: così la apostrofa l’ing. Grimaldi (Carlo Cecchi), un anziano di grande cultura e interessante, che sembra aver visto tutto il visibile nel mondo e che ha deciso di andarsene, non per malattia terminale ma per il “male di vivere”, la mancanza di stimoli e di progetti, l’assenza di illusioni. Apparentemente cinico, nel film è pure pronunciata la parola “stoico”, ma forse non del tutto propriamente. E’ con lui che Irene si apre un po’, con lui va via la durezza del suo viso, l’unica persona con cui comincia a comunicare per davvero e può perfino sfogarsi, piangere come a togliersi una scorza di dosso (“nessuno vuole morire veramente”, “con i malati è più facile”, gli confessa tra molte altre cose). Mentre con le altre persone la morte le sembrava una pratica da sbrigare, con Grimaldi le appare innaturale, desidera che viva, vuole riprendersi il veleno che gli ha consegnato. Tra i morituri Irene-Miele ha trovato un rapporto umano autentico.
Boris Sollazzo a Radio24 ha definito il film come “Inizio respingente, finale sdolcinato”. E’ certamente un buon film, accostare l’eutanasia alla voglia di vivere e far progetti (“tener la ilusiòn” direbbero gli spagnoli) e alla solitudine di Irene, la sua ricerca di sé. E’ costellato però di “pretesti” riempitivi, le immagini suggestive e la creazione continua dell’attesa che qualcosa avvenga, l’aria di “gravità” di quasi tutti i momenti, che del resto ricordano la gravità delle espressioni della Golino nei suoi film da attrice, peraltro ottimi. In certi casi il film è indugiante, come un aereo che possa andare in stallo e collassare al suolo. Questo commento contiene uno “spoiler”: Grimaldi non farà a Irene il torto di avvelenarsi con il Lamputal.
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lincefrancy72
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domenica 12 maggio 2013
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miele, un film toccante
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Miele, opera prima di Valeria Golino, parla di una ragazza di trent’anni, Irene (Jasmine Trinca) che aiuta le persone, affette da malattie incurabili e dolorose a morire. Miele è il suo nome in codice. Lei fornisce ai suoi clienti un potente barbiturico di uso veterinario che lei stessa si procura in Messico (proibito in Italia), per aiutarli a porre fine alle loro sofferenze. Per Miele/Irene, questa è una missione, è un atto di pietà. Svolge il suo lavoro con freddezza estrema ed inquietante, ma solo apparente. Infatti, il peso delle morti, i volti delle persone che incontra ogni giorno trasformano la sua vita in una serie di macabri rituali. Così, per lei, le uniche valvole di sfogo diventano lo sport, il sesso occasionale e la musica, rimedi che le permettono di alleviare la sua ansia interiore ancora una volta solo apparentemente.
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Miele, opera prima di Valeria Golino, parla di una ragazza di trent’anni, Irene (Jasmine Trinca) che aiuta le persone, affette da malattie incurabili e dolorose a morire. Miele è il suo nome in codice. Lei fornisce ai suoi clienti un potente barbiturico di uso veterinario che lei stessa si procura in Messico (proibito in Italia), per aiutarli a porre fine alle loro sofferenze. Per Miele/Irene, questa è una missione, è un atto di pietà. Svolge il suo lavoro con freddezza estrema ed inquietante, ma solo apparente. Infatti, il peso delle morti, i volti delle persone che incontra ogni giorno trasformano la sua vita in una serie di macabri rituali. Così, per lei, le uniche valvole di sfogo diventano lo sport, il sesso occasionale e la musica, rimedi che le permettono di alleviare la sua ansia interiore ancora una volta solo apparentemente. E… la sua vita va avanti finché un giorno non viene messa in contatto con l’ing. Carlo Grimaldi. Un cliente, però, diverso dagli altri, lui non ha nessuna malattia incurabile, è semplicemente stanco di vivere. Miele, però, come lei stessa afferma: “non sono un sicario” non accetta di aiutarlo a togliersi la vita perché non è nella sua etica. Così le sue convinzioni iniziano a vacillare e tra i due inizia un dialogo, un rapporto che definirei ambiguo.
Irene /Miele mente a tutti, a se stessa, al padre, agli amici, anche all’uomo con cui ha un rapporto affettivo clandestino. (Tutti la credono una studentessa di medicina a Padova) , solo con l’ing. Grimaldi riesce ad essere se stessa, tirando fuori la propria personalità insicura e fragile.
Valeria Golino, per il suo lungometraggio, ha scelto un tema delicato, scivoloso, controverso come quello del suicidio assistito. La Golino è riuscita a costruire un film forte, coraggioso e non scontato; con una regia asciutta, priva di ogni abbellimento estetico, un film di parola, un film che segue il disagio interiore della protagonista in modo distaccato, un film oggettivo privo di qualsiasi giudizio o presa di posizione. Un film che ha posto la sua attenzione sulla musica e la descrizione dei personaggi.
