carloalberto
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venerdì 6 novembre 2020
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una profezia avveratasi a metà
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Film documentario incentrato sulla Profezia di Pasolini, una poesia in forma di rosa del lontano 1964, avveratasi a metà. L’invasione dei popoli del sud, con lo sbarco di milioni di Alì con gli occhi azzurri nel vecchio continente, è avvenuto, ma non c’è stata nessuna rivoluzione degli umili, degli offesi, dei diseredati, sotto le bandiere di Trotsky non hanno marciato sull’Europa del Nord e da Londra trasvolato a New York per portare la liberazione dal sistema capitalistico, insegnando all’operaio che non basta combattere per un salario più alto, bensì sono qui tra noi, al Pigneto come nelle centinaia di periferie suburbane delle grandi città italiane ed europee, hanno preso il posto degli immigrati nostrani di ieri, nell’arte dell’arrangiarsi sono diventati maestri, affiancando malavita e lavoratori in nero, sostituendosi ai manovali abruzzesi o campani o calabresi del nostro sud, sfruttati nel duro lavoro nei campi o nelle piazze dello spaccio, abitando nuove bidonville, baraccopoli con fogne a cielo aperto, vivendo di elemosina e caritas, portando l’Africa nel cuore dell’Occidente, aspirando alla cittadinanza nel paese di bengodi per poter essere esattamente come noi.
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Film documentario incentrato sulla Profezia di Pasolini, una poesia in forma di rosa del lontano 1964, avveratasi a metà. L’invasione dei popoli del sud, con lo sbarco di milioni di Alì con gli occhi azzurri nel vecchio continente, è avvenuto, ma non c’è stata nessuna rivoluzione degli umili, degli offesi, dei diseredati, sotto le bandiere di Trotsky non hanno marciato sull’Europa del Nord e da Londra trasvolato a New York per portare la liberazione dal sistema capitalistico, insegnando all’operaio che non basta combattere per un salario più alto, bensì sono qui tra noi, al Pigneto come nelle centinaia di periferie suburbane delle grandi città italiane ed europee, hanno preso il posto degli immigrati nostrani di ieri, nell’arte dell’arrangiarsi sono diventati maestri, affiancando malavita e lavoratori in nero, sostituendosi ai manovali abruzzesi o campani o calabresi del nostro sud, sfruttati nel duro lavoro nei campi o nelle piazze dello spaccio, abitando nuove bidonville, baraccopoli con fogne a cielo aperto, vivendo di elemosina e caritas, portando l’Africa nel cuore dell’Occidente, aspirando alla cittadinanza nel paese di bengodi per poter essere esattamente come noi.
La speranza del poeta rimane disillusa ma non per questo è meno vitale nella sua disperata forza evocatrice di una futura rivalsa delle ragioni dei vinti. Su questa speranza per ora vince l’altra profezia del poeta, che, in veste di lucido intellettuale, denunciò l’omologazione nel linguaggio e nei costumi in atto all’epoca, con la scomparsa delle differenze tra le classi sociali, rivelatasi come la vera peste del ventunesimo secolo, che coinvolge ogni essere umano sul pianeta, simile non soltanto nell’abbigliamento, ma finanche nei sogni. Guadagnare abbastanza soldi per diventare il cittadino medio consumista, edonista, l’homo ludens odierno abitante del grande luna park allestito dal capitale a livello globale, questo il desiderio di ogni uomo oggi sulla terra senza distinzione di razza, di religione, di sesso. La perfetta omologazione del genere umano.
Nella suggestione delle immagini di Accattone si conclude il documentario e Citti diventa il simbolo di un’umanità destinata alla sconfitta che desiderando il riscatto ricade nell’errore di sempre, l’abitudine ad essere meschino, trovandovi la morte.
Come Wenders in Tokyo GA nell’85 va alla ricerca dei luoghi della memoria del cinema di Ozu, Borgna,fa un viaggio impossibile per trovare i posti dove Pasolini girò i suoi capolavori, Accattone, il Vangelo secondo Matteo, Edipo re. Ma delle borgate non rimane più nulla di poetico, se non c’è un poeta a guardare.
Completano l’opera immagini tratte dalla Rabbia e da Appunti per un’Orestiade africana ed un’intervista a Sartre in difesa di Pasolini attaccato in Francia da intellettuali di sinistra per il suo Vangelo, estrema sintesi per immagini ed emblema delle contraddizioni del poeta, nostalgico cantore della civiltà contadina e preindustriale, come lo fu Ozu all’altro capo del mondo, e marxista rivoluzionario.
