disincantato83
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venerdì 17 giugno 2011
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i diritti non riconosciuti
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Dovrebbe essere più che evidente, a una persona razionale, il diritto di disporre della PROPRIA vita. Non riconosciuto (come del resto tanti altri) dalla nostra "civiltà" ancora molto barbarica e poco civile. Una civiltà rimasta abbarbicata a superstiz... pardon, fedi, che null'altro rispecchiano dal primitivo terrore per l'ignoto, che si cerca di vincere inventandosi una spiegazione (ovviamente indimostrabile, e perciò da "credere e basta") a ciò che non si conosce.
Certo: ognuno è libero di confortarsi come meglio crede. Ma è giusto IMPORRE tali forme di "consolazione" agli altri? Dovrebbe essere una domanda retorica.
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Dovrebbe essere più che evidente, a una persona razionale, il diritto di disporre della PROPRIA vita. Non riconosciuto (come del resto tanti altri) dalla nostra "civiltà" ancora molto barbarica e poco civile. Una civiltà rimasta abbarbicata a superstiz... pardon, fedi, che null'altro rispecchiano dal primitivo terrore per l'ignoto, che si cerca di vincere inventandosi una spiegazione (ovviamente indimostrabile, e perciò da "credere e basta") a ciò che non si conosce.
Certo: ognuno è libero di confortarsi come meglio crede. Ma è giusto IMPORRE tali forme di "consolazione" agli altri? Dovrebbe essere una domanda retorica. Tuttavia per la Santa Inquisizione non lo era. E non è stato, purtroppo, il solo né l'ultimo caso in cui è stato valicato il labile confine tra irrazionalità e prevaricazione: dal credere ciecamente, in maniera non logica e non motivata, in qualcosa, al pretendere d'imporlo con la forza, il passo è breve. Così, chi crede che un certo Dio (di cui non si conosce né il numero di telefono, né l'indirizzo -neanche di posta elettronica- né altro di documentato e dimostrabile) ci abbia assegnato questa vita come un compito da portare a termine, dal quale non si ha il diritto di esimersi, pretende che anche chi non ci crede debba essere sottoposto a questa regola. Qualcuno sa trovare, per definire ciò, parole diverse da "fondamentalismo" "fanatismo religioso" "talebani cattolici" (che, come quelli islamici, fondano la propria ottusa prepotenza sull'autorità statale)?
Nessuno nega che la convivenza sociale presupponga delle regole coercitive. Proprio questo distingue il barbaro, l'uomo-bestia, dall'uomo evoluto. Ma affinché sia davvero così, le regole devono rendere ogni individuo libero nella massima misura in cui può esserlo senza intaccare la libertà altrui. Si potrebbero fare, al riguardo, mille esempi, e da molti potrebbe venir fuori che tante regole vigenti non fanno altro, invece, che ampliare ingiustificatamente la "libertà" di alcuni, soffocando quella altrui (e naturalmente, una libertà sopraffatoria non merita questo nome, in quanto io godo una VERA libertà solo quando l'altro è altrettanto libero). Per restare in tema: partendo dal diritto alla vita -che costituisce una libertà inalienabile di tutti- a rigor di logica, appare evidente che, se il divieto di omicidio è giustamente volto a tutelare tale diritto (impedendo che uno impedisca ad altri di goderne), non altrettanto si può dire per il divieto di suicidio, atto con il quale uno non intacca la sfera di nessuno, viceversa tale divieto intacca la propria. Non c'è un vero diritto alla vita, se non comprende quello alla morte.
Il film meriterebbe 5 stelle per l'interesse del tema che tratta, e una per come lo tratta, in quanto non contiene alcuna coraggiosa critica contro il bigottismo confessionale delle attuali legislazioni. Anzi, finisce per dare l'impressione di condividere lo sdegno nei confronti del medico della clinica: degli abitanti del villaggio non si disapprovano le intenzioni, ma soltanto i metodi, cioè il fatto che essi attentino a loro volta alla vita (in tal caso altrui, non propria, ma tanto non fa differenza), di cui viene quindi ribadita, in sostanza, la sacralità intangibile, la non-liceità del disporne. A ciò contribuisce anche il tratteggio, piuttosto caricaturale, dei ricoverati, che naturalmente vengono dipinti come dei deviati, esaltati ecc. Come per far passare il messaggio che uno NON PUò, essendo perfettamente sano di mente, e senza avere alcun disturbo psichico (e perfino senza alcuna di quelle malattie terminali che sembrano condizione indispensabile per poter soltanto dibattere del diritto a farla finita), averle semplicemente piene della dura lotta quotidiana che è la vita, e perciò aver lucidamente e consapevolmente deciso di ritirarsene, senza con ciò nuocere a nessuno.
