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Buried: Il diavolo si nasconde nei dettagli

Intervista al regista Rodrigo Cortés.
di Gabriele Niola

Reazioni primordiali
Rodrigo Cortés 1973, Ourense (Spagna). Regista del film Buried - Sepolto.

mercoledì 6 ottobre 2010 - Incontri

Reazioni primordiali
Rodrigo Cortés ha un unico grande faro di cui parla sempre: Hitchcock. Come sir Alfred è rigoroso ed inventivo all'interno dei meccanismi precisi di Buried, tutto girato in una cassa, e come lui è una persona amabile, dallo humor sferzante, che non sembra prendere nulla sul serio. Poi però, quando si stimolano in lui certi nervi, certe corde da appassionato di cinema prima ancora che da regista, esce fuori un mondo di idee profonde e radicate, assieme a una grande paura.
"Spesso mi hanno chiesto se avessi mai avuto dubbi nel tentare quest'impresa, voglio dire girare tutto un film in una cassa, ma non li ho mai avuti, perché se avessi dubitato anche solo una volta avrei aperto una piccola crepa nella mia mente che, alimentata dalla paura, si sarebbe allargata e sarei rimasto preda del terrore. Non dovevo dubitare ma solo fidarmi della sceneggiatura. Quando l'ho letta, intuitivamente ho sentito che funzionava, l'ho sentito nella pancia, poi dopo si comincia ad usare la testa, ma è un altro paio di maniche. Anche la gente reagisce prima di tutto con il corpo e solo dopo pensa. E io volevo generare negli altri quella stessa esatta reazione primordiale che avevo sentito".
Eppure, scavando, un'esitazione, un piccolo momento di dubbio c'è stato: "Si, solo uno" ride "Il giorno prima di iniziare a girare ero solo sul set, da solo con una delle casse che poi abbiamo usato per le riprese. Ci ho guardato dentro dal lato corto e vedendo quello spazio angusto mi sono chiesto davvero come avrei fatto. Ho provato una piccola vertigine e mi sono fermato subito promettendomi di non pensarci più!".

Un attore diretto "dalla punta dei capelli fino alle unghie"
"Non sei il primo a chiedermi come mai io abbia scelto Ryan Reynolds" dice Rodrigo Cortés sgranando gli occhi di fronte alla mia perplessità "ma non capisco perché me lo chiediate, sembra che non abbiate mai visto i suoi film! È sempre grandissimo, ha un timing perfetto ed è capace di tirare fuori le emozioni più profonde a partire dalle cose più piccole. Ryan non recita mai, semplicemente è!".
Si viene quindi a scoprire che Ryan Reynolds è stata la prima scelta immediatamente e che, nonostante l'amore per la sceneggiatura, era reticente ad accettare, perché non credeva potesse venire un buon film. È stato necessario inviargli il primo film di Rodrigo Cortés e una lettera motivazionale di quelle che convincerebbero chiunque: "Quaranta minuti dopo l'invio della mail mi ha chiamato e mi ha detto che ci stava!".
Con pochi giorni a disposizione, non c'era spazio né per l'improvvisazione né per convenevoli, così proprio Ryan Reynolds il primo giorno ha preso di petto Cortés dicendogli: "Tu sei il regista e non voglio sapere altro. Dimmi che devo fare. Non perdere tempo a spiegarmi le cose, io farò tutto quello che vuoi, puoi dirigere tutte le parti del mio corpo dalle unghie ai capelli, se qualcosa non ti piace dillo subito che ti fa schifo e io ti darò tutto fino all'ultima goccia di sangue". Ed è stato davvero così? "Si!" ride "L'ho preso alla lettera!".
Siccome tutte le interazioni con l'esterno avvengono tramite telefono, una parte essenziale del lavoro era sui piani d'ascolto, sulle espressioni tenute mentre qualcun altro parla, non si poteva dunque fare finta, occorreva che durante le riprese Ryan Reynolds parlasse davvero con qualcuno "ma non potevamo nemmeno avere tutti gli altri attori sul set, sarebbe stato troppo costoso! Avevamo una sola attrice che faceva tutti i personaggi, e nemmeno lei stava proprio sul set, perché dovevamo registrare l'audio di Ryan a cui poi aggiungere le voci degli altri attori. Così abbiamo messo questa donna - che poi era il coach che negli ultimi anni ha seguito Ryan - in una cabina con un microfono, e Ryan aveva nell'orecchio un minuscolo auricolare per sentirla, un oggetto da spionaggio, voglio dire non fatto per il cinema. Era così piccolo che era difficilissimo da recuperare nell'orecchio. In questa modo interagiva con lei, potevano sovrapporsi, urlare e fare quello che volevano".

L'impresa Buried, un thriller con i tempi da commedia
La prima cosa che viene in mente vedendo Buried o anche solo sentendo parlare dell'idea di girare un film su un uomo chiuso in una cassa è quanto sia stato difficile pianificare un numero tale di variazioni in poco spazio, tali da mantenere viva l'attenzione dello spettatore. In realtà, dalla prospettiva di Rodrigo Cortés la questione è un'altra: "Sai qual è stata la vera impresa di questo film?" mi dice in un momento di sincerità "Non tanto girarlo in una cassa, quello in fondo è pianificazione, e poi avevo una sceneggiatura fantastica in cui c'era già tutto. L'impresa è stata fare in 17 giorni quello che solitamente si fa in 6 settimane. Marciavo a 35 scene al giorno, un'infinità! Ho dovuto girare tenendo in mente come avrei poi montato il tutto per risparmiare anche il tempo del montaggio [solo 5 settimane ndr]". Ma perché tutta questa rapidità? Questioni di budget? "Non solo, è che Ryan Reynolds aveva molti impegni e poteva concedermi solo 17 giorni, un buco tra due lavori più grandi. Inoltre dovevamo riuscire a chiudere il film in tempo per le selezioni del Sundance Film Festival. Ci siamo riusciti e arrivati lì è stato tutta una discesa. Devi capire che a Marzo ho letto per la prima volta lo script, a Giugno ho convinto Ryan, a Luglio abbiamo girato a Madrid e a fine Agosto era fatta".
Eppure Buried non sembra assolutamente un film girato in maniera affrettata, anzi! Ha una complessità visiva oltre che di sceneggiatura che sorprendono. Lo stesso Cortés è ben conscio di come, pur essendo un thriller, il film si svolga con i tempi della commedia: "È come Fuori orario o L'appartamento, un film fatto di momenti alti e bassi, accuratamente gestiti". Ma come tutti i thriller, il film ha il suo climax nello straordinario e inanticipabile finale. È sempre stato quello fin dall'inizio? "Si sempre, Buried ha senso solo in questa maniera. Sai, non devi dare al pubblico quello che vuole ma quello che non sa di volere. Non bisogna cavalcare i suoi sentimenti, altrimenti si finisce a fare il solito film che tutti dimenticheranno una volta usciti, catalogandolo come uno dei tanti. Io volevo che rimanesse impresso nella testa della gente".
Se lo script era di ferro e intoccabile, qual è stato il tuo lavoro? "Non ho mai riscritto il film, ho solo riempito lo spazio che separa la sceneggiatura dalla verità. Il diavolo si annida sempre nei dettagli e in un film come questo, in cui ci sono pochissimi elementi, ogni piccolo dettaglio è una novità, ogni ombra è un mondo. Devi controllare ogni dettaglio per portare quanto più vicino possibile all'eccellenza un prodotto di partenza buono".

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