laurence316
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giovedì 15 giugno 2017
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soldi facili, sulle spalle degli altri
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Le origini e gli sviluppi della più grave crisi finanziaria dai tempi della Grande Depressione raccontati in un documentario lucido e serrato, diviso in 5 capitoli (Come ci siamo arrivati; La bolla (2001-2007); La crisi; Responsabilità e A che punto siamo) che riescono a condensare una materia vasta e intricata in pochi ma efficaci minuti che hanno però anche il grande pregio di non risultare mai eccessivamente superficiali o semplicistici, né tanto meno retorici.
Il regista guarda evidentemente a Michael Moore, ma ne evita sia il protagonismo (non compare mai di fronte alla macchina da presa) sia l’esagerazione grottesca: non inserisce spunti satirici e sberleffi ma lascia che siano le esitazioni, le incertezze e le contraddizioni di alcuni degli intervistati a parlare da sole (per non parlare poi delle testimonianze dinanzi al Congresso).
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Le origini e gli sviluppi della più grave crisi finanziaria dai tempi della Grande Depressione raccontati in un documentario lucido e serrato, diviso in 5 capitoli (Come ci siamo arrivati; La bolla (2001-2007); La crisi; Responsabilità e A che punto siamo) che riescono a condensare una materia vasta e intricata in pochi ma efficaci minuti che hanno però anche il grande pregio di non risultare mai eccessivamente superficiali o semplicistici, né tanto meno retorici.
Il regista guarda evidentemente a Michael Moore, ma ne evita sia il protagonismo (non compare mai di fronte alla macchina da presa) sia l’esagerazione grottesca: non inserisce spunti satirici e sberleffi ma lascia che siano le esitazioni, le incertezze e le contraddizioni di alcuni degli intervistati a parlare da sole (per non parlare poi delle testimonianze dinanzi al Congresso).
Tutto concorre a fare del film non tanto uno di quelli più “spaventevoli” (come lo ha definito il Boston Globe) ma piuttosto uno di quelli che suscitano più rabbia nei confronti dei fatti narrati. Non può che far infuriare, difatti, l’assistere alla perfetta e sintetica illustrazione delle condotte criminali e fraudolente portate avanti dalla maggioranza degli appartenenti a questa élite di finanzieri e, ancor di più, da coloro che avrebbero il compito di controllarli (si rendono palesi le complicità di entità come le agenzie di rating, gli organismi statali di controllo, il governo stesso [che spesso presenta membri di quella stessa élite ai più alti vertici]).
La follia è stata quella di permettere a queste grandi società di crescere a dismisura (per effetto della deregulation lanciata da Reagan e portata avanti dai suoi successori Clinton e Bush) fino a farle diventare, come recita un famoso motto, “troppo grandi per fallire”, permetter loro, di fatto, di tenere sotto scacco l’economia e per estensione l’intera società, e rischiare in tal modo che un loro fallimento faccia precipitare l’intero apparato economico, anche la cosiddetta “economia reale”, nonostante paradossalmente questi organismi finanziari non producano nulla di concreto, ma solo speculazioni sopra ad altre speculazioni (come dice giustamente uno degli intervistati: “Perché un ingegnere finanziario dovrebbe essere pagato dalle quattro alle cento volte in più rispetto ad un vero ingegnere? Il vero ingegnere costruisce ponti, l’ingegnere finanziario costruisce solo sogni. E quando quei sogni si trasformano in incubi sono altri a farne le spese”). Sono sempre altri a farne le spese, e sempre ai gradini più bassi della società.
E difatti questo è un altro dei temi affrontati dal film: cosa è stato fatto per regolamentare il mercato, per controllare l’operato delle agenzie di rating, della banche d’investimento, per mettere un tetto agli stipendi esorbitanti dei manager? Assolutamente niente. In particolare negli Stati Uniti, da dove la crisi si è originata. E i responsabili della stessa sono rimasti, per la maggior parte, impuniti ed anzi spesso hanno addirittura conservato le loro cariche, anche sotto la presidenza Obama, che pure durante la campagna elettorale aveva promesso una netta rottura con il passato. E nel frattempo le banche d’investimento sono state salvate grazie all’intervento dello Stato e del denaro pubblico. Giusto per aggiungere al danno la beffa.
Ognuna di queste tematiche è affrontata con competenza e vedendo di utilizzare il linguaggio più semplice e chiaro possibile in questo eccellente documentario, Inside Job (il cui titolo indica un crimine compiuto da una persona in una posizione di fiducia che ha accesso ad informazioni confidenziali, riservate, “dall’interno”, in relazione al crimine stesso), giustamente premiato con l’Oscar. Nonostante ciò, viene vergognosamente relegato all’uscita direttamente in home-video in Italia, senza passare prima per le sale. Tanto per favorirne la diffusione. Da recuperare, comunque, e da vedere, magari in abbinamento a La grande scommessa, che non è però un documentario.
