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mercoledì 1 settembre 2010
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film anti-bellico sull'invisibile guerra irachena
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Il sergente Will (Ben Foster), tornato da poco dall'Iraq, ed il capitano Tony (Woody Harrelson) hanno il gravoso compito di comunicare la caduta dei soldati al fronte alle rispettive famiglie. All'apparenza incompatibili, i due stringono una sincera amicizia che li aiuta a confrontarsi con le proprie difficoltà personali: l'alcolismo di Tony e la sofferta relazione con l'ex-fidanzata Kelly (Jena Malone) per Will, il quale cerca intanto di costruire un nuovo rapporto, complesso e fragile, con Olivia (Samantha Morton).
Il regista debuttante Oren Moverman firma un intenso film anti-bellico (anche se non dichiaratamente) sull'invisibile guerra irachena (finalmente sottratta all'anestetica idealizzazione dei media): attinge, rielaborandolo con intelligenza, al repertorio classico dell'alienazione del reduce (ben codificato nella vasta filmografia post-Vietnam, da Il Cacciatore a Taxi Driver): la morte come destino comune per chi conosce gli orrori del fronte (fisica per i caduti, morale e psicologica per i sopravvissuti), l'inevitabilità di tornare cambiati nell'intimo e devastati nell'animo, l'incapacità di rinserirsi in una vita comunemente ordinaria, l'incomunicabilità del male, il senso di colpa di chi si è salvato.
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Il sergente Will (Ben Foster), tornato da poco dall'Iraq, ed il capitano Tony (Woody Harrelson) hanno il gravoso compito di comunicare la caduta dei soldati al fronte alle rispettive famiglie. All'apparenza incompatibili, i due stringono una sincera amicizia che li aiuta a confrontarsi con le proprie difficoltà personali: l'alcolismo di Tony e la sofferta relazione con l'ex-fidanzata Kelly (Jena Malone) per Will, il quale cerca intanto di costruire un nuovo rapporto, complesso e fragile, con Olivia (Samantha Morton).
Il regista debuttante Oren Moverman firma un intenso film anti-bellico (anche se non dichiaratamente) sull'invisibile guerra irachena (finalmente sottratta all'anestetica idealizzazione dei media): attinge, rielaborandolo con intelligenza, al repertorio classico dell'alienazione del reduce (ben codificato nella vasta filmografia post-Vietnam, da Il Cacciatore a Taxi Driver): la morte come destino comune per chi conosce gli orrori del fronte (fisica per i caduti, morale e psicologica per i sopravvissuti), l'inevitabilità di tornare cambiati nell'intimo e devastati nell'animo, l'incapacità di rinserirsi in una vita comunemente ordinaria, l'incomunicabilità del male, il senso di colpa di chi si è salvato. Ma ciò che arricchisce il film di una dimensione più profonda, caricandolo di emotività senza però scadere nei patetismi, è quell'entrare, un po'intrusivo ma toccante, nell'intimità dolorosa di famiglie sconvolte dalla tragedia, dipingendone con tratto garbato e rispettoso la galleria di reazioni che vanno dalla disperazione cieca, al rifiuto rabbioso, dall'incredulità sgomenta, al cordoglio attonito. E'un mondo di anziani, donne e bambini che la mancanza di uomini fa sembrare più indifeso e vulnerabile e che si trova a dover elaborare, con le proprie sole forze, la sconvolgenza traumatica del lutto. La forza rivelatoria di alcune sequenze (su tutte, quella disturbante e terribile dell'irruzione dei due, ubriachi e malridotti, al matrimonio di Kelly) e la pregnanza dei dialoghi, la verosimiglianza psicologica e le rarefatte scaglie di ironia ne fanno un film dall'enorme potenziale, purtroppo in (piccola) parte tradito da qualche eccesso di scrittura (il padre irascibile e stizzoso che va a chiedere scusa, il finale vagamente consolatorio), probabilmente inserito per venire incontro ai gusti del grande pubblico. Ma il risultato finale è comunque di invidiabile riuscita.
