INTO PARADISO
Gradevilissima commedia dark (forse non è l’aggettivo più appropriato, ma non me ne viene in mente uno migliore) a tinte rosa, dove ironia e dramma si fondono magnificamente in un tutto ben equilibrato, dove si ride ma senza dimenticare il quadro di violenza che fa da sfondo; violenza che è abilmente stemperata dalla connotazione caricaturale dei camorristi, dipinti più come balordi impacciati e rimbambiti che come implacabili soldati della più solida e produttiva associazione di malaffare italiana.
Sono molte le componenti che si rifanno all’attualità: il politico opportunista e succube dei poteri forti (quelli illegali, naturalmente), il disoccupato un po’ imbranato che cerca soluzioni “collaterali” e si trova impantanato in situazioni più grandi di lui da cui riesce ad uscire con grinta e furbizia , il potere ipnotizzante della televisione più becera, cioè quella delle telenovelas, la dimensione della multietnicità e la dinamica interculturale, e via dicendo.
Il tutto si svolge nella periferia scalcinata ma viva e simpatica di Napoli, che ricorda un po’ quella di “Passione”, ed in particolare in una “Napoli nella Napoli”: un fondaco abbandonato ed occupato da una comunità srilankese, apparentemente diversa ma non poi tanto dai napoletani veraci, almeno quanto a colori e temperamento. Ed è proprio l’arrivo di un ex campione di cricket cingalese squattrinato che in qualche modo sbroglia l’intricata matassa in cui si erano inviluppati il politicante Vincenzo e lo scienziato senza lavoro Alfonso a causa del solito ricatto della camorra. Da una situazione senza sbocco i nostri usciranno sfoderando astuzia, mutuo soccorso e tanta, tanta fortuna, in mezzo ad un turbinio di pallottole sibilanti.
Il film si articola perlopiù in siparietti, alcuni piuttosto esilaranti (Servillo legato e narcotizzato davanti ad un televisore acceso, la festa variopinta nel fondaco, il duetto cerebrale tra il cingalese-badante e la nobildonna arrogante, la grande fuga in mezzo all’inferno chi con le proprie gambe chi su una sedia a rotelle…).
Gli stacchi con scene di animazione dànno divertente risalto ai pensieri onirici e sublimano l’atmosfera di riflessiva ironia che si respira dall’inizio alla fine.
Il segnale edificante che si riceve è che in una grande città dove sono marcate le diversità a stretto contatto solo lo spirito di attiva collaborazione tra realtà autoctone e componenti di derivazione esterna consente di massimizzare la pacifica convivenza ed il raggiungimento di interessi comuni: solo il confronto e la solidarietà fra diversi può avere la meglio sul bieco opportunismo e la cieca forza.
Brava la regista e sceneggiatrice Paola Randi, credo alla prima prova cinematografica, a miscelare e dosare al meglio così tanti ingredienti, assicurando in ogni scena, anche le più forti, un gradevole tocco di leggerezza; bravo Gianfelice Imparato, qui nel ruolo di protagonista, che già avevamo apprezzato in Gomorra; bravo (ma lo sapevamo) l’altro Servillo a dare corpo al cialtrone di turno, che, per quanto miserabile, non riesce ad essere antipatico; bravo il cingalese-badante, tirato a lucido come un attore holliwoodiano, che sa sprizzare umorismo a iosa dalle sue occhiate stralunate e furbesche e dai tentativi prima maldestri poi rassegnati di adattarsi alla nuova movimentata realtà sociale, da cui trarrà comunque un’importante lezione di vita.
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