Mi piacerebbe, non tanto suicidarmi, quanto farmi ibernare, e ripassare tra alcuni secoli (facciamo millenni...) per vedere se nel frattempo l'umanità sarà uscita dalle grotte e avrà smesso di prostrarsi e pregare i fulmini, e sarà diventata un po' più razionale e "sapiens", smettendo di impedire ai propri simili di esercitare i propri più basilari diritti.
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luana
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domenica 5 giugno 2011
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pacchianata
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Il film non è da buttare. Il tema forte dell'eutanasia è un pretesto per mettere in luce tutti i paradossi umani portandoli però ad un estremo tale da ridicolizzare la dignità umana, sfiorando ma non troppo il cattivo gusto. (legittimo punto di vista, intendiamoci). L'abilità del regista è stata quella di iniziare in modo surreale sì ma apparentemente serio (la prima dolce morte si svolge come previsto) creando nello spettatore delle aspettative di tutt'altro sviluppo che non siano quelle di un totale irrealismo condito da situazione farsesche di ogni tipo. E' qui che cadono i cosiddetti e ci accorgiamo di assistere ad una specie di scherzo, ad un sogno.Nella catena dei paradossi che potrebbe continuare all'infinito si rivela la fondamentale miseria umana che rimane attaccata alle proprie nevrosi sognando e delegando una falsa liberazione e soprattutto continuando a sentirsi padrona di qualcosa.
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Il film non è da buttare. Il tema forte dell'eutanasia è un pretesto per mettere in luce tutti i paradossi umani portandoli però ad un estremo tale da ridicolizzare la dignità umana, sfiorando ma non troppo il cattivo gusto. (legittimo punto di vista, intendiamoci). L'abilità del regista è stata quella di iniziare in modo surreale sì ma apparentemente serio (la prima dolce morte si svolge come previsto) creando nello spettatore delle aspettative di tutt'altro sviluppo che non siano quelle di un totale irrealismo condito da situazione farsesche di ogni tipo. E' qui che cadono i cosiddetti e ci accorgiamo di assistere ad una specie di scherzo, ad un sogno.Nella catena dei paradossi che potrebbe continuare all'infinito si rivela la fondamentale miseria umana che rimane attaccata alle proprie nevrosi sognando e delegando una falsa liberazione e soprattutto continuando a sentirsi padrona di qualcosa.Troppo,davvero troppo sarcastico per i miei gusti.
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astromelia
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lunedì 30 maggio 2011
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demenziale fanta-horror
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....il film ha tutti i canoni per essere fuori o sopra le righe, ovvero: come si può tradurre un tema come l'eutanasia in farsa noir,con qualche risata sarcastica a condire il tutto.....
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hatecraft
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domenica 1 maggio 2011
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non ci siamo, il film è tanto complesso quanto ondivago. una commedia nera che non osa tanto nel grottesco quanto nell'etico, un vortice confuso di fabula che si perde dietro tanti personaggi allo sbando, dietro una sceneggiatura acquosa che avrebbe potuto far la differenza, a parità di budget e di scenografia.
la fotografia non funziona (troppo pesante), e il ritmo nella prima parte è decisamente insostenibile. ultima parte assurda nel senso di un risvolto poco convicente e azzeccato. peccato perchè qualche premessa per renderlo un piccolo cult avrebbe potuto esserci. il risultato finale è un acrostico claustrofobico di ardua digestione.
