lorenzo folini
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giovedì 17 agosto 2006
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lights in the dusk, la firma di un autore
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Nessun film di Kaurismaki può mai passare inosservato: in ognuno si ritrovano dei tocchi, dei guizzi o delle pennellate che rendono il suo cinema unico e inimitabile.
Non fa eccezione il bellissimo Lights in the dusk (le luci della sera), in cui il regista finlandese porta al massimo livello la sua poetica e il suo stile: pochissime parole, lunghi piano-sequenza ritmati solo qua e la da una tenue musica, e poi magari squarci di violenza o di passione, perle disperse quasi per caso.
Aki Kaurismaki è un poeta, e come tutti i poeti sicuramente non trova ascolto presso il pubblico della gente comune; per guardare una delle sue opera bisogna immergersi in un mondo particolare, malinconico, triste ma allo stesso tempo dannatamente divertente, un po come lui in persona, sempre pronto a scherzare sulla sua presunta ubriachezza perenne, e a criticare duramente i suoi film.
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Nessun film di Kaurismaki può mai passare inosservato: in ognuno si ritrovano dei tocchi, dei guizzi o delle pennellate che rendono il suo cinema unico e inimitabile.
Non fa eccezione il bellissimo Lights in the dusk (le luci della sera), in cui il regista finlandese porta al massimo livello la sua poetica e il suo stile: pochissime parole, lunghi piano-sequenza ritmati solo qua e la da una tenue musica, e poi magari squarci di violenza o di passione, perle disperse quasi per caso.
Aki Kaurismaki è un poeta, e come tutti i poeti sicuramente non trova ascolto presso il pubblico della gente comune; per guardare una delle sue opera bisogna immergersi in un mondo particolare, malinconico, triste ma allo stesso tempo dannatamente divertente, un po come lui in persona, sempre pronto a scherzare sulla sua presunta ubriachezza perenne, e a criticare duramente i suoi film.
Oltre a tutto questo il suo ultimo (capo)lavoro è un grande omaggio a Charlie Chaplin e ad un modo di fare cinema oggi scomparso.
Oltre ad essere quasi muta, la vicenda è segnata dalla desolazione, dalla solitudine e dall'incomunicabilità che domina la nostra società.
Il protagonista Koistinen è un reietto, invisibile alla stragrande maggioranza della gente; subisce ogni tipo di angheria e disavventura, ma proprio in extremis, quasi sui titoli di coda, troverà la speranza e (forse) anche l'amore.
Un'altra grande prova di un grande artista, fallo ancora Aki....
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silvana
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giovedì 1 febbraio 2007
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solitudine!
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Un film di troppi inspiegabili silenzi e di tante efferate malvagità.....un gelido accanimento su un uomo semplice che accetta la solitudine, afferma e percorre il suo cammino di vita con dignità e discrezione,soltanto la delicata presenza della donna del chiosco GRILLI offre uno spiraglio di luce in una totale assenza di comunicazione. La regia è come sempre sapiente: le immagini rafforzano i significati filmici,la musica con le diverse accentuazioni sonore irrompe e spezza il circostante mondo monocorde.
[+] presenze sensibili.
(di alberto)
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(di volpe)
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laura figueroa
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lunedì 15 gennaio 2007
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le luci della sera
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La chiave del film sta nella voce radiofonica che racconta la natura dello scorpione.
Una famosa favoletta racconta che uno scorpione chede alla rana di poterle montare in groppa per attraversare il fiume promettendole di non pungerla, invece poi, una volta raggiunto il suo scopo, la punge. Allo scorpione non serve una giustificazione, dice semplicemente: "Pungere è nella mia natura".
Il regista non ci rivela i motivi che portano il protagonista ad essere tanto impassibile o i suoi nemici tanto accaniti contro di lui, e lo spettatore rimane senza le motivazioni che lo indurrebbero a giustificare alcuni comportamenti umani, che invece durante il film non vengono spiegati da un antefatto.
L'uomo, per essere vittima o carnefice ha bisogno di un pretesto o l'essere vittima o carnefice è nel
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La chiave del film sta nella voce radiofonica che racconta la natura dello scorpione.
Una famosa favoletta racconta che uno scorpione chede alla rana di poterle montare in groppa per attraversare il fiume promettendole di non pungerla, invece poi, una volta raggiunto il suo scopo, la punge. Allo scorpione non serve una giustificazione, dice semplicemente: "Pungere è nella mia natura".
