Pietà

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Un film di Kim Ki-Duk. Con Jung-Jin Lee, Jo Min-Su, Min-soo Jo, Woo Ki-hong.
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Titolo originale Pieta. Drammatico, durata 104 min. - Corea del sud 2012. - Good Films uscita venerdì 14 settembre 2012. - VM 14 - MYMONETRO Pietà * * * 1/2 - valutazione media: 3,73 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Pietà: alla ricerca del limite Valutazione 4 stelle su cinque

di Aloisa Clerici


Feedback: 500 | altri commenti e recensioni di Aloisa Clerici
sabato 20 ottobre 2012

Il linguaggio cinematrografico al quale è avvezzo il pubblico italiano è lontato da qui, anche se il coreano Kim Ki Duk è già riuscito a farsi largo in occidente con il poetico Ferro 3, (Leone d’Argento 2004), La sararitana, Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera, Time, per arrivare fino a Pietà, il suo diciottesimo (Leone d’oro Venezia 2012).
Girato in un sobborgo di Cheonggyecheon, a Seoul, luogo che il regista ha conosciuto e vissuto realmente per alcuni anni della sua vita, il film racconta la storia di Kang-do, trentenne spetato e violento, che alle dipendenze di un usuraio, riscuote i suoi debiti tra la povera gente facendo sfoggio di metodi feroci e sadici. È un uomo gelido, crudele, pericoloso e temuto. Improvvisamente appare nella sua vita una donna che afferma di essere sua madre e gli chiede perdono (o pietà) per averlo abbandonato alla nascita, un torto che ha visto il ragazzo costruirsi una vita in solidudine, in balia di una devastante ignoranza emotiva che lo ha condotto verso la disumanità e il male. Kang-do inizialmente si appella a tutta la sua spietatezza per offenderla, ma dopo avere cercato verifiche, prove sulla sincerità della donna, è costretto a rimettere in discussione tutto, e nemmeno troppo gradualmente, finisce per aprirsi e accettarla.
Pietàè un film indubbiamente importante e soprattutto potente, la cui partenza è la denuncia della perdita dei valori della società contemporanea vittima del denaro, attraversa uno stile che sfiora la tragedia greca per approdare ad un elevato grado di spiritualità, la ricerca della redenzione e del perdono. Perché dove finisce la pietà inizia la vendetta, ma anche viceversa.
La narrazione è fluida, di grande intensità e potenza espressiva e vanta una fotografia impeccabile, curata nei colori, grigi e polverosi, nella materialità dell’acciaio delle botteghe, nella vischiosità del fango dei vicoli, nella simbologia di alcuni oggetti che a tratti, fanno da elementi-conduttori (il coltello violenza/pietà, il coniglio speranza/destino, il maglione destino/vendetta, l’albero vita/morte).
Lo spettatore è chiamato a partecipare, a compiere uno sforzo emotivo non da poco, resistendo alla costante sensazione di disturbo che si sviluppa durante il dipanarsi della storia, che si fa assai più complessa e ardita nella seconda parte. Qui i meccanismi di pietà e vendetta si incastrano, si collegano, si sdoppiano e costringono a ragionare, a riflettere su più tematiche, una delle quali è il limite. I personaggi sono vittime e carnefici, si muovono nelle loro vite come burattini senza memoria, guidati dalle diaboliche conseguenze che il malaccorto uso del denaro porta nelle relazioni umane nella società contemporanea capitalista. L’espressività dello stile visivo del film si esprime definitivamente nell’ultima scena, in un’immagine di straordinaria forza.
Il fascino di questo film, sta nel riuscire a svelare e identificare il bene, individuare quale possa essere il confine tra speranza-amore e il male-destino, la delicatezza di dettagli che muovono sentimenti di strazio talmente profondi da creare sgomento e fermarsi a pensare.
C’è da augurarsi che, a questo giro, la gente non si faccia intimorire dall’”imponenza” di quest’opera, già intuibile dal titolo, dalla locandina ispirata chiaramente al capolavoro di Michelangelo, opera che simboleggia il dolore umano. Ci si augara invece, che sia proprio lo stesso coraggio e lo stesso fervore che è stato necessario al regista per crearla, a condurne alla visione il pubblico. Perché come si evince dalle sue parole "Per spiegare il buio, il nero, bisogna presentare la luce, il bianco. La violenza e la crudeltà nei miei film serve a questo, a poter raggiungere il bianco".

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