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non ci siamo, il film è tanto complesso quanto ondivago. una commedia nera che non osa tanto nel grottesco quanto nell'etico, un vortice confuso di fabula che si perde dietro tanti personaggi allo sbando, dietro una sceneggiatura acquosa che avrebbe potuto far la differenza, a parità di budget e di scenografia.
la fotografia non funziona (troppo pesante), e il ritmo nella prima parte è decisamente insostenibile. ultima parte assurda nel senso di un risvolto poco convicente e azzeccato. peccato perchè qualche premessa per renderlo un piccolo cult avrebbe potuto esserci. il risultato finale è un acrostico claustrofobico di ardua digestione.
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nalipa
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mercoledì 27 aprile 2011
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per vivere o
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sopravvivere non occorre, nel modo più assoluto, prendersi troppo sul serio....e perché no! Anche la morte, dal momento che non la conosciamo, non dobbiamo per forza, o per paura ...di questa sconosciuta...prenderla ..., troppo....sul serio....specie in quanto si tratta di morti "scelte come soluzione"...quindi non serie?!....Forse.
Mi é sembrato un po' questo, in parte il signifato di questo film con un cast di ottime facce appartenenti ad ottimi attori. Certo qui si parla di persone...un tantinello eccentriche che credono di poter scegliere la morte e quindi porre fine alle loro vite grame, credono ...poveri illusi..... perché qualcosa non va per il verso giusto e succedo un gran pasticcio.
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sopravvivere non occorre, nel modo più assoluto, prendersi troppo sul serio....e perché no! Anche la morte, dal momento che non la conosciamo, non dobbiamo per forza, o per paura ...di questa sconosciuta...prenderla ..., troppo....sul serio....specie in quanto si tratta di morti "scelte come soluzione"...quindi non serie?!....Forse.
Mi é sembrato un po' questo, in parte il signifato di questo film con un cast di ottime facce appartenenti ad ottimi attori. Certo qui si parla di persone...un tantinello eccentriche che credono di poter scegliere la morte e quindi porre fine alle loro vite grame, credono ...poveri illusi..... perché qualcosa non va per il verso giusto e succedo un gran pasticcio.
Comunque anche se bizzarro e..grottesco offre ottimi spunti di riflessione.
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francesco2
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mercoledì 9 marzo 2011
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un figlio di genere (e non de-genere)
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Le prime inquadrature, di un macchiettismo un pò disturbante, mi hanno riportato col pensiero a vari esempi cinematografici(E non): un (Quasi) eccellente film dell'anno scorso, "Lourdes", che con toni caricaturali dipingeva la superstizione religiosa, ma amato anche da certi credenti; ed al "Nastro bianco", dove l'assenza di colore assumeva una calvinista dimensione punitiva.
Distante dalle teorie foucaultiane, che esistevano (Ma probabilmente no) in "Shutter Island", il dottore non rappresenta il potere, ma anzi fa ciò che fa perché contro c le istituzioni che ritengono insindacabile il proprio giudizio sulla prospettiva di voler morire. Un personaggio troppo umano, ha detto qualcuno. Forse.
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Le prime inquadrature, di un macchiettismo un pò disturbante, mi hanno riportato col pensiero a vari esempi cinematografici(E non): un (Quasi) eccellente film dell'anno scorso, "Lourdes", che con toni caricaturali dipingeva la superstizione religiosa, ma amato anche da certi credenti; ed al "Nastro bianco", dove l'assenza di colore assumeva una calvinista dimensione punitiva.
Distante dalle teorie foucaultiane, che esistevano (Ma probabilmente no) in "Shutter Island", il dottore non rappresenta il potere, ma anzi fa ciò che fa perché contro c le istituzioni che ritengono insindacabile il proprio giudizio sulla prospettiva di voler morire. Un personaggio troppo umano, ha detto qualcuno. Forse. Ma la chiave di lettura di "Kill Me Please" è un'altra; può riguardare quella della "Vita è bella" benignesca, Fino a che punto si può, SE si può, ridere dell'orrore? E se e quando lo si fa, ciò consente veramente una migliore lettura della tragedia o è ironia gratuita su ciò che non dovrebbe essere oggetto di scherno, come -Potrebbe dire qualcuno- la mafia di "Tano da morire?"
