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tiamaster
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lunedì 24 settembre 2012
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il film del' anno e non solo....
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La sensazione che provi quando hai finito di vedere pietà e quel senso di entusiasmo,di gioia che si prova solo dopo aver visto un capolavoro. E kim-ki-Duk è un esperto di capolavori.Dopo averci deliziato con la poesia, la drammacità di film totali come "L'isola", "Ferro 3","Primavera,estate,autunno inverno e.......ancora primavera" e dopo un' incidente che avuto che gli ha provocato depressione (documentatevi non starò qui a raccontarvi) Kim-Ki-Duk torna sul grande schermo come meglio non si potrebbe.Un film immensamente drammatico,teso,potente,crudo,violento,immenso che racconta con tristezza Vita, Morte, Denaro e non solo..
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La sensazione che provi quando hai finito di vedere pietà e quel senso di entusiasmo,di gioia che si prova solo dopo aver visto un capolavoro. E kim-ki-Duk è un esperto di capolavori.Dopo averci deliziato con la poesia, la drammacità di film totali come "L'isola", "Ferro 3","Primavera,estate,autunno inverno e.......ancora primavera" e dopo un' incidente che avuto che gli ha provocato depressione (documentatevi non starò qui a raccontarvi) Kim-Ki-Duk torna sul grande schermo come meglio non si potrebbe.Un film immensamente drammatico,teso,potente,crudo,violento,immenso che racconta con tristezza Vita, Morte, Denaro e non solo....perchè Pietà è un film così grande che i temi che tocca sono infiniti, e li tocca con drammaticità, ma mai perdendo il contatto con la realtà o finendo per essere TROPPO eccesivo; perchè il film è eccessivo,e come se lo è,ma probabilmente,proprio questo eccesso,è uno dei suoi più grandi pregi.Un film monumentale,immenso,che rimarrà.Non conto di rivederlo agli oscar,perchè ultimamente l'accademy premia solo il "politically correct"....Indescrivibile.....
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gioinga
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domenica 23 settembre 2012
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sconcertante
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Un film pessimo, violenza gratuita, ossessioni malate del regista che gioca con le angosce della gente. Messaggio scontato: chi fa del male, è perché nella vita ha sofferto dei traumi. Con amarezza mi chiedo, dove siano finiti i critici, pecìrché un film del genere non può essere premiato con il premio più importante a Venezia.
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writer58
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sabato 22 settembre 2012
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la vendetta di giocasta
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Di Kim ki-duk avevo visto, anni fa, Ferro3: la casa vuota, un'opera che sprigionava una levità quasi soprannaturale, la storia di un giovane uomo che si muove con tanta discrezione da diventare praticamente invisibile. "Pieta" invece, è un'opera a tinte forti, quasi espressionista,che narra una vicenda di crudeltà e vendetta. Kang-do, il protagonista del film, è un sicario che opera per conto di una banda di usurai. Se i debitori non sono in grado di restituire il prestito, a tassi di interesse stratoferici (anche il 1000% in tre mesi), lui li mutila per riscuotere il premio dell'assicurazione. Kang do si muove con sicurezza e ferocia nei ghetti miserabili dove opera, sostanzialmente indifferente a tutto, tranne che al suo compito di esattore-macellaio.
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Di Kim ki-duk avevo visto, anni fa, Ferro3: la casa vuota, un'opera che sprigionava una levità quasi soprannaturale, la storia di un giovane uomo che si muove con tanta discrezione da diventare praticamente invisibile. "Pieta" invece, è un'opera a tinte forti, quasi espressionista,che narra una vicenda di crudeltà e vendetta. Kang-do, il protagonista del film, è un sicario che opera per conto di una banda di usurai. Se i debitori non sono in grado di restituire il prestito, a tassi di interesse stratoferici (anche il 1000% in tre mesi), lui li mutila per riscuotere il premio dell'assicurazione. Kang do si muove con sicurezza e ferocia nei ghetti miserabili dove opera, sostanzialmente indifferente a tutto, tranne che al suo compito di esattore-macellaio. Quando appare una donna che si presenta come sua madre, la madre che l'ha abbandonato fin dalla nascita, lui reagisce con furore e disprezzo, la violenta e cerca di espellerla dal suo orizzonte di vita. La donna, tuttavia, rimane ostinatamente al suo fianco, gli chiede perdono, anche dopo aver subito violenze atroci, poco a poco riesce a legarlo a sé e a diventare affettivamente necessaria. La scorza impenetrabile del protagonista si sfalda, non riesce più a storpiare le proprie vittime e, soprattutto, diventa emotivamente vulnerabile. A quel punto, la "madre" potrà consumare una vendetta che assomiglia nei suoi esiti a un mito di Edipo rovesciato.