L’interpretazione di Jasmine Trinca la definirei ottima e quella di Carlo Cecchi è magistrale.
Miele piace perché non è scontato, non da giudizi, ma crea nello spettatore, dubbi, incertezze e domande. Un film delicato e toccante.
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flyanto
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lunedì 6 maggio 2013
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un dolce nome per una dolce morte
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Questo film narra la storia di una giovane donna il cui nome in codice è "Miele" (ma quello reale è Irene) che svolge l'attività di aiutare dei malati terminali, assistendoli, nel percorso verso la morte da loro richiesta espressamente e da lei dispensata grazie all'aiuto di alcuni farmaci letali. Quando alla giovane donna si rivolge un anziano ingegnere con lo stesso proposito degli altri malati di porre fine alla propria esistenza sofferente, ella comincia pian piano ad entrare in crisi nei confronti della sua attività di dispensatrice di morte ed a poco a poco a giungere alla decisione di interromperla definitivamente. Questa pellicola costituisce l'opera prima dell'attrice Valeria Golino come regista (e verrà presentato a Cannes nella sezione "Un certain regard") e risulta altamente riuscita nella sua realizzazione in quanto, trattando il tema "scomodo" e delicato nello stesso tempo dell'eutanasia, è perfettamente equilibrata sotto tutti i punti di vista: dialoghi, toni, recitazione e vicenda in sè.
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Questo film narra la storia di una giovane donna il cui nome in codice è "Miele" (ma quello reale è Irene) che svolge l'attività di aiutare dei malati terminali, assistendoli, nel percorso verso la morte da loro richiesta espressamente e da lei dispensata grazie all'aiuto di alcuni farmaci letali. Quando alla giovane donna si rivolge un anziano ingegnere con lo stesso proposito degli altri malati di porre fine alla propria esistenza sofferente, ella comincia pian piano ad entrare in crisi nei confronti della sua attività di dispensatrice di morte ed a poco a poco a giungere alla decisione di interromperla definitivamente. Questa pellicola costituisce l'opera prima dell'attrice Valeria Golino come regista (e verrà presentato a Cannes nella sezione "Un certain regard") e risulta altamente riuscita nella sua realizzazione in quanto, trattando il tema "scomodo" e delicato nello stesso tempo dell'eutanasia, è perfettamente equilibrata sotto tutti i punti di vista: dialoghi, toni, recitazione e vicenda in sè. In essa la Golino presenta la propria posizione favorevole nei confronti dell'eutanasia, ma senza toni accesi o polemici ed, anzi, induce lo spettatore stesso a riflettere su questa tematica tanto attuale e purtroppo tanto dibattuta. Estremamente riuscito e credibile è il personaggio di Irene interpretato dalla bravissima Jasmine Trinca che grazie proprio alla sua interpretazione intensa aggiunge consistentemente valore al film. La sua qualità è data anche dalle riprese di certe scene o particolari di scene girate perfettamente girate dalla Golino. Insomma, polemiche a parte che sicuramente solleverà, questo film è da definirsi un vero gioiello, uno di quelli che infonde tanta malinconia e nello stesso tempo anche una piccola lieve speranza. Da consigliare vivamente.
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renato volpone
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giovedì 9 maggio 2013
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il coraggio di morire
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Quanto è brava Valeria Golino come regista: con un’ottima sceneggiatura supera a pieni voti la prova dell’opera prima e fa impallidire “La bella addormentata” di Bellocchio. Con la bravissima Jasmine Trinca, la novella regista ci regala una storia piena di tensione e di emozione, dove tutto è misurato al punto giusto.
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Quanto è brava Valeria Golino come regista: con un’ottima sceneggiatura supera a pieni voti la prova dell’opera prima e fa impallidire “La bella addormentata” di Bellocchio. Con la bravissima Jasmine Trinca, la novella regista ci regala una storia piena di tensione e di emozione, dove tutto è misurato al punto giusto. La riflessione cade non solo sulla possibilità di eutanasia per i malati terminali e sul cosiddetto testamento biologico, ma sulla stessa natura dell’essere, dell’esistere. Miele, nome in codice della bella Irene, rappresenta tutto il bene e tutto il male di vivere, la forza e il vuoto dell’esistenza giovanile che si capovolge nello specchio sulla figura del vecchio ingegnere saggio e pieno di esperienza, ma annoiato della vita (il bravissimo Carlo Cecchi). Un vuoto esistenziale dovuto alle difficoltà che il vivere dissemina sul percorso di ciascuno e che ciascuno deve raccogliere ed elaborare, fino a trovare, quando è necessario, il coraggio di un gesto insano, ma forse indispensabile per la “dignità”. Con malinconia, umorismo anche, dolcezza, si parla di amore, quello carnale, quello sentimentale, e anche di quello con la “A” maiuscola, quello che ti lega così forte che rende il “recidere” un dolore incontenibile. Mai pietoso, ma profondo, questo film è un documento che fa riflettere e non si fa dimenticare. Assolutamente da non perdere.
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