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dario
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mercoledì 4 agosto 2010
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fiacco
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L'idea si esaurisce presto in stanchi stereotipi intorno ai quali la sceneggiatura gira a vuoto, cercando vanamente un senso costruttivo di quel che viene denunciato. Discorso complesso che si risolve in una serie di scenette di maniera, con tante lacrime finte, teatrali, e reazioni abbondantemente scontate. Qualcosa viene salvato dalla ottima Samantha Morton, esemplare nel delineare la sofferenza umana: un piccolo raggio di sole fra tanta disperazione d'accatto, fra tanta involuzione.
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eugenio
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domenica 9 maggio 2010
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gli angeli della morte
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[... La vita civile è per gente che non ha visto la m****, tu la m**** l'hai gia' vista non ti è possibile non vederla piu'...]
Su questa affermazione del capitano Tony Stone interpretato da un Woody Harrelson, al suo splendore ( e giustamente candidato all'oscar), per fulgido esempio di cinismo, causticità e freddezza col giovane sergente William Montgmery (Ben Foster) è incentrato il nuovo film del regista Moverman.
La trama risulta semplice e lineare: un capitano e un sergente dell'esercito americano hanno il compito di informare direttamente e tempestivamente le famiglie dei militari caduti durante la guerra in Iraq. La missione, di natura delicata e difficile, porta i due protagonisti al confronto diretto con le reazioni piu' svariate: c'e' chi piange disperatamente, chi tenta l'aggressione (Steve Buscemi) accusando l'esercito e lo Stato di essere loro la causa dei decessi, chi, al contrario, palesa un atteggiamento di silenzio passivo, quasi incantato dalle rigide e precompilate parole libresche del capitano, arrivando anche a ringraziare i due "messaggeri di morte" .
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[... La vita civile è per gente che non ha visto la m****, tu la m**** l'hai gia' vista non ti è possibile non vederla piu'...]
Su questa affermazione del capitano Tony Stone interpretato da un Woody Harrelson, al suo splendore ( e giustamente candidato all'oscar), per fulgido esempio di cinismo, causticità e freddezza col giovane sergente William Montgmery (Ben Foster) è incentrato il nuovo film del regista Moverman.
La trama risulta semplice e lineare: un capitano e un sergente dell'esercito americano hanno il compito di informare direttamente e tempestivamente le famiglie dei militari caduti durante la guerra in Iraq. La missione, di natura delicata e difficile, porta i due protagonisti al confronto diretto con le reazioni piu' svariate: c'e' chi piange disperatamente, chi tenta l'aggressione (Steve Buscemi) accusando l'esercito e lo Stato di essere loro la causa dei decessi, chi, al contrario, palesa un atteggiamento di silenzio passivo, quasi incantato dalle rigide e precompilate parole libresche del capitano, arrivando anche a ringraziare i due "messaggeri di morte" . E' il caso dell'oramai matura (sia psicologicamente che fisicamente) Samantha Morton, vedova, con figlio a carico, di un soldato ucciso durante un conflitto a fuoco, la cui esistenza tenderà a intrecciarsi con quella del giovane sergente, innamoratosi della donna.
Il film scorrerà, da questo punto, in avanti su due piani paralleli: da un lato, vediamo l'interesse mostrato dal giovane sergente verso la neo-vedova, dall'altro i dialoghi efficaci e ben costruiti tra il duro, veterano e asettico Woody Harrelson e il passionale/emotivamente coinvolto Tony Stone. Tali piani tendono a concatenarsi intarsiandosi magistralmente in una combinazione felice le cui solidità dei protagonisti tenderanno a incrinarsi nel bellissimo confronto liberatorio finale.
Nonostante la ripetitività di alcune scene (il film tende ad essere forse un po' troppo monotono nelle fasi di annunciazione della tragica notizia), "Oltre le regole" risulta un prodotto degno di nota, nel panorama americano, mostrando uno spaccato del difficile ruolo dei messaggeri di morte che si trovano a recitare come marionette stralci teatrali stabiliti dal grande esercito americano. Un'enfasi forse troppo marcata in alcune scene, la banalizzazione della visione sessuale del militare americano ( di cui Harrelson è il degno portatore) tra locali, rapporti, e bevute, limitano l'efficacia della pellicola, che tragicamente perfetta, riflette e fa riflettere su diversi aspetti post-bellici,forse non ancora pienamente ed esaustivamente affrontati cinematograficamente: il dolore per la perdita dei cari, l'ottusità di recitazioni fittizie, ma, soprattutto, l’insensatezza di una guerra che uccide non solo i soldati, ma anche le loro famiglie.