Il film è molto efficace nel narrare una società in cui il valore-guida, il totem è rappresentato dal denaro ("la fine e l'inizio di tutte le cose", dice la madre in risposta a una domanda di Kang-do). Lo è meno per quanto riguarda la parabola dei personaggi che appaiono troppo dicotomici e manichei. La transizione del protagonista dalla ferocia alla devozione è narrata in modo un po' sbrigativo e senza chiaroscuri.
Ciononostante, "Pieta" appare come un lavoro interessante e maturo e il Leone d'oro a Venezia non risulta immeritato.
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lucio
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sabato 22 settembre 2012
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dubbi e mestizia
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La Mostra del Cinema di Venezia, edizione 2012, ha conferito il premio più importante ad un film assai discutibile. "Pietà" è gratuitamente violento. Nel senso che non promuove la catarsi del genere umano una bidonville, brulicante di poveracci, che pagano l'usuraio di turno per tirare a campare sognando l'eden che mai verrà. Il giovanotto esattore che massacra chi non paga non può redimersi: non esiste proprio. L'incontro con la sua presunta madre è terrificante e stravolge, dalle fondamenta, la convivenza civile nel mondo.In tale contesto il figlio che infierisce selvaggiamente sul corpo che gli ha dato la vita non ha nessun retroterra culturale a cui aggrapparsi per dare a certe immagini una parvenza psicosociologica.
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La Mostra del Cinema di Venezia, edizione 2012, ha conferito il premio più importante ad un film assai discutibile. "Pietà" è gratuitamente violento. Nel senso che non promuove la catarsi del genere umano una bidonville, brulicante di poveracci, che pagano l'usuraio di turno per tirare a campare sognando l'eden che mai verrà. Il giovanotto esattore che massacra chi non paga non può redimersi: non esiste proprio. L'incontro con la sua presunta madre è terrificante e stravolge, dalle fondamenta, la convivenza civile nel mondo.In tale contesto il figlio che infierisce selvaggiamente sul corpo che gli ha dato la vita non ha nessun retroterra culturale a cui aggrapparsi per dare a certe immagini una parvenza psicosociologica. Conosciamo tutti la "banalità del male" che certi uomini fanno esplodere contro persone inermi.Mi piacerebbe chiedere al regista la morale della sua diciottesima opera.
Belle immagini ed un montaggio perfetto, molto spesso, rendono il cinema esteticamente gradevole da vedere, ma chi cerca di più non lo trova. La tecnologia aiuta molto chi intende riempire messaggi vuoti con luci soffuse e primi piani d'impatto. Per mettere in risalto la disperazione, la solitudine e il disasio sociale basta ricordarsi(e rivedere ogni tanto) "Umberto D" di Vittorio De Sica.
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ruspa machete
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venerdì 21 settembre 2012
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grande film
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Film molto molto bello.
Consiglio vivamente di NON vederlo doppiato in italiano. Questo doppiaggio scandaloso mi ha rovinato la visione...
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francesca meneghetti
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giovedì 20 settembre 2012
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l'educazione del dolore
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Pietà è un film imperdibile per gli amanti del cinema: ha pienamente meritato un premio prestigioso come il Leon d’oro. Tuttavia è un film durissimo, cui è bene giungere preparati. Anzi, da sconsigliare alle persone sensibili nelle ore che precedono il sonno. E’ una storia sotto il segno di una violenza raccapricciante, per quanto non esibita, ma piuttosto suggerita dall'espressione dei volti: anche lo spettatore dalla scorza più dura ne esce turbato. Ragionare su questo film, prima e dopo lo spettacolo, può aiutare a proteggere la parte più indifesa ed emotiva del proprio io: è come avvolgersi in un bozzolo, che ci aiuta ad attutire gli urti.
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Pietà è un film imperdibile per gli amanti del cinema: ha pienamente meritato un premio prestigioso come il Leon d’oro. Tuttavia è un film durissimo, cui è bene giungere preparati. Anzi, da sconsigliare alle persone sensibili nelle ore che precedono il sonno. E’ una storia sotto il segno di una violenza raccapricciante, per quanto non esibita, ma piuttosto suggerita dall'espressione dei volti: anche lo spettatore dalla scorza più dura ne esce turbato. Ragionare su questo film, prima e dopo lo spettacolo, può aiutare a proteggere la parte più indifesa ed emotiva del proprio io: è come avvolgersi in un bozzolo, che ci aiuta ad attutire gli urti.