Il regista non ci rivela i motivi che portano il protagonista ad essere tanto impassibile o i suoi nemici tanto accaniti contro di lui, e lo spettatore rimane senza le motivazioni che lo indurrebbero a giustificare alcuni comportamenti umani, che invece durante il film non vengono spiegati da un antefatto.
L'uomo, per essere vittima o carnefice ha bisogno di un pretesto o l'essere vittima o carnefice è nella sua natura?
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marino
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mercoledì 17 gennaio 2007
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tristezza poetica.....
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Tristezza poetica è la sensazione che lascia allo spettatore la visione di questo ottimo film dal sapore antico...Ho vissuto sicuramente più di altri, in prima persona, la depressa vita di Kostinen in quanto, attualmente, faccio lo stesso lavoro... Stesso genere di esistenza, solitaria ed emarginata da tanti, colleghi compresi, esasperata oltretutto dai quartieri in cui è ambientato il film, freddi e squallidi come ogni periferia di città del mondo...Non avevo mai visto prima films di Kaurismaki e, nonostante la bellezza di certe inquadrature e il realismo di certe atmosfere, la poesia di certe inquadrature e l'umanità dei suoi personaggi, penso che difficilmente completerò la sua nota "trilogia" visto il disorientamento lasciato in me e nella maggior parte del pubblico presente in sala.
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Tristezza poetica è la sensazione che lascia allo spettatore la visione di questo ottimo film dal sapore antico...Ho vissuto sicuramente più di altri, in prima persona, la depressa vita di Kostinen in quanto, attualmente, faccio lo stesso lavoro... Stesso genere di esistenza, solitaria ed emarginata da tanti, colleghi compresi, esasperata oltretutto dai quartieri in cui è ambientato il film, freddi e squallidi come ogni periferia di città del mondo...Non avevo mai visto prima films di Kaurismaki e, nonostante la bellezza di certe inquadrature e il realismo di certe atmosfere, la poesia di certe inquadrature e l'umanità dei suoi personaggi, penso che difficilmente completerò la sua nota "trilogia" visto il disorientamento lasciato in me e nella maggior parte del pubblico presente in sala.....
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eugenio
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sabato 6 luglio 2013
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il commovente ritratto di un vinto
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Già il titolo mette in guardia l’attento spettatore: un riferimento troppo evidente a delle “luci” lascia presagire dei capolavori indiscussi del maestro del cinema muto; conoscendo poi il regista, il finlandese Kaurismaki, la sottile intuizione si tramuta presto in ovvia certezza.
Koistinen è un guardiano notturno di un centro commerciale di una sterile Helsinki, vive solo, senza amici e senza aver mai conosciuto l’amore. E’ sensibile, cerca di aiutare chi soffre ma è incompreso e schernito dai colleghi e dalle donne. Finchè si innamora di una bella bionda inconsapevole che è l’amante di un boss senza scrupoli incaricata di sedurre l’ingenuo guardiano per favorire il colpo alla gioielleria da questi sorvegliata.
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Già il titolo mette in guardia l’attento spettatore: un riferimento troppo evidente a delle “luci” lascia presagire dei capolavori indiscussi del maestro del cinema muto; conoscendo poi il regista, il finlandese Kaurismaki, la sottile intuizione si tramuta presto in ovvia certezza.