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filippo catani
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martedì 8 novembre 2011
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documentario di gran classe
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Il documentario ricostruisce le tappe attraverso le quali la grande finanza si è avviata incoscientemente verso il più grande crac finanziario della storia scatenando una crisi che dal 2008 ancora non pare attenuarsi.
Specialmente in questi tempi di indignazione e minacce di occupazione di Wall Street questo documentario scarica tutta la sua verve esplosiva. Il comune mortale cioè lo spettatore medio rimane letteralmente senza parole nel vedere come, a sua insaputa, pochi finanzieri abbiamo creato strumenti finanziari che sono fuori da qualsiasi logica reale. Tutto questo purtroppo si è poi scaricato sugli uomini comuni che, improvvisamente, hanno visto aumentare esponenzialmente il tasso dei propri mutui scatenando una crisi globale anche perchè i titoli tossici sono stati spediti in tutto il mondo.
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Il documentario ricostruisce le tappe attraverso le quali la grande finanza si è avviata incoscientemente verso il più grande crac finanziario della storia scatenando una crisi che dal 2008 ancora non pare attenuarsi.
Specialmente in questi tempi di indignazione e minacce di occupazione di Wall Street questo documentario scarica tutta la sua verve esplosiva. Il comune mortale cioè lo spettatore medio rimane letteralmente senza parole nel vedere come, a sua insaputa, pochi finanzieri abbiamo creato strumenti finanziari che sono fuori da qualsiasi logica reale. Tutto questo purtroppo si è poi scaricato sugli uomini comuni che, improvvisamente, hanno visto aumentare esponenzialmente il tasso dei propri mutui scatenando una crisi globale anche perchè i titoli tossici sono stati spediti in tutto il mondo. Come se non bastasse c'è anche chi si è assicurato e ha guadagnato su questa catena di fallimenti. Insomma un vero e proprio ritratto della cupidigia. Documentario che oltretutto ha anche il notevole pregio di parlare con un linguaggio accessibile a tutti e specialmente ai non addetti ai lavori che, proprio in virtù di questo loro status, rimangono ancor più sconvolti dalla visione.
Giustamente premiato con l'Oscar.
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giovanni tosin
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domenica 12 agosto 2012
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ottimo storia e regia, ottime riprese di new york
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Consiglio vivamente Inside Job, oltre che per la qualità del documentario anche per la regia sembra un film.
Bellessime le riprese dall'alto di New York.
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iuriv
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giovedì 4 dicembre 2014
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nel regno del denaro facile.
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La grande crisi che stiamo vivendo ha origine nei meandri della legislazione americana partorita dagli anni 80 in poi. O almeno questo è quello che Ferguson ritiene e per rafforzare il suo concetto mette in scena un documentario di denuncia che, arricchito da studi e interviste, prova ad andare a fondo nelle motivazioni che hanno portato al disastro attuale.
A differenza di altre opere analoghe, Inside Job si propone in modo più posato e ordinato, privo di scenette costruite ad arte per attirare la simpatia del pubblico verso chi racconta. Il regista dell'opera evita anche di apparire, o di far apparire qualcuno dei suoi collaboratori, lasciando al pubblico un contatto quasi diretto con coloro che vengono intervistati.
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La grande crisi che stiamo vivendo ha origine nei meandri della legislazione americana partorita dagli anni 80 in poi. O almeno questo è quello che Ferguson ritiene e per rafforzare il suo concetto mette in scena un documentario di denuncia che, arricchito da studi e interviste, prova ad andare a fondo nelle motivazioni che hanno portato al disastro attuale.
A differenza di altre opere analoghe, Inside Job si propone in modo più posato e ordinato, privo di scenette costruite ad arte per attirare la simpatia del pubblico verso chi racconta. Il regista dell'opera evita anche di apparire, o di far apparire qualcuno dei suoi collaboratori, lasciando al pubblico un contatto quasi diretto con coloro che vengono intervistati.
Questa scelta non fa perdere ritmo alla visione, che anzi, sembra costruita ad arte per sembrare un film d'intrattenimento, con il racconto diviso in capitoli ben definiti e un montaggio efficace. In tutto questo non manca l'aspetto didattico: i tecnicismi economici ci sono tutti, ma grazie al frequente utilizzo di grafici animati e a un Matt Damon in vena di chiacchiere, capire come si siano svolti i fatti diventa semplice.