Nel tentativo di prendere le distanze dalla materia emotiva, si potrebbero individuare tre chiavi di accesso: una sociologica, una psicologica, una psicanalitica.
La prima chiave ci introduce negli antri periferici di un mondo avviluppato dal capitalismo globale: nei laboratori artigiani di un sobborgo popolare di Seul (ma potrebbe essere lo stesso o in altre favelas degradate, sporche, grigie, sommerse dai rifiuti e soggette a controlli mafiosi). Qui i lavoratori soffrono la crisi, s’indebitano, finiscono per cadere nelle mani dell’usura, e, non potendo onorare gli interessi pazzeschi del 1000 per cento, finiscono preda di vendette crudeli e inenarrabili da parte del racket. Già questo tema di denuncia, che evidenzia l’impegno civile del regista Kim Ki-Duk, è condotto in modo magistrale, con inquadrature cupe, dai toni freddi, metallici. Con stridori agghiaccianti.
La seconda chiave è di tipo psicologico e ci riporta a un tema classico nella letteratura e nel cinema: quello del delitto e del bisogno di espiare (basti pensare a Dostoevskij e a McEwan, e al film, tratto dal libro omonimo dello stesso, Espiazione). Un tema di respiro universale, che va oltre la cultura cristiana del senso di colpa. Solo che, per scontare una colpa in modo liberatorio, bisogna avere la coscienza del proprio torto, e del male fatto agli altri. Invece il protagonista, incapace di empatia, è del tutto indifferente agli altri, è disumano, tanto che appare un’incarnazione fisica del Male o del diavolo. Lo è, però, fino a un certo punto: fino a quando non compare in scena sua madre (quella che lo aveva abbandonato alla nascita). La donna gli insegna prima l’amore (che non ha mai conosciuto, e, che, in quanto negato, lo ha indurito e incattivito) e poi , con estrema durezza ed astuzia, il dolore e la pietà. Questi sono i passaggi obbligati per approdare all’espiazione e alla liberazione. In conclusione, il film declina il genere del racconto di formazione, ma senza facili ottimismi, ed, anzi, in una prospettiva nichilistica.
La terza ci riporta al complesso edipico e alla complessità del rapporto madre-figlio, accresciuta dal fatto che al protagonista questa relazione fondamentale è mancata: la madre, portatrice di un senso di colpa grande come un macigno, va incontro alla sofferenza, anche brutale, per pagare il suo peccato. Il figlio la odia e la ama. Lei, a sua volta, non può che amare il figlio ritrovato e odiare l’uomo terribile che è diventato. Il volto della madre, bello e tragico come una maschera giapponese, rigato di lacrime non abbandona facilmente lo spettatore.
Peccato che nel film il regista non sia riuscito a incorporare la scena della locandina, un’evidente rivisitazione del capolavoro di Michelangelo.
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viaggiatore77
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giovedì 20 settembre 2012
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sentimenti in lotta nel cuore di una madre
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A cosa servono i soldi ? Sono l'inzio e la fine di tutte le cose ...
Attorno a questo concetto ruotano le vicende di degrado dei personaggi, e in questo contesto i sentimenti vengono calpestati senza pietà dal protagonista, al quale interessa solo riscattare i soldi dei debitori. Ma il cuore di una madre è più forte ... più forte dei rimorsi, più forte della vendetta, più forte della pietà ... e comprimendo dentro sè questi sentimenti ... più forte del denaro.
Il film è scorrevole, le violenze sono solo enunciate, la fotografia e la musica sono ben usate e finalizzate alle scene che accompagnano ... effetivamente lo stile assomiglia più a quello occidentale .
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A cosa servono i soldi ? Sono l'inzio e la fine di tutte le cose ...
Attorno a questo concetto ruotano le vicende di degrado dei personaggi, e in questo contesto i sentimenti vengono calpestati senza pietà dal protagonista, al quale interessa solo riscattare i soldi dei debitori. Ma il cuore di una madre è più forte ... più forte dei rimorsi, più forte della vendetta, più forte della pietà ... e comprimendo dentro sè questi sentimenti ... più forte del denaro.