Diciamo sdue cose. Una dimensione ludica che si percepisce, magari troppo ludica, non serve a esorcizzare questioni complesse come la morte, ma sdrmmatizzarle, come avviene con la ragazza che sta "Accanto" all'uomo che ha deciso di suicidarsi.In più, nella prima parte, l'ironia coesiste ACCANTO al dramma, sia raffigurato tramite le dichiarazioni degli aspiranti sucidi o in eleganti inquadrature (Ad avercene, in Italia), che fissano questi soggetti o le loro famiglie mentre si avvicinano alla clinica. PercHè coesiste?Ma perché, per esempio, quando Barco fa capire (Non molto) velatamente come all'interno del personale esistano gelosie, non si tratta di ALLONTANARE la tragedia, ma di usare l'ironia per sottolineare sottilmente come il male sia qualcosa che si insinua prima di tutto tra di noi, nelle pieghe del nostro quotidiano. Diversa è la scena dell'incendio, che irrompe nel clima dolceamaro che si resprava nell'edificio. Ma forse per questo non è gratuita, tanto che una paziente, in una scena probabilmente troppo didascalica, comunica che vuole lasciare l'ospedale, prché ha capito quanto sia fortunata a vivere.
La seconda parte ha un'impostazione diversa. Dopo un'inizio abbastanza nOioso, che eviedenzia i limiti dell'inizio della prima, si sceglie una dimensione più esplicitamente grottesca; non solo per spunti come la moglie persa al poker(Ma osserviamo meglio la scena, e secondo me notiamo l'amarezza nel dialogo tra lo straniero e l"Ex-marito"),ma anche perché, in maniera probabilmente facilona, il regista gioca sulla follia di un paziente per innescare una serie di tragicomici omicidi. Ma la sua abilità sta proprio qui: tragico e comico coesistono perché ha la sensibilità per alternarli(Guardiamo l'omicidio nela "Coppia" appena formatasi: quanta soferenza in quel panorama ironico)perché (Anche, o forse soprattutto) non perde di vista che un pò dell'uno avolte è presente nell'altro, o viceversa. Per esempio nella scena in cui un uomo dice :"Sono un tiratore scelto", ed uccide sé stesso. O quando, dopo la disamina del dottore sul costo dei suicidi per lo stato, lui stesso s i toglie la vita
Lo stesso killer, in fondo, è una figura grottesca, ma paradossalmente uccidendo i pazienti(Meno la ragazza), realizza i loro desideri. Embelema di un film che, nonostante certe facilonerie, è abbastanza riuscito a fare coesistere cose lontane tra di loro.
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pipay
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giovedì 3 marzo 2011
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amplio il mio commento
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Innanzitutto una premessa: gli ingredienti per fare un buon film cerano tutti. Non può sfuggire, tanto per cominciare, l’originalità con cui è trattato il tema della morte, ovvero il desiderio di porre fine alla propria vita commissionando ad altri, dietro pagamento, il “proprio suicidio”. A questo macabro scopo dovrebbe servire una clinica specializzata, situata in mezzo a un bosco, su un’altura appartata. L’edificio è immenso, simile a un castello, dall’aspetto austero e sinistro. Bislacchi e pieni di complessi sono i clienti, che si rendono protagonisti di scene grottesche e al limite del reale. Ma i loro propositi, di conseguire un trapasso consapevole e ambito, ma anche discreto e appartato, vengono stravolti da una serie di circostanze imprevedibili e di omicidi a catena.
