stizzo
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domenica 26 dicembre 2010
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nei panni di paul conroy
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Questo film inizia con un alone buio e tetro quasi come se volesse spiegare la trama in un'unica immagine:quella dello smarrimento e della solitudine che schiaccia e opprime l'essere umano.
Buried è un thriller psicologico interiore che parla della sopravvivenza, della speranza, dell'istinto di sopravvivere e infine dell'ultimo sguardo nel vuoto e nell'oscurità in cui l'anima finisce e si perde.
Il finale è giocato sulla suspense e sulle emozioni che colpiscono lo spettatore attento, nervoso, con il fiato sopseso.
L'interpretazione dell'unico protagonista (dopotutto l'unico personaggio che si vede nel film) Paul/Ryan Reynolds si sviluppa mano a mano che il personaggio tra una chiamata e l'altra prova paura, si fa forza, si rassegna, ritrova la speranza e cade nel baratro.
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Questo film inizia con un alone buio e tetro quasi come se volesse spiegare la trama in un'unica immagine:quella dello smarrimento e della solitudine che schiaccia e opprime l'essere umano.
Buried è un thriller psicologico interiore che parla della sopravvivenza, della speranza, dell'istinto di sopravvivere e infine dell'ultimo sguardo nel vuoto e nell'oscurità in cui l'anima finisce e si perde.
Il finale è giocato sulla suspense e sulle emozioni che colpiscono lo spettatore attento, nervoso, con il fiato sopseso.
L'interpretazione dell'unico protagonista (dopotutto l'unico personaggio che si vede nel film) Paul/Ryan Reynolds si sviluppa mano a mano che il personaggio tra una chiamata e l'altra prova paura, si fa forza, si rassegna, ritrova la speranza e cade nel baratro.
Buried a prima vista forse annoia ma seguendo l'intreccio dei personaggi che si conoscono progressivamente solo attraverso la voce che viene da un cellulare diveta un'ottimo film che commuove, che stupisce, che spaventa e tutto questo fa del film un'opera originale, inedita, e molto introspettiva poichè i protagonisti principali di questo film sorprendente sono un uomo nella sua bara di legno in mezzo al nulla.
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mister_wnb
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sabato 16 ottobre 2010
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buon thriller ma niente di più
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questo buried è un film di tensione che però in particolari momenti denuncia dei cali che non riescono a far decollare totalmente il film.
reynolds è un punto sicuramente positivo,bravo praticamente in ogni circostanza a far capire il suo disagio,la sua ansia.
il finale tanto esaltato da alcuni quotidiani e/o mensili è prevedibile ma non scontato.
tecnicamente è curato e sicuramente il lavoro di fotografia e regia è tutt'altro che banale.
insomma in sostanza è un film da vedere ma non da rivedere.
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anpie
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martedì 19 ottobre 2010
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un film che lasceremo sepolto in sala
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Buried, a dispetto delle positive impressioni della critica, delude le aspettative. Non Ryan Reynolds, la cui interpretazione è forse l'unico elemento che alimenta la credibilità di un film svuotata di contro dallo stesso svolgersi degli eventi. Buried è il tragico epilogo di un autista che, vittima di un terribile agguato, si risveglia rinchiuso in una cassa di legno sepolta nella sabbia del deserto iracheno. All'interno un telefonino che serve al malcapitato per comunicare con l'esterno e con i rapitori, e trasformare la tragedia umana in un mini reality da trasmettere in mondovisione. Sorvolando su alcuni dettagli che potrebbero minare la necessaria crudezza del racconto (per fortuna salvaguardata dall'ottimo Reynolds), non si può fare a meno di contestare alcuni passaggi - come ad esempio l'improbabile cobra che sbuca dai pantaloni, il mini-rogo alimentato dall'ostaggio per circondare il rettile, la miracolosa fuga di quest'ultimo da foro laterale della cassa.