Il film è scorrevole, le violenze sono solo enunciate, la fotografia e la musica sono ben usate e finalizzate alle scene che accompagnano ... effetivamente lo stile assomiglia più a quello occidentale ... però raccontando i sentimenti in sitle tipicamente orientale. Peccato non abbia la distribuzione che merita !
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linus2k
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giovedì 20 settembre 2012
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metafora della nostra epoca
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Provo a raccontare "Pietà" dalla mia sensazione finale... quell'annientamento che mi ha lasciato sprofondare sulla poltrona impietrito e sconvolto.. quella sensazione di sofferenza che cresce, cresce, cresce per tutto il film, quella violenza raccontata e avvertita che ti sconvolge più di quella mostrata...
La disperazione degli occhi di madri e mogli, la mancanza di speranza, l'assenza di prospettive che vadano oltre la morte, la sofferenza ed il sacrificio...
Lee Kang-do è uno strozzino senza cuore: dopo aver prestato soldi a tassi elevatissimi e aver fatto stipulare come garanzia polizze contro l'infortunio, storpia le sue vittime al mancato pagamento, senza pietà e senza ripensamenti, facendo sprofondare le vittime e le loro famiglie nella più drammatica disperazione.
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Provo a raccontare "Pietà" dalla mia sensazione finale... quell'annientamento che mi ha lasciato sprofondare sulla poltrona impietrito e sconvolto.. quella sensazione di sofferenza che cresce, cresce, cresce per tutto il film, quella violenza raccontata e avvertita che ti sconvolge più di quella mostrata...
La disperazione degli occhi di madri e mogli, la mancanza di speranza, l'assenza di prospettive che vadano oltre la morte, la sofferenza ed il sacrificio...
Lee Kang-do è uno strozzino senza cuore: dopo aver prestato soldi a tassi elevatissimi e aver fatto stipulare come garanzia polizze contro l'infortunio, storpia le sue vittime al mancato pagamento, senza pietà e senza ripensamenti, facendo sprofondare le vittime e le loro famiglie nella più drammatica disperazione...
Una donna improvvisamente entra nella sua vita, presentandosi come sua madre, e alterando quella quotidianità fatta di violenza e crudeltà...
Chiariamo subito: Pietà è un capolavoro. Uno di quei film che ti penetrano, ti scalfiscono e ti lasciano segni che perdurano ben dopo i titoli di coda...
E' violento, dalla prima all'ultima scena la violenza si vede ma soprattutto si sente... Kim Ki duk in questo è un Maestro: nessuna scena splatter, nessuna immagine "eccessiva" né troppo esplicita... tutta la violenza si vede nell'attesa, nella disperazione durante l'atto negli occhi delle vittime, nella disperazione del dopo...
E si soffre... si soffre della disperazione delle madri che perdono i figli, delle mogli che assistono mariti disabili, nella rabbia di bambini che vivono la sofferenza dei genitori... si percorre con il protagonista un viaggio nelle vite di tante famiglie sconvolte e distrutte... distrutte sì dalla mutilazione, ma anche dal rimorso, dal pentimento di aver ceduto ad un sistema che li ha annientati come persone e deformati prima ancora che esternamente, internamente, nella loro dignità di persone, nel loro rispetto per loro e per i loro cari...
Si vede rassegnazione e rabbia, l'umanità di madri distrutte dal dolore e la rabbia negli occhi dei figli..
In tutto questo emerge la figura di Jang Mi-sun, figura salvifica (che non a caso nella locandina è assimilata alla Madonna in una meravigliosa rivisitazione della Pietà michelangiolesca) che attraverso la vendetta e il riscatto, recupera e fa recuperare la dimensione umana a Lee Kang-do fino ad una redezione fatta di acquisizione di consapevolezza e fratellanza.
Pietà è un racconto di umanità spoglie davanti alla crisi, di piccoli uomini e piccole donne vittime dei loro stessi bisogni e desideri, di povertà, di crisi economica e di valori, della mancanza della pietà nel senso di solidarietà e comprensione fraterna. E non c'è da parte del regista condanna piena nemmeno verso Lee Kang-do, pedina di un sistema corrotto e sbagliato più grosso di lui, e sostituibile in qualsiasi momento...