Al regista non dispiace l'utilizzo di sequenze dal raffinato gusto estetico, ma mette in atto la saggia decisione di centellinarle, utilizzandole come contestualizzazione dell'ambiente che descrive, riuscendo a trasmettere persino lo stato d'animo generale che la vicenda porta con se nelle sue varie fasi. Così facendo Ferguson riesce a mantenere uno stile cinematografico evitando, però, che esso copra tutto dietro una patinatura che avrebbe tolto molto alla crudezza che sta alla base della pellicola.
Il risultato è un ritratto senza sconti del mondo finanziario e dei suoi interpreti più spericolati. La figura che emerge descrive dei bambini dai capelli bianchi, capricciosi, infidi e corruttori, in grado di inserirsi ovunque e decidere qualsiasi cosa possa portare loro vantaggio. Mette in luce anche come chi dovrebbe tenerli a bada in realtà diventi membro della loro squadra, inebriato dai soldi e dal potere che da essi ne deriva.
Se fosse un film di finzione, la storia sarebbe fin troppo banale, con i cattivi insoddisfacenti e i buoni praticamente assenti. Ma è la realtà, che spesso è anche peggio. E allora il momento, per me, più significativo di tutta la visione è quell'intervista in cui la voce fuori campo fa una domanda semplice da sviare o da ribaltare, ma a cui l'interlocutore non riesce a rispondere. Da questo passaggio emerge l'impunità di un'intera classe dirigente, così abituata a fare il proprio comodo, da non saper reagire nemmeno a una questione da poco.
E' una visone che fa male, perché al di la dei proclami finali, fa capire come poco o nulla si possa fare contro questa gente. Però è anche un film da vedere, se si vuole capire in che mondo viviamo.
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dandy
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lunedì 2 ottobre 2017
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inside the failure...
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Diviso in 5 atti("Come siamo arrivati";"La bolla";"La crisi";"Responsabilità" e "A che punto siamo"),il documentario è un lucido,serrato,impietoso viaggio nell'America politco-economica da Ronald Reagan,che introdusse la deregulation,(come se gli altri danni che aveva fatto non fossero stati abastanza....)fino a Barack Obama,che non ha punito i responsabili di quella che è stata la più grave crisi finanziaria dopo il crollo di Wall Street nel'29.Una crisi iniziata in Islanda,e proseguita in mezzo mondo,dovuta a una politica americana immorale e criminale,che ha basato l'economia del paese su bolle speculative destinate in partenza ad esplodere,e un immane complesso basato su prodotti instabili,scadenti,su corruzioni e menzogne;sulle scommesse di banche che hanno rischiato sulla pelle di milioni di clienti ben sapendo che erano destinati al fallimento.
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Diviso in 5 atti("Come siamo arrivati";"La bolla";"La crisi";"Responsabilità" e "A che punto siamo"),il documentario è un lucido,serrato,impietoso viaggio nell'America politco-economica da Ronald Reagan,che introdusse la deregulation,(come se gli altri danni che aveva fatto non fossero stati abastanza....)fino a Barack Obama,che non ha punito i responsabili di quella che è stata la più grave crisi finanziaria dopo il crollo di Wall Street nel'29.Una crisi iniziata in Islanda,e proseguita in mezzo mondo,dovuta a una politica americana immorale e criminale,che ha basato l'economia del paese su bolle speculative destinate in partenza ad esplodere,e un immane complesso basato su prodotti instabili,scadenti,su corruzioni e menzogne;sulle scommesse di banche che hanno rischiato sulla pelle di milioni di clienti ben sapendo che erano destinati al fallimento.Un accumulo di nulla che ha finito per diventare ingestibile anche per i grandi banchieri,come i Lehman Brothers e J.P. Morgan,ma del quale hanno fatto le spese soltanto i comuni cittadini.Quasi nessuno dei responsabili è stato perseguito,e addirittura quasi nessuno di loro ha perso il proprio impiego,anche dopo la fine del governo Bush.Molti degli interessati,ovviamente,hanno rifiutato di farsi intervistare.Gli altri,spesso,esitano e si giustificano malamente di fronte alle domande scomode,come nelle scene del Congresso.Vista la complessità dei temi trattati,in sole 2 ore lo spettatore non avvezzo faticherà molto a capire tutte le dinamiche,ma non potrà non provare indignazione e sgomento al pensiero di cosa hanno fatto alcuni dei Capoccia mondiali,quelli che si suppone,dovrebbero mandare avanti la baracca con sicurezza e responsabilità che invece non possiedono affatto...Meritato Oscar come miglior documentario,ma ovviamente incassi minimi in patria,e da noi è uscito direttamente in dvd.Da confrontare con "La grande scommessa" e "Margin Call".In originale,la voce narrante è di Matt Damon.
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