Koistinen è un guardiano notturno di un centro commerciale di una sterile Helsinki, vive solo, senza amici e senza aver mai conosciuto l’amore. E’ sensibile, cerca di aiutare chi soffre ma è incompreso e schernito dai colleghi e dalle donne. Finchè si innamora di una bella bionda inconsapevole che è l’amante di un boss senza scrupoli incaricata di sedurre l’ingenuo guardiano per favorire il colpo alla gioielleria da questi sorvegliata. Incastrato in una rapina, Koistinen finirà in carcere per evitare di denunciare la donna, pur consapevole della trama orchestrata ai suoi danni. Dopo aver scontato la sua pena e un saltuario lavoro in un ristorante come capocuoco, non potrà aspirare alla giusta vendetta ma troverà comprensione, speranza e forse l’amore in una timida e solitaria venditrice di hot-dog, sua anima gemella. Questo in breve Le luci della sera, una favoletta nel tributo di Chaplin dalla semplicità profonda che conserva una forza e un fascino notevoli nella caratterizzazione disperata di un dignitoso reietto abbandonato dal mondo, uno stupido romantico (come definito cinicamente dal duro boss) addolorato dalla vita. Koistinen è l’uomo medio dalla vita media schiacciato da una società ostile che lo isola reprimendo le sue ambizioni (la scena del prestito alla banca ha la forza espressiva di un pugno allo stomaco) che tuttavia trova la prontezza di reagire sulla base di oramai dimenticate norme morali. Essenziale e senza distrazioni o ingegnosità, lucido e scarno, Le luci della sera conclude la trilogia dedicata alla condizione esistenziale umana già iniziata dal regista finlandese con Nuvole in viaggio, incentrato sul dramma della perdita del posto di lavoro e poi continuata con il gran premio speciale alla giuria al Festival di Cannes L’uomo senza passato. Le luci della sera non è il fanalino di coda della trilogia ma anzi è forse il più drammaticamente riuscito dei precedenti: in esso è possibile riconoscere l’amore di Kaurismaki per l’oggettività della narrazione, la scelta di uno stile sobrio e privo di barocchismi, la spoglia rappresentazione dialogica spesso sillabica tra i protagonisti. Attraverso la splendida fotografia di una Helsinki quasi irreale e irriconoscibile dalle tinte rosso blu, il regista svedese gira un melodramma asciutto sulla disperazione e la solitudine umana, forte del potere delle immagini e della musica (che spazia dalla classica a quella dei cori finlandesi) che accompagnano la lenta discesa agli inferi del solitario Koistinen. L’ansia di riscatto e la sua volontà sono trasmesse empaticamente allo spettatore evitando di scivolare nel patetismo e nella lezione della vecchia letteratura russa (Tolstoj e Dostoevskij); Koistinen è la maschera umana dell’uomo del XXI secolo, superstite rassegnato di un mondo cui non appartiene perdente dignitoso emotivamente anonimo. Un martire destinato al naturale sacrificio in un mondo di indifferenza rischiarato solo dalla tenue luce di un’anima gemella che lo possa sostenere nel freddo squallore di una vita dall’ignoto futuro.
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lucio
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giovedì 22 febbraio 2007
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le ombre della solitudine
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Caro Aki , ti scrivo dopo aver visto il film per dirti alcune cose che mi stanno a cuore . Io vivo in Italia . In questa terra feconda gli alberi , al posto delle foglie , hanno tante monete d'oro come ai tempi di Pinocchio . Basta entrare in un bosco , di tanto in tanto , raccoglierle con cura , metterle in banca e vivere felici e contenti . Qui il lavoro è garantito e c'è la piena occupazione . I precari non esistono . La felicità si compra in farmacia anche senza ricetta medica . Non si è mai soli , in Italia . Basta uscire la sera per incontrare carri allegorici e gente che se la gode alla grande . I bar , la sera , sono pieni di uomini e donne che brindano alla vita in una estasi di bollicine .
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Caro Aki , ti scrivo dopo aver visto il film per dirti alcune cose che mi stanno a cuore . Io vivo in Italia . In questa terra feconda gli alberi , al posto delle foglie , hanno tante monete d'oro come ai tempi di Pinocchio . Basta entrare in un bosco , di tanto in tanto , raccoglierle con cura , metterle in banca e vivere felici e contenti . Qui il lavoro è garantito e c'è la piena occupazione . I precari non esistono . La felicità si compra in farmacia anche senza ricetta medica . Non si è mai soli , in Italia . Basta uscire la sera per incontrare carri allegorici e gente che se la gode alla grande . I bar , la sera , sono pieni di uomini e donne che brindano alla vita in una estasi di bollicine . I pensionati , in Italia , non sanno come spendere la loro esagerata pensione . Vedo invece che da te , in Finlandia , tutto è diverso . Koistinen vive da misantropo . Non parla con nessuno . Ha una casa gelida e un lavoro monotono che non gli permette lussi di nessun genere .
Non ha donne Koistinen . Un giorno ne incontra una bionda e bellissima . Lui se ne innamora , ma lei lo frega coinvolgendolo in un giro losco che lo porterà in prigione .
Mentre le immagini ( splendide ) scorrono mi accorgo che tutti fumano e bevono come pazzi . Ricchi e poveri , delinquenti e gente onesta , tengono sempre la cicca in bocca e un bicchiere in mano . Due droghe leggere ne fanno una pesante . Forse questo significa , caro Aki , che in Finlandia la solitudine regna sovrana in ogni strato sociale ? Quale è dunque il tuo messaggio ? Vuoi dire che siamo soli al mondo ? Se la risposta è sì , allora venite tutti da noi . Il paese dei balocchi è tutta un'altra cosa ...