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Buried, a dispetto delle positive impressioni della critica, delude le aspettative. Non Ryan Reynolds, la cui interpretazione è forse l'unico elemento che alimenta la credibilità di un film svuotata di contro dallo stesso svolgersi degli eventi. Buried è il tragico epilogo di un autista che, vittima di un terribile agguato, si risveglia rinchiuso in una cassa di legno sepolta nella sabbia del deserto iracheno. All'interno un telefonino che serve al malcapitato per comunicare con l'esterno e con i rapitori, e trasformare la tragedia umana in un mini reality da trasmettere in mondovisione. Sorvolando su alcuni dettagli che potrebbero minare la necessaria crudezza del racconto (per fortuna salvaguardata dall'ottimo Reynolds), non si può fare a meno di contestare alcuni passaggi - come ad esempio l'improbabile cobra che sbuca dai pantaloni, il mini-rogo alimentato dall'ostaggio per circondare il rettile, la miracolosa fuga di quest'ultimo da foro laterale della cassa. Elementi, questi, che spazientiscono il cinespettatore invece di alimentare la suspence e gli effetti a sorpresa (che per forza di cose sono limitati, svolgendosi la trama unicamente nello stesso luogo, con ristrettezza spazio-temporale).
Da quel momento in poi si perde l'incantesimo di un film che fino ad allora aveva realmente lasciato con il fiato sospeso (forse un po' troppo per i claustrofobici).
Il finale - che certamente non è scontato (negli ultimi minuti, con la sabbia che avanza, sembra addirittura possibile l'impossibile) - non è soddisfacente. Ma forse, per la piega che aveva preso il film, era l'unico che si potesse accettare.
Un film che lasceremo sepolto nella sala in cui l'abbiamo visto.
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calle
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giovedì 21 ottobre 2010
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la bara del terzo millennio
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Da sempre il thriller è il mezzo con cui il cinema elabora e media le paure dell'uomo singolo all'interno della società. Donne sgozzate, serial killer nascosti, cannibali intellettuali sono i prodotti del subconscio collettivo, ogni epoca trova i suoi mostri e ogni arte individua, racconta ed elabora questi mostri al fine di una migliore comprensione delle nostre paure, delle nostre angosce. Se ora guardiamo con un sorriso Bela Lugosi pallido nella sua maschera di cipria o king kong che sfrega il petto sull'empire state building, altrettanto non facciamo quando vediamo qualcuno o qualcosa rinchiuso in uno spazio claustrofobico, a maggior ragione se questo spazio corrisponde alla durata di un film, cioè ad uno spazio temporale.
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Da sempre il thriller è il mezzo con cui il cinema elabora e media le paure dell'uomo singolo all'interno della società. Donne sgozzate, serial killer nascosti, cannibali intellettuali sono i prodotti del subconscio collettivo, ogni epoca trova i suoi mostri e ogni arte individua, racconta ed elabora questi mostri al fine di una migliore comprensione delle nostre paure, delle nostre angosce. Se ora guardiamo con un sorriso Bela Lugosi pallido nella sua maschera di cipria o king kong che sfrega il petto sull'empire state building, altrettanto non facciamo quando vediamo qualcuno o qualcosa rinchiuso in uno spazio claustrofobico, a maggior ragione se questo spazio corrisponde alla durata di un film, cioè ad uno spazio temporale. La trama di "Buried-sepolto" è fin troppo semplice: un uomo, una bara, novanta minuti per uscirne. L'uomo nella bara è però l'uomo del 21° secolo, che ironizza sulla morte, spogliata di ogni sacralità metafisica. La vanità della nostra era è quella di credere di aver eliminato ogni irrazionalità dell'azione, di aver creato un mondo di leggi dentro le quali vivere tipologie di vita rispettose una delle altre, di aver inscatolato in contenitori chiusi i suoi abitanti. Il film, piccolo gioiello indipendente, ci regala una visione della vita moderna ridotta ai minimi oggetti: Paul al risveglio nelle viscere della terra ha un accendino per illuminare lo spazio che lo circonda, un orologio, per misurare il tempo che manca alla sua fine e un cellulare simbolo di una umanità collegata, poliglotta e razionale per chiedere soccorso. Non si deve pensare che ad una povertà scenografica corrisponda una povertà di messa in scena, il film procede alla velocità di un treno, tra rapidi stacchi di montaggio, giochi di luce e ombra e avvicendamenti di supporto di ripresa (ad un certo punto vediamo una ripresa fatta col cellulare) facendoci vedere il mondo con gli occhi di un corpo sdraiato nel suo punto più basso, un vivo che ha la rara possibilità di vedere gli uomini da un punto di vista privilegiato, a metà strada tra il nostro paradiso razionale di creduta felicità e il grande salto che da questo paradiso prima o poi ci toglierà. Cortés ha capito l'importanza imperitura della semplicità nella comunicazione artistica, quindi rende manifesto ogni sua metafora visuale e in uno spazio così ristretto ogni granello di sabbia diventa un oggetto importante, ogni secondo un' ora di discorso. Il film ha tutti gli elementi che ogni gran film deve avere e soprattutto è un ritratto fedele ed accessibile a tutti del tempo della sua produzione.
