In grazia di Dio |
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Un film di Edoardo Winspeare.
Con Celeste Casciaro, Laura Licchetta, Gustavo Caputo, Anna Boccadamo, Barbara De Matteis.
continua»
Drammatico,
durata 127 min.
- Italia 2013.
- Good Films
uscita giovedì 27 marzo 2014.
MYMONETRO
In grazia di Dio
valutazione media:
3,45
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La madra, la terra... ma l'ombra oltre luce dov'è?di Riccardo TavaniFeedback: 33555 | altri commenti e recensioni di Riccardo Tavani |
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mercoledì 16 aprile 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il modo in cui è fotografato il paesaggio sembra uno degli aspetti salienti del film. Il paesaggio, anzi, appare come il personaggio principale del racconto, che dà le sue diverse tonalità e sfumature emotive alle quattro protagoniste. Quattro donne, quattro generazioni strette dalle difficoltà economiche in una casupola in mezzo a un uliveto sul mare roccioso del Salento ma divergenti nelle esigenze più profonde. Gli uomini che girano intorno a esse sono inconsistenti, irresponsabili, combinano solo guai o se ne vanno all’estero: sono avviluppati nell’imbastardimento sociale e antropologico del presente. Il paesaggio, la terra, in senso simbolico e materiale, ha la sua personificazione nel personaggio della capostipite, della madre, che non a caso si chiama Salvatrice, ovvero la terra madre che salva. È il retroterra arcaico, dalle zolle aride, dure, le pietre calcinate, ma sicuro, perché dà direttamente i suoi frutti che garantiscono l’esistenza. Il regista sembra voler indicare questo ritorno all’origine, all’economia dello scambio e, d’altronde anche lui ha veramente messo su da tempo un’azienda agricola familiare. Non vendete la terra, gli uliveti, gli angoli, gli spicchi di questo paesaggio raro alla speculazione, ai profittatori, i quali non fanno altro che impoverirvi collettivamente per aumentare la loro ricchezza personale. Bisogna tornare anche alla fede, alla fiducia nel ciclo naturale della terra, che è fede nella sua provvidenza, ovvero nel suo provvedere alle nostre necessità vitali. Salvatrice nutre questa fede semplice, ferma, che non si lascia trascinare dagli avvenimenti, perché ferma è la terra e le sue pietre. La terra lega tutto, ovvero re-lige: si prega Dio, si recita il rosario attorno al tavolo di cucina, ci si bagna nel mare, si cosparge di letame il campo. Il film, però, lascia perplessi, perché il tutto è giocato in maniera drammaticamente troppo schematica, quasi didascalica, e le immagini, pur facendoci percepire la luce, il calore e i colori del Salento, non si caricano di significati più profondi, ovvero capaci sotto, nel sottosuolo, e non rimanere solo nel fiore di luce calda sopra le zolle. Alla fine anche quella fede di Salvatrice che conduce a esiti di redenzione mi appare davvero troppo semplicistica. Guardando questo film, si capisce meglio la lezione e l’importanza di altri registi italiani, come Paolo Sorrentino, proprio nel sapere impregnare le immagini di rimandi esistenziali drammaticamente più complessi e però anche criticamente più veri.
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