E' un film cupo, buio, quasi privo di luce, al massimo presente nella concezione di sacrificio come espiazione e come speranza per una generazione ed un futuro prossimo... una speranza che risiede nella condanna e nel superamento del sistema capitalistico/consumistico (Kim Ki duk non è mai un regista dai film molto prolissi e la ripetizione quasi mantrica della maledizione dei soldi non è casuale), nel recupero dei valori più umani di pietà, fratellanza, comprensione, e che comunque passa attraverso il sacrificio e la rinuncia.
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giovanna
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mercoledì 19 settembre 2012
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soldi e sentimenti (malati)
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Tostissima fulminea educazione sentimentale di un giovane delinquente anafettivo, al servizio della lobby cravattara coreana, e di una madre che, sconvolta dal dolore sceglie di vendicarsi in modo grottesco e, se si vuole, con fine implacabile intuizione psicologica .
Lo spettatore immerso nei maleodoranti vicoli di un’anonima infernale città, tra reiterate scene di inaudita aggressività frutto del nichilismo del protagonista e dell’ambiente che lo circonda e determina, è sottoposto ad un forte disagio.
Ad un certo punto, sollecitato a rifletter su “cosa sono i soldi” , speranzoso, assiste ad un progressiva presa di coscienza del protagonista Kang-do, che comincia a dimostrare, con sollievo degli astanti, segni di timida umanità.
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Tostissima fulminea educazione sentimentale di un giovane delinquente anafettivo, al servizio della lobby cravattara coreana, e di una madre che, sconvolta dal dolore sceglie di vendicarsi in modo grottesco e, se si vuole, con fine implacabile intuizione psicologica .
Lo spettatore immerso nei maleodoranti vicoli di un’anonima infernale città, tra reiterate scene di inaudita aggressività frutto del nichilismo del protagonista e dell’ambiente che lo circonda e determina, è sottoposto ad un forte disagio.
Ad un certo punto, sollecitato a rifletter su “cosa sono i soldi” , speranzoso, assiste ad un progressiva presa di coscienza del protagonista Kang-do, che comincia a dimostrare, con sollievo degli astanti, segni di timida umanità.
Inutile.
Kim-Ki Duk non molla la presa e la tensione si sposta svelando abissi di inquietudine e tormentata tormentosa umanità, nell’ infruttuoso tentativo di comprendere l’incomprensibile.
Tra lacrime, sangue, orrore autolesionista, la parabola sull’egemonia della legge economica e la speculare desertificazione dei valori, corre dritta all’epilogo di morte.
Ma anche chissà forse può essere rinascita.
Almeno così ci ha suggerito, dopo la corsa notturna sull’autostrada, l’immagine di un’alba primordiale sulla quiete delle immutabili colline coreane.
Simboliche icone del correre e rincorrersi delle stagioni, che riportano al nucleo emozionale di quel «Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera» del 2003, che rese famoso, non solo tra i cultori del cinema asiatico, Kim-Ki Duk .
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renato volpone
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domenica 16 settembre 2012
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il dolore dell'abbandono
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Il complesso di Edipo si manifesta in tutta la sua crudele drammaticità e i legami affettivi vengono recisi a causa di un abbandono....la madre implora il perdono. Umana debolezza, violenza, vendetta sono il succedersi degli eventi nella miseria della città. Ma non c'è rifugio, non c'è perdono e ogni rivalsa ha il suo prezzo da pagare. Il film crea nello spettatore dapprima una sensazione di rifiuto, ma l'evolversi del racconto ed i colpi di scena implorano un giudizio che viene dal profondo, ma che nessuno è in grado di sentenziare e cosi passivamente si accetta l'amara vendetta. Grande film che scandaglia attraverso il rapporto madre e figlio tutte le paure ataviche dell'essere umano e in particolare quella dell'abbandono in ogni sua forma.
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Il complesso di Edipo si manifesta in tutta la sua crudele drammaticità e i legami affettivi vengono recisi a causa di un abbandono....la madre implora il perdono. Umana debolezza, violenza, vendetta sono il succedersi degli eventi nella miseria della città. Ma non c'è rifugio, non c'è perdono e ogni rivalsa ha il suo prezzo da pagare. Il film crea nello spettatore dapprima una sensazione di rifiuto, ma l'evolversi del racconto ed i colpi di scena implorano un giudizio che viene dal profondo, ma che nessuno è in grado di sentenziare e cosi passivamente si accetta l'amara vendetta. Grande film che scandaglia attraverso il rapporto madre e figlio tutte le paure ataviche dell'essere umano e in particolare quella dell'abbandono in ogni sua forma. Giusta vittoria a Venezia, merita di essere visto.
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