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Innanzitutto una premessa: gli ingredienti per fare un buon film cerano tutti. Non può sfuggire, tanto per cominciare, l’originalità con cui è trattato il tema della morte, ovvero il desiderio di porre fine alla propria vita commissionando ad altri, dietro pagamento, il “proprio suicidio”. A questo macabro scopo dovrebbe servire una clinica specializzata, situata in mezzo a un bosco, su un’altura appartata. L’edificio è immenso, simile a un castello, dall’aspetto austero e sinistro. Bislacchi e pieni di complessi sono i clienti, che si rendono protagonisti di scene grottesche e al limite del reale. Ma i loro propositi, di conseguire un trapasso consapevole e ambito, ma anche discreto e appartato, vengono stravolti da una serie di circostanze imprevedibili e di omicidi a catena. La loro vita, quella vita che a loro sembrava un fardello inutile e senza importanza, da eliminare senza tanti rimpianti, ma in modo programmato, viene messa in pericolo senza più possibilità di controllo. E il disegno della morte, della propria morte, attesa, inseguita e quasi sognata, viene brutalmente sconvolto. La situazione di ognuno, così, paradossalmente, si capovolge in un caparbio e disperato tentativo di restare in vita, anche a costo di mettersi l’uno contro l’altro. E nella clinica, nelle sue stanze e all’esterno delle sue mura comincerà a regnare il caos completo. Il regista belga Olias Barco, che ha anche scritto la sceneggiatura, non ha un lungo curriculum ed ha optato, tra l’altro, per l’abolizione del colore a favore di un bianconero che, in verità è uno dei pochi ingredienti validi del film. Anche certi esterni, con la campagna e gli alberi innevati, sono indubbiamente suggestivi. Il film, insomma, avrebbe avuto parecchi elementi per diventare un lavoro ben fatto. Invece niente di tutto questo. Cosa voleva comunicarci chi ha ideato questa storia? Che nonostante tutto si rimane sempre ancorati alla vita, costi quel che costi, perché la morte non fa piacere a nessuno? Ebbene, qualunque fosse l’intento iniziale, è miseramente naufragato in un coacervo di personaggi strampalati, di situazioni assurde, irrisolte e inspiegabili. Il tutto aggravato da un montaggio poco controllato, quasi caotico e fuorviante. Tutto si è perso tra le pieghe di un progetto cinematografico che si distrugge da solo, che comunque rimane abbozzato, irrisolto e anche piuttosto noioso. Il film ha ricevuto il Marco Aurelio d’oro al recente Festival di Roma. Riconoscimento su cui si potrebbe discutere. Il lavoro rimane infatti una storia sgangherata, ed è un vero peccato perché aveva, ripeto, potenzialità non indifferenti per diventare persino un capolavoro. Ma poteva essere scritto e diretto meglio. Probabilmente uscirà presto dalle sale cinematografiche.
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pipay
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sabato 12 febbraio 2011
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come prevedevo, è già uscito dalle sale
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Come avevo previsto, questo film sconclusionato e mal fatto (poteva essere, ripeto per l'ennesima volta, un capolavoro se fosse stato scritto e montato meglio) in meno di quindici giorni è apparso e poi scomparso rapidamente dalle sale cinematografiche. Una meteora inutile. Un'occasione mancata. Un flop totale. Peccato, perché l'originalità della storia poteva portare buoni frutti...
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micnet
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lunedì 7 febbraio 2011
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provocatorio
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moniquette
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domenica 30 gennaio 2011
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un piccolo noir
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La morte indotta da una mano estranea fa' porre quesioni di ordine etico; qui la morte arriva da chi definisce gli operatori della clinica "assassini" e poi... spara!
Un film che mette in luce con scioccante surrealismo i controsensi delle ideologie che puntano il dito contro l'eutanasia e poi uccidono in nome di altri "ideali" e che cerca di spiegare con una teoria di stampo funzionalista il ruolo "sociale" di queste cliniche della dolce morte.
Il film usa personaggi grotteschi per rendere più digeribile un contenuto altrimenti indigesto, in cui forse, anche noi arrivati lì per vedere il film, non vogliamo arrivare ad immedesimarci.
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La morte indotta da una mano estranea fa' porre quesioni di ordine etico; qui la morte arriva da chi definisce gli operatori della clinica "assassini" e poi... spara!
Un film che mette in luce con scioccante surrealismo i controsensi delle ideologie che puntano il dito contro l'eutanasia e poi uccidono in nome di altri "ideali" e che cerca di spiegare con una teoria di stampo funzionalista il ruolo "sociale" di queste cliniche della dolce morte.
Il film usa personaggi grotteschi per rendere più digeribile un contenuto altrimenti indigesto, in cui forse, anche noi arrivati lì per vedere il film, non vogliamo arrivare ad immedesimarci.
La storia si intreccia sulle caratterizzazioni e le situazioni portati all'estremo.
Con una colonna sonora più groove sarebbe potuto essere un piccolo noir alla Tarantino.
Invece l'atmosfera è ovattata dalla neve, movimentata solo dai colpi dei fucili e dalla scacchiera di un pavimenti psichedelico.
La fotografia e i costumi si fanno ricordare.
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