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misesjunior
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sabato 23 ottobre 2010
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da zdanov a cortés
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"L'Arte proletaria, socialista, deve illuminare al Popolo e educarlo alla verità". Questa "verità" si supponeva detenuta da intellettuali e politici di professione autoproclamati "vanguardia" della Storia". Dai tempi del consolidamento dello stalinismo nell’ex URSS, questo slogan zdanoviano dominò per decadi il lavoro di numerosi artisti e autori in tutti i campi, condannando all'oblio la maggior parte di loro, e lasciando sopravvivere la memoria solo di quei pochi molto bravi, che tra tanta didattica forzata qualcosa di artistico riuscivano comunque a infilare. Qualcosa che andasse oltre la congiuntura politica e le convenienze del momento.
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"L'Arte proletaria, socialista, deve illuminare al Popolo e educarlo alla verità". Questa "verità" si supponeva detenuta da intellettuali e politici di professione autoproclamati "vanguardia" della Storia". Dai tempi del consolidamento dello stalinismo nell’ex URSS, questo slogan zdanoviano dominò per decadi il lavoro di numerosi artisti e autori in tutti i campi, condannando all'oblio la maggior parte di loro, e lasciando sopravvivere la memoria solo di quei pochi molto bravi, che tra tanta didattica forzata qualcosa di artistico riuscivano comunque a infilare. Qualcosa che andasse oltre la congiuntura politica e le convenienze del momento. Forse Cortés, entusiasta neozdanoviano, sarà tra questi?
Per alcuni la guerra contro Saddam sarebbe un peccato del popolo americano. Per altri, meno impietosi, il peccato riguarderebbe soltanto la sua classe dirigente. Entrambi i bandi sono insensibili all’odio espresso dai vari terrorismi, fondamentalismi e dittature varie, per la Civiltà Occidentale, e in particolare per le sue libertà liberali. Anzi, se ne compiacciono, come se in questo odio ci fosse la conferma delle vecchie tesi, più o meno marxiste, sul Colonialismo e (visto che questo sarebbe finito) sul ‘”Imperialismo” dell’Occidente. L’America, imponendo all’Europa l’abbandono delle colonie tra la fine della Prima e della Seconda Guerra Mondiali, favorì la quotazione dell’idea leninista di “imperialismo” (dominio senza governo e presenza militare sul territorio del dominato). Nel linguaggio politico delle sinistre e dei frustrati nazionalisti dei paesi rimasti a mani vuote, l’etichetta permetteva addossare all’America i “peccati” che erano stati loro.
Per questi la guerra in Irak, vista la assenza de armi di sterminio di massa, sarebbe stata fatta (solo) per il petrolio (forse che Saddam non ce l’avrebbe comunque venduto?), e non per un insieme di ragioni geopolitiche (magari discutibili), come per esempio: abbattere un governo criminale in casa, pericoloso per i vicini (invasione del Kuwait) e finanziatore del terrorismo fuori, e intentare l’estensione di forme democratiche e dei diritti umani a una zona del mondo che, con pretesti “culturali” (viva la "differenza") rifiuta la Dichiarazione dei Diritti Umani dell’ONU.