Una sorta di "The Hurt Locker" rovesciato laddove le schizofreniche ed esaltate azioni dei pompati militari americani del premio oscar Bigelow, sono specchiate dalla fragilità d'animo delle famiglie, i cui cari sono uccisi dal male piu' oscuro che l'umanità abbia incontrato: la guerra.
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marezia
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sabato 1 maggio 2010
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redazione, perché no?
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La mia considerazione aveva un seguito che è il seguente: "Sarò incompetente ma... a me il titolo italiano non solo non dispiace ma direi che calza a pennello perché punta dritto sulla sostanza: il rispetto dell'etichetta e cioè della forma per preservarsi dall'emotività. E' un titolo poi che non getta alcun seme di patetismo o pietismo; davvero, mi domando come Cabona l'avrebbe tradotto, "The messanger" e basta? Che fantasia!
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100spindle
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venerdì 30 aprile 2010
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oltre le regole ma lentamente
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TEMA DIFFICILE, SITUAZIONI COINVOLGENTI E PERSONAGGI VERI. SE CI FOSSE STATO UN PO' DI RITMO IN PIU' SAREBBE STATO UN CAPOLAVORO. INVECE ALLA FINE SI LASCIA IL CINEMA CON UN RESPIRO DI SOLLIEVO; TROPPE PAUSE E DIALOGHI APPESI AD UN FILO.
DIFFICILMENTE SAREBBE STATO POSSIBILE FARE QUALCOSA DI PIU' SENZA BANALIZZARE UNA ARGOMENTO POCO NOTO DAI RISVOLTI COSI' INTERIORI. BRAVO MOVERMAN PER IL CORAGGIO.
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marezia
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giovedì 29 aprile 2010
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p.s.
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Il PEGGIORE della compagnia chi è? Indovinate... CABONA! La considerazione CRETINA non si è fatta attendere come al solito comparendo già nella prima riga: la parola "menopausa" la applicasse a qualche sua congiunta piuttosto! Come si fa!
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(di marezia)
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marezia
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giovedì 29 aprile 2010
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lucky red, grazie di esistere
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CAPOLAVORO ancora più perfetto di "Brothers" perché più risolto nelle dinamiche interiori, le quali vengono estrinsecate da dialoghi STREPITOSI e da facce in linea con l'idea stessa del soldato: tirate e pensose, con un peso da trascinare o una colpa da espiare ma sempre e comunque in bilico tra presente e passato. Senza dire chi abbia accusato di più e chi di meno dei due i colpi della guerra (anche perché è bene che del film non si racconti TUTTO), la cosa essenziale che penso sia utile sottolineare è che si tratta di un film sulla guerra in toto SENZA RETORICA. Molto parlato e ottimamente recitato, davvero UNICO.
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marezia
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giovedì 29 aprile 2010
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lucky red, grazie di esistere
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CAPOLAVORO ancora più perfetto di "Brothers" perché più risolto nelle dinamiche interiori, le quali vengono estrinsecate da dialoghi STREPITOSI e da facce in linea con l'idea stessa del soldato: tirate e pensose, con un peso da trascinare o una colpa da espiare ma sempre e comunque in bilico tra presente e passato. Senza dire chi abbia accusato di più e chi meno dei due i colpi della guerra (anche perché è bene che del film non si racconti TUTTO), la cosa essenziale che penso sia utile sottolineare è che si tratta di un film sulla guerra in toto SENZA RETORICA. Molto parlato e ottimamente recitato, davvero UNICO.
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laulilla
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mercoledì 28 aprile 2010
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la guerra ai tempi della tv
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In anticipo di tre mesi, torna dall'Iraq il sergente William Montgomery, per una brutta ferita a un occhio. L'esercito americano, perciò, gli propone di saldare il suo debito contrattuale occupando il tempo residuo in una missione delicata e difficile: notificare di persona ai congiunti dei soldati uccisi durante la guerra irachena l'avvenuto decesso del loro familiare, con una breve comunicazione, senza lasciare spazio al proprio coinvolgimento emotivo. L'efficienza della burocrazia americana ha previsto, allo scopo, un regolamento particolareggiato, che presenta un minuto elenco delle cose che si non devono fare e di quelle vanno assolutamente fatte, non preoccupandosi affatto che le ragioni del cuore possano confliggere con quelle delle regole.
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In anticipo di tre mesi, torna dall'Iraq il sergente William Montgomery, per una brutta ferita a un occhio. L'esercito americano, perciò, gli propone di saldare il suo debito contrattuale occupando il tempo residuo in una missione delicata e difficile: notificare di persona ai congiunti dei soldati uccisi durante la guerra irachena l'avvenuto decesso del loro familiare, con una breve comunicazione, senza lasciare spazio al proprio coinvolgimento emotivo. L'efficienza della burocrazia americana ha previsto, allo scopo, un regolamento particolareggiato, che presenta un minuto elenco delle cose che si non devono fare e di quelle vanno assolutamente fatte, non preoccupandosi affatto che le ragioni del cuore possano confliggere con quelle delle regole. Il sergente William, però, a differenza del suo accompagnatore Tony Stone, ha avuto una breve, anche se tremenda, esperienza della guerra e non si è quindi disumanizzato a sufficienza per accettare in pieno la logica delle regole che dovrebbe attuare: il dolore del prossimo è suo; così come sono suoi lo strazio degli uomini e delle donne che ricevono una notizia così tragica da sconvolgere la loro vita, i loro sogni, i loro progetti. A differenza del suo collega, a William non piace il deserto degli affetti e delle illusioni e crede che gli sia possibile progettare il proprio futuro, magari lontano dall'esercito, e vicino alle persone che potrebbero un giorno amarlo.
Il film, che mi è sembrato molto bello, a mio avviso presenta almeno due motivi di riflessione: in primo luogo la guerra non è solo strazio e dolore degli inermi che ne subiscono le conseguenze, ma è sofferenza di tutti, dei vinti e dei vincitori, perché è impossibile tornare dalla guerra senza ferite alla propria dignità, alla propria anima, sia che queste ferite ancora facciano male nel corpo e nella mente, come in William, sia che vengano cancellate da una sopravvenuta indifferenza che è deserto del cuore, aridità che non appaga, come in Tony. La guerra, inoltre, (ed è l'altro motivo di riflessione) può essere accettata dalle popolazioni solo se non si permette all'informazione di fare il suo mestiere, raccontandola per quello che è, sul campo degli orrori e del sangue e nelle conseguenze dolorose che provoca nelle persone. L'efficienza dell'applicazione del regolamento per la notifica diventa lo strumento predisposto per scongiurare il rischio che le notizie più tragiche arrivino prima attraverso i mass-media, perché un lutto familiare si moltiplicherebbe in un lutto di tutti e probabilmente, alla lunga, come aveva già insegnato l'esperienza in Vietnam, in un rifiuto di massa della guerra. Chi deve applicare il regolamento, non per nulla deve essere reperibile, attraverso un cerca persone, in qualsiasi ora del giorno e della notte, per recarsi immediatamente a comunicare l'evento funesto. Un film da vedere, minimalista nei toni, ma molto efficace nel diffondere un alto messaggio di pace, privo di enfasi retorica. Bravissimi gli attori.
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spike
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mercoledì 28 aprile 2010
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usa: la guerra in casa
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Ottimo film, 15 minuti in meno lo avrebbero reso un capolavoro: la tensione che percorre la vicenda si sfalda verso la metà (per intenderci quando i due soldati partono per la meritata vacanza) per riprendersi prima della fine. Una sceneggiatura da far studiare agli autori italiani, ottime interpretazioni dei tre attori protagonisti, uno su tutti Ben Foster, regia da manuale. Insomma, un gran film che come capita spesso sta passando inosservato nelle sale italiane!!!!
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