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benedetta spampinato
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domenica 3 novembre 2013
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il cristo di pasolini
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Pasolini scrittore, poeta, regista, giornalista. Pasolini uomo, Pasolini come l’obbiettivo di una macchina fotografica, capsula di eternità di strade, volti, voci antiche, mitiche. A trentotto anni dalla sua morte, il cinema italiano ci regala questa splendida carrellata di video inediti, introvabili in Italia, immagini di un Pier Paolo familiare, sempre vigile con il suo sguardo severo e umanamente razionale. La pratica della ragione è il mezzo per carpire la verità ma, prima di fare un passo avanti, Pasolini decide di piantare i piedi, in primo luogo in quei luoghi arcaici che solo la tragedia greca è riuscita ad imprimere nella memoria collettiva.
“Profezia- L’Africa di Pasolini” è un documentario di settantasette minuti compressi, veloci, penetranti.
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Pasolini scrittore, poeta, regista, giornalista. Pasolini uomo, Pasolini come l’obbiettivo di una macchina fotografica, capsula di eternità di strade, volti, voci antiche, mitiche. A trentotto anni dalla sua morte, il cinema italiano ci regala questa splendida carrellata di video inediti, introvabili in Italia, immagini di un Pier Paolo familiare, sempre vigile con il suo sguardo severo e umanamente razionale. La pratica della ragione è il mezzo per carpire la verità ma, prima di fare un passo avanti, Pasolini decide di piantare i piedi, in primo luogo in quei luoghi arcaici che solo la tragedia greca è riuscita ad imprimere nella memoria collettiva.
“Profezia- L’Africa di Pasolini” è un documentario di settantasette minuti compressi, veloci, penetranti. Sequenze inevitabili di un cinema di nicchia, girate da Hamid Basguit, presentato nella sezione “classici”della 70esima Mostra del Cinema di Venezia. La pellicola ripercorre dei momenti storicamente essenziali, realizza dei parallelismi tra l’Africa di ieri e di oggi e le condizioni delle famose borgate di cui il maestro del contemporaneo sospetto ci ha continuamente parlato.
Il progetto di Pasolini era quello di mostrarci come non esista il concetto elitario di “Africa”: la povertà è intorno a noi. Si trova tra i grandi poli industriali, nelle stazioni e, di certo, dentro di noi. Beato il mendicante, proprio come lo era Pier Paolo, bisognoso di ragioni o, meglio, di vita perché, come lui stesso diceva, “i problemi non si risolvono, si vivono”. Grazie al richiamo del mito (Edipo re, Appunti per un’Orestiade africana, Medea), della figura di Cristo (Il vangelo secondo Matteo),di quei poveracci riecheggianti i Vinti verghiani (Accattone, Mamma Roma, Uccellacci Uccellini, Che cosa sono le nuvole) e delle demistificazioni degli idoli correnti (Comizi d’amore, La Rabbia), Pasolini mostra criticamente le contraddizioni di una realtà alla rovescia, quasi surreale, tentacolare. La sua è un’Africa nostalgica, desiderosa di fuoriuscire, malinconica. È l’unica speranza, il futuro. Oreste, come gli immigrati, scappa dalle Erinni che lo seguono, immagine della maledizione imperterrita. Pasolini profeta: l’Italia che lui aveva tanto immaginato diventa realtà: un paese abitato da colori nuovi, quelli della pelle dei rifugiati, di gente che scappa alla ricerca di un porto sicuro. Pasolini attuale, attualissimo. La voce narrante di Dacia Maraini, il doppiaggio di Herlitzka, i racconti di Bertolucci (figura chiave del film anche il fratello a cui è dedicato), le interviste a Sartre (a cui lo scrittore dedicò la poesia che dà il titolo al film) danno un tocco di raffinatezza a quel Pasolini ucciso violentemente, quasi profeticamente. E noi lo vogliamo ricordare come un giovane ragazzo che s’incammina verso le strade più tortuose, sfollate, disperate. Quelle strade che portano al discernimento, alla consapevolezza di una Ragione, quella che lui ha immortalato con il fiore della rivoluzione.
“La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un’epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile”.
A. Moravia
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