Ma se la guerra fosse stata fatta “solo” per il petrolio, ci sarebbe in questo qualcosa di anormale? Oggi il petrolio a noi serve, eccome!. Forse che oggi sarebbe normale che le guerre si facciano per questioni di opinione, come quelle di religione che un tempo devastarono l’Europa? E’ proprio l’idea del fondamentalismo islamico, secondo cui è naturale e “santo” condurre una guerra di sterminio di lunga durata contro il “corrotto” mondo occidentale.
Malgrado Cortés, possiamo fare di tutto per difenderci?
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franz88
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lunedì 18 ottobre 2010
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buried - il miraggio di quentin tarantino
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90 minuti d'aria, un telefono cellulare, una biro e una domanda nella testa: "perchè a me?"
Così si presenta Buried, film acclamato dalla critica che mostra notevole originalità a livello registico. Film certamente estremo, poichè ambientato all'interno di una bara di legno, i cui limiti vengono modificati durante il film dalla buona regia di Cortes.
Abusata la tematica della guerra in Iraq, verso la quale traspare, non troppo velata, la denuncia per i tanti ostaggi-vittime americani.
Finale abbastanza scontato, capace di lasciare l'amaro in bocca allo spettatore "non-di-genere", magari abituato a imprevedibili colpi di scena.
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90 minuti d'aria, un telefono cellulare, una biro e una domanda nella testa: "perchè a me?"
Così si presenta Buried, film acclamato dalla critica che mostra notevole originalità a livello registico. Film certamente estremo, poichè ambientato all'interno di una bara di legno, i cui limiti vengono modificati durante il film dalla buona regia di Cortes.
Abusata la tematica della guerra in Iraq, verso la quale traspare, non troppo velata, la denuncia per i tanti ostaggi-vittime americani.
Finale abbastanza scontato, capace di lasciare l'amaro in bocca allo spettatore "non-di-genere", magari abituato a imprevedibili colpi di scena.
Rimane comunque un discreto film, nulla a che vedere, però, con pellicole precedenti in cui il tema della sepoltura "alive" era resa in maniera più incisiva (Kill Bill vol. 2, C.S.I - Sepolto Vivo: Quentin Tarantino docet)...
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jimmyfloyd
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mercoledì 20 ottobre 2010
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claustrofobia
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Paul Conroy è un camionista che lavora in Iraq per un'azienda di trasporti americana.Dopo un imboscata da parte di alcuni terroristi perde conoscenza e quando si sveglia si ritrova chiuso in una bara,sepolto insieme ad alcuni oggetti tra cui un telefonino che Paul userà per cercare di salvarsi.Buried è un buon thriller che fa vivere uno dei peggiori incubi,ovvero quello di ritrovarsi sepolti vivi.Una grande interpretazione da parte di Ryan Reynolds e un'ottima ingegnosità nel girare le scene da parte di Rodrigo Cortès nell'intrattenere il pubblico nonostante il film si svolga per 90 minuti in uno spazio ristretto.Le inquadrature non fanno mai capire la vera dimensione in cui è intrappolato il protagonista e a parte qualche discorso paradossale il film non risulta mai noioso.
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Paul Conroy è un camionista che lavora in Iraq per un'azienda di trasporti americana.Dopo un imboscata da parte di alcuni terroristi perde conoscenza e quando si sveglia si ritrova chiuso in una bara,sepolto insieme ad alcuni oggetti tra cui un telefonino che Paul userà per cercare di salvarsi.Buried è un buon thriller che fa vivere uno dei peggiori incubi,ovvero quello di ritrovarsi sepolti vivi.Una grande interpretazione da parte di Ryan Reynolds e un'ottima ingegnosità nel girare le scene da parte di Rodrigo Cortès nell'intrattenere il pubblico nonostante il film si svolga per 90 minuti in uno spazio ristretto.Le inquadrature non fanno mai capire la vera dimensione in cui è intrappolato il protagonista e a parte qualche discorso paradossale il film non risulta mai noioso.Sconsigliato vivamente a chi soffre di claustrofobia!