Fuor di metafora , debbo dire di aver visto un magnifico lungometraggio . Aspetto con ansia il tuo prossimo lavoro .
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volpe
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sabato 24 febbraio 2007
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la solitudine del nord del mondo
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Kaurismaki mi ricorda le letture dei libri dei nuovi scrittori Finlandesi e Nordici in genere, come Arto Passsilinna o Lars Gustafsson .
Spesso i personaggi sono uomini solitari che hanno rari incontri , e per il resto meditano la loro solitudine invernale .
Rispetto a questi scrittori , che spesso hanno una loro peculiari comicità o ironia, Kaurismaki sceglie un 'ambientazione metropolitana, che si sostituiasce ai bei boschi di abete e alle pianure sconfinate della Lapponia.La solitudine è bella viverla se si è soli veramente, in mezzo alla natura .
Invece il personaggio sia per mestiere ma anche per condizione sociale , si trova chiuso e nello stesso tempo scluso da una società che tende a trasformarsi in un sorta di cassa forte o prigione , in cui per entrarci bisonga far leva su quel poco di umano che rimane , il guardiano di questo carcere .
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Kaurismaki mi ricorda le letture dei libri dei nuovi scrittori Finlandesi e Nordici in genere, come Arto Passsilinna o Lars Gustafsson .
Spesso i personaggi sono uomini solitari che hanno rari incontri , e per il resto meditano la loro solitudine invernale .
Rispetto a questi scrittori , che spesso hanno una loro peculiari comicità o ironia, Kaurismaki sceglie un 'ambientazione metropolitana, che si sostituiasce ai bei boschi di abete e alle pianure sconfinate della Lapponia.La solitudine è bella viverla se si è soli veramente, in mezzo alla natura .
Invece il personaggio sia per mestiere ma anche per condizione sociale , si trova chiuso e nello stesso tempo scluso da una società che tende a trasformarsi in un sorta di cassa forte o prigione , in cui per entrarci bisonga far leva su quel poco di umano che rimane , il guardiano di questo carcere .
Non manca tuttavia l'ironia : la non curanza del personaggio al suo ruolo e la voglia di amare , quindi uscire da se , e da questo intrappolamento, hanno la meglio.
Dal punto di vista strettamento cinematografico non mi permetto di dire nulla, come spettatore infatti la mia è solo una esperienza "onirica" come diceva Pasolini
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maurizio crispi
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venerdì 2 febbraio 2007
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solitudini metropolitane e vuoto di parola
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Chi s'accosta a questo film pensando di imbattersi in un'opera di cinema-intrattenimento rimarrà certamente deluso. Nel film di Kaurismaki i dialoghi sono ridotti all'osso, il cast di attori è essenziale, c'è pochissima azione. Eppure, il film si sviluppa come un canto incisivo e melanconico sulla solitudine nelle metropoli contemporanee dell'occidente. Il protagonista (la guardia giurata) vorrebbe trovare un suo posto nella vita, farsi strada, conquistare un piccolo pezzetto di "felicità" che, confusamente, egli sente spetti anche a lui; uomo di poche parole e dai pensieri essenziali, incapace di esprimere in forma articolata ed intelligibile, sentimenti, stati, d'animo e passioni, in questa modesta e "minimale" (tuttavia dignitosa) ricerca interiore finisce con l'essere un emarginato nell'ambiente di lavoro ed inviso ai suoi colleghi che lo deridono (una derisione che in alcuni momenti diventa persecuzione bell’e buona).
