Se si prendono per buone le semplificazioni inerenti alle scenografie di massa (ad es. delegato alle indagini nonché protagonista del film è un investigatore solitario in luogo di una squadra) si tratta di un poliziesco di ottima fattura, che alterna sapientemente la tensione degli attentati a una ricostruzione abbastanza attendibile della pratica investigativa, ed avvince lo spettatore senza fare troppa violenza al materiale storico. Particolarmente valida la colonna sonora.
Al film si deve dare atto di non diffamare apertamente i brigatisti; anzi non è esente da un certo approfondimento della situazione umana ed esistenziale dei militanti comunisti, stretti nella logica claustrofobica della clandestinità o – ancor peggio – della semiclandestinità, ch’essi affrontano colla risolutezza dell’autentico militante rivoluzionario.
[+]
Se si prendono per buone le semplificazioni inerenti alle scenografie di massa (ad es. delegato alle indagini nonché protagonista del film è un investigatore solitario in luogo di una squadra) si tratta di un poliziesco di ottima fattura, che alterna sapientemente la tensione degli attentati a una ricostruzione abbastanza attendibile della pratica investigativa, ed avvince lo spettatore senza fare troppa violenza al materiale storico. Particolarmente valida la colonna sonora.
Al film si deve dare atto di non diffamare apertamente i brigatisti; anzi non è esente da un certo approfondimento della situazione umana ed esistenziale dei militanti comunisti, stretti nella logica claustrofobica della clandestinità o – ancor peggio – della semiclandestinità, ch’essi affrontano colla risolutezza dell’autentico militante rivoluzionario.
Purtroppo il film prescinde dalla benché minima analisi del contesto sociale, ideale e politico in cui è fiorita la lotta armata, accennandovi al solo scopo di svilirne natura e motivazioni. Non si fa parola del processo di smantellamento dello stato sociale e di precarizzazione del lavoro di cui Biagi e D’Antona erano gli esecutori (ed al cui interno in cui si inquadrava l’offensiva delle Nuove BR), se non per giustificarlo sulla falsariga della più piatta retorica di regime (la “flessibilità”, vien fatto dire a un sorridente D’Antona stile nonnetto benevolente, serve “per dar lavoro ai giovani” – beninteso senza posto fisso e senza garanzie).
Sulla stessa falsariga il regista concentra l’attenzione sul versante umano e familiare degli obiettivi (con tanto di scenette strappalacrime) anziché sul loro ruolo sistemico, e sottace i temi più controversi, come le torture (ampiamente documentate) praticate sui brigatisti arrestati