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critico italiano
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venerdì 31 agosto 2012
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drammatico: nervi e lacrime
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Curiosa pellicola che ci propone un unico attore ed un'unica ambientazione. Nonostante ciò, posso assicurare che la stessa non risulta per nulla monotona. Lo spettatore si immedesima molto facilmente con la vittima del sequestro, condividendone le emozioni. La società internazionale che viene proposta in questo film è semplicemente fonte di disgusto e di nervi. A nessuno importa veramente del sequestro e del protagonista, che si vede addirittura aggredito legalmente dal suo datore di lavoro, simbolo di avidità e consumismo.
Cosa c'è di sbagliato: ci sono prima di tutto una serie di errori. Quelli legati alla cassa sono i più evidenti, ad esempio l'ossigeno sembra infinito, inoltre il fatto che ci sia rete vuol dire che non è molto profondo, e il terreno appena scavato è soffice e non compatto: quindi è possibile con un pò di fatica uscire da sottoterra se si aprisse la bara.
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Curiosa pellicola che ci propone un unico attore ed un'unica ambientazione. Nonostante ciò, posso assicurare che la stessa non risulta per nulla monotona. Lo spettatore si immedesima molto facilmente con la vittima del sequestro, condividendone le emozioni. La società internazionale che viene proposta in questo film è semplicemente fonte di disgusto e di nervi. A nessuno importa veramente del sequestro e del protagonista, che si vede addirittura aggredito legalmente dal suo datore di lavoro, simbolo di avidità e consumismo.
Cosa c'è di sbagliato: ci sono prima di tutto una serie di errori. Quelli legati alla cassa sono i più evidenti, ad esempio l'ossigeno sembra infinito, inoltre il fatto che ci sia rete vuol dire che non è molto profondo, e il terreno appena scavato è soffice e non compatto: quindi è possibile con un pò di fatica uscire da sottoterra se si aprisse la bara. Alla fine lui quindi potrebbe uscire. Inoltre anche la batteria del telefono è piuttosto irreale, ma non così tanto quanto l'ossigeno. Il serpente passa tranquillamente attraverso la terra e l'uomo no? E perchè? Inoltre le continue crisi del protagonista e le luci random fanno innervosire i meno tolleranti.
Scena migliore: la finale che è una vera e propria iniezione di adrenalina. Il thrilling è alle stelle.
Scena peggiore: l'iniziale. Tutti quei lamenti e le luci caotiche non fanno altro che innervosire lo spettatore.
Giudizio finale: se fosse da 1 a 10, sarebbe circa 5 la valutazione, quindi decido per due stelle e non tre, perchè non è sufficiente l'impegno dietro questa pellicola da meritare tre. L'unica cosa che mi spingerebbe a passare a tre è la morale e i principi dietro questa storia, ma non è molto serio giudicare così una pellicola.
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metacritic
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lunedì 18 ottobre 2010
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ridotto il contenuto ma molteplici gli spunti
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passato il disagio iniziale il film si sviluppa mostrando quelle che sono le dinamiche dei contractors in un paese straniero. Il numero da chiamare in caso di necessità, i rimbalzi di linea, le promesse mai mantenute, la formazione del personale da parte delle aziende le, la firma apposta su documenti i quali prevedono clausole che non sono altro che vere e proprie trappole mortali. Per chi? Per coloro i quali cercano attività ad alta retribuzione facendosi carico di lavori a bassa qualifica per poter sostenere le famiglie rimaste in patria. La clausola che prevede di non "socializzare" troppo con gli altri dipendenti, la freddezza e noncuranza nelle risposte degli interlocutori al telefono di parte americana, la ricerca continua di indicazioni attraverso iter di domande prestabilite, insomma la routinizzazione delle attività umane.