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Chi s'accosta a questo film pensando di imbattersi in un'opera di cinema-intrattenimento rimarrà certamente deluso. Nel film di Kaurismaki i dialoghi sono ridotti all'osso, il cast di attori è essenziale, c'è pochissima azione. Eppure, il film si sviluppa come un canto incisivo e melanconico sulla solitudine nelle metropoli contemporanee dell'occidente. Il protagonista (la guardia giurata) vorrebbe trovare un suo posto nella vita, farsi strada, conquistare un piccolo pezzetto di "felicità" che, confusamente, egli sente spetti anche a lui; uomo di poche parole e dai pensieri essenziali, incapace di esprimere in forma articolata ed intelligibile, sentimenti, stati, d'animo e passioni, in questa modesta e "minimale" (tuttavia dignitosa) ricerca interiore finisce con l'essere un emarginato nell'ambiente di lavoro ed inviso ai suoi colleghi che lo deridono (una derisione che in alcuni momenti diventa persecuzione bell’e buona). Nella sua solitudine, il nostro non ha mai imparato a "leggere" i comportamenti degli altri e a decifrarne secondi fini e doppiezze. Viene così incastrato in un gioco sporco, in cui diviene inconsapevole complice di un furto ai danni di una gioielleria del Centro commerciale in cui fa la Guardia Giurata. Al "delitto" fa seguito il "castigo" (in verità immeritato). I veri colpevoli della sporca macchinazione la fanno franca. Seguono la riabilitazione e il difficile reinserimento in società: queste diverse fasi avvengono sempre nel più totale vuoto di parola. Non si può mai capire cosa il nostro pensi e senta, se non intuendolo da "azioni" estreme e purtroppo sempre perdenti. Solo alla fine, ma sempre nel vuoto di parola, avviene un gesto di solidarietà, una mano abbandona il suo rattrappimento per toccarne un'altra: forse è l'inizio di una nuova vita, una vita di due solitudini che, senza spendere alcuna parola, s’uniscono l'una con l'altra per formarne una a due che forse sarà meno pesante e un po' più aperta alla speranza. Un ottimismo minimalista pervade, dunque, la conclusione: ma nulla viene detto esplicitamente. E' magistrale il modo in cui il regista ha trattato questa materia fatta di silenzi, di non detti, di vuoto di parola, in ambientazioni prevalentemente notturne o appena pervase dalle prime luci dell'alba con scenari squallidi di cantieri e di strutture portuali, come se il mondo si muovesse in una dimensione in cui il bello, il piacere della natura, la luce piena del giorno e il calore del sole sono stati cancellati per sempre. La vicenda viene narrata con un'attenzione esasperata ai volti dei personaggi e alle sequenze dei loro gesti, il più delle volte muti. Gli sguardi hanno una funzione essenziale, ma è come se gli occhi dessero la possibilità di guardare dentro ad uno spazio opaco in cui i sentimenti sono stati smarriti o non sono mai stati costruiti perché manca perfino il linguaggio interiore per poterli nominare, definire e in definitiva portarli all'esistenza. L'impossibilità di "dire", di utilizzare il linguaggio interiore per esprimere a se stessi gli accadimenti fa sì che manchi in linea di massima l'empatia e la capacità di decifrare le motivazioni altrui. Ma, alla fine, malgrado la povertà del linguaggio interiore, qualcosa di positivo riesce ad attecchire, pur rimanendo confinata al pre-verbale. E' un film che, per alcuni versi, farebbe pensare ad alcuni grandi capovalori del cinema muto.
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howlingfantod
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mercoledì 12 aprile 2017
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ancora una fiaba...aki
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Una malinconica guardia giurata (Koistinen) in una Helsinki scarna e deserta viene coinvolto con l’inganno in una possibile storia d’amore con un’ avvenente donna bionda che lavora per dei gangster che tramite lei riescono a ottenere i codici di accesso ad una gioielleria per rapinarla.
Come in tutto il cinema di Kaurismaki c’ è uno sguardo affettuoso e compassionevole verso gli ultimi, i derelitti, gli sconfitti, i puri, tutti osservati con uno sguardo candido, lucido e profondo a dispetto del loro aspetto da macchiette inespressive e della stralunata ironia tipicamente nordica che li racconta, altro tratto fondante del cinema del regista finlandese.
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Una malinconica guardia giurata (Koistinen) in una Helsinki scarna e deserta viene coinvolto con l’inganno in una possibile storia d’amore con un’ avvenente donna bionda che lavora per dei gangster che tramite lei riescono a ottenere i codici di accesso ad una gioielleria per rapinarla.
Come in tutto il cinema di Kaurismaki c’ è uno sguardo affettuoso e compassionevole verso gli ultimi, i derelitti, gli sconfitti, i puri, tutti osservati con uno sguardo candido, lucido e profondo a dispetto del loro aspetto da macchiette inespressive e della stralunata ironia tipicamente nordica che li racconta, altro tratto fondante del cinema del regista finlandese.
Bellissima la fotografia, netta, curatissima e precisa, contemporaneamente come un quadro di Hopper con gli interni di bar nella notte e scene di comune solitudine urbana ed allo stesso tempo caravaggesca con gli ampi spazi di luce bianca sui volti dei protagonisti , quasi a simboleggiare una luce divina che li osserva, li custodisce e forse li protegge.
In tutti i suoi film Kaurismaki pone particolare attenzione agli ultimi, alla sopraffazione, ai traditi dalla vita, alle più umili professioni, in questo caso rendendo dignità ad una categoria, le guardie giurate e lo fa con un linguaggio cinematografico straniante, che non vuole coinvolgere lo spettatore su un piano simpatetico e melodrammatico, ma fa questo con i dialoghi ridotti all'osso, con le immagini scarnificate, eppure riesce a farci amare i suoi “ultimi” e questo lo può fare solo un grande artista.
Prima che un altro omaggio del regista finlandese a Chaplin, non può non venire in mente “Luci della città” sia dal titolo che dalle rispettive scene finali dei due film con le mani che si stringono i protagonisti con il messaggio di speranza insito nel gesto, “Luci della sera” è una bellissima fiaba di un grande regista.
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lunedì 15 gennaio 2007
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volver( tornare)!
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“Solo come un cane” la nota similitudine definisce emarginazione ed abbandono e Kaurismaki firma sempre con la presenza viva di un cane le sue opere, come se tenesse ad assicurare lo spettatore della genuinità della sua ispirazione. L’animale-attore è uno dei tanti particolari di cui il regista si serve per suscitare pietà nei confronti dell’umanità patetica e derelitta da lui raccontata. Ma per non correre il rischio di annoiarsi nell’ovattata atmosfera delle sognanti periferie del regista finlandese bisogna lasciarsi cullare dai ritmi lenti senza rincorrere la storia o cercarvi il ritratto realistico d’ambiente; è necessario piuttosto lasciarsi coinvolgere, pensando di essere all’interno della galleria di un artista, i quadri del quale più che denunciare la realtà poeticamente la deformano.
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“Solo come un cane” la nota similitudine definisce emarginazione ed abbandono e Kaurismaki firma sempre con la presenza viva di un cane le sue opere, come se tenesse ad assicurare lo spettatore della genuinità della sua ispirazione. L’animale-attore è uno dei tanti particolari di cui il regista si serve per suscitare pietà nei confronti dell’umanità patetica e derelitta da lui raccontata. Ma per non correre il rischio di annoiarsi nell’ovattata atmosfera delle sognanti periferie del regista finlandese bisogna lasciarsi cullare dai ritmi lenti senza rincorrere la storia o cercarvi il ritratto realistico d’ambiente; è necessario piuttosto lasciarsi coinvolgere, pensando di essere all’interno della galleria di un artista, i quadri del quale più che denunciare la realtà poeticamente la deformano. Così in “Le luci della sera”, terza parte di una trilogia dedicata ai perdenti, i pochissimi dialoghi e la scabra classica vicenda di un inganno orchestrato ai danni di un sorvegliante hanno addirittura un effetto disturbante ed innaturale, costituiscono una stonatura in un universo di volti attoniti e sfigurati dalla stanchezza o dai vizi, di penombre, di lunghi silenzi, di passi persi nella notte, di conversazioni laconiche e surreali, di pugni brutali o carezze riparatrici: una donna illuminata prigioniera dentro il riquadro di un chiosco di salsicce in riva al fiume inquinato, la pausa di un sorriso all’interno del carcere, la malinconia struggente del tango, il vigore disperato del cantante rock nella balera, la dolcezza triste del vecchio nel dormitorio pubblico, il crepuscolo di Helsinki, l’azzurrino dei suoi palazzi in vetro cemento all’alba…apparizioni magiche che affiorano dagli angoli dimenticati delle ricca Europa. Il poeta alcolista e maledetto fruga la spazzatura: Kaurismaki sostiene di girare ubriaco parte delle scene delle sue pellicole, eppure in esse l’alcool non incorona il carismatico ribelle, è al contrario la fedele compagnia che consente al povero sprovveduto di dimenticarsi. Poeta maledetto si dunque, ma alla maniera dello scrittore erotomane Bukovski, senza aureola: l’incanto scaturisce dall’ estraneità forzata rispetto a un meccanismo sociale stritolante; sopravvive puro a un’umanità corrotta dal progresso e dalle leggi economiche solamente chi ne è vittima non integrata, gli uomini senza passato( è il titolo della penultima fatica del regista) chi ha smarrito la memoria nella speranza forse vana di un futuro migliore. Allora dalle glorie della Settima arte Kaurismaki recupera la fiaba salutarmene anacronistica di Charlot, stralunato angelo vagabondo caduto negli infermi metropolitani tra bionde donne fatali bugiarde e gangster: a chi cerca un riscatto non resta che rimpiangerlo nell’attesa di un ritorno, “volver”, tornare, canta Bernal e “Volver” intitola Almodovar il suo film sui fantasmi …
http://slilluzicando.splinder.com
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