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passato il disagio iniziale il film si sviluppa mostrando quelle che sono le dinamiche dei contractors in un paese straniero. Il numero da chiamare in caso di necessità, i rimbalzi di linea, le promesse mai mantenute, la formazione del personale da parte delle aziende le, la firma apposta su documenti i quali prevedono clausole che non sono altro che vere e proprie trappole mortali. Per chi? Per coloro i quali cercano attività ad alta retribuzione facendosi carico di lavori a bassa qualifica per poter sostenere le famiglie rimaste in patria. La clausola che prevede di non "socializzare" troppo con gli altri dipendenti, la freddezza e noncuranza nelle risposte degli interlocutori al telefono di parte americana, la ricerca continua di indicazioni attraverso iter di domande prestabilite, insomma la routinizzazione delle attività umane.
Dall'altra parte il tentativo di portare la vicenda sotto i riflettori dei media, di spettacolarizzarla, come d'altro canto il divieto assoluto di arrivare ai media da parte delle istituzioni.
Accuse (dovute) a Blackwater, l'agenzia paramilitare di Bush e un buon finale per un film piccolo solo nella location.
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il sora
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lunedì 18 ottobre 2010
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senza fiato!!!
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Sono proprio contento. Quando ci si trova di fronte ad un lavoro, nuovo, rischioso e senza troppe premesse allettanti è sempre facile criticare e sfogarsi il più possibile. Meno facile è prenderne le difese. Ma è quasi un’eccezione risultarne pienamente soddisfatti. Bè, quest’ultima casistica mi ha colto piacevolmente dopo la visione del film Buried. Il soggetto è minimalista: un uomo rinchiuso in una bara, da solo, per 90 minuti, senza nemmeno un minimo cambiamento di location, in possesso di un solo accendino, coltello e pennarello. Ecco le basi di questa ardua sfida che il regista ha vinto alla grande. Già, tale Rodrigo Cortès, uno spagnolo amante del cinema ed autodidatta. Ebbene, quest’uomo ha il pregio non solo di aver dato vita ad un film piacevole e divertente, ma soprattutto interessante dal punto di vista stilistico, attuando innumerevoli movimenti di macchina degni del suo maestro Alfred Hitchock, in uno spazio assai ristretto come appunto si presenta quello di una bara.
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Sono proprio contento. Quando ci si trova di fronte ad un lavoro, nuovo, rischioso e senza troppe premesse allettanti è sempre facile criticare e sfogarsi il più possibile. Meno facile è prenderne le difese. Ma è quasi un’eccezione risultarne pienamente soddisfatti. Bè, quest’ultima casistica mi ha colto piacevolmente dopo la visione del film Buried. Il soggetto è minimalista: un uomo rinchiuso in una bara, da solo, per 90 minuti, senza nemmeno un minimo cambiamento di location, in possesso di un solo accendino, coltello e pennarello. Ecco le basi di questa ardua sfida che il regista ha vinto alla grande. Già, tale Rodrigo Cortès, uno spagnolo amante del cinema ed autodidatta. Ebbene, quest’uomo ha il pregio non solo di aver dato vita ad un film piacevole e divertente, ma soprattutto interessante dal punto di vista stilistico, attuando innumerevoli movimenti di macchina degni del suo maestro Alfred Hitchock, in uno spazio assai ristretto come appunto si presenta quello di una bara. L’atmosfera così non si fa nemmeno troppo claustrofobica, ma anzi in continuo movimento. Il film è un susseguirsi di adrenalina, pathos, tensione, tristezza, compassione. Insomma un vero crogiuolo di emozioni. Complice di tutto questo è un ottimo Ryan Reynolds che lavorando tanto sulla mimica facciale quanto sul corpo riesce a rendere non veritiero, ma reale, un personaggio che nasconde diverse insidie interpretative, senza mai entrare nel patetico. Certo, qualche difetto c’è, qualche passaggio un po’ drastico ma più che altro un finale piuttosto prevedibile. Pazienza. Quello che alla fine rimane è la capacità di questa troup di arrivare al cuore e togliere il fiato con pochi mezzi.
Regalando una lezione di stile e di passione che fa bene al cinema. E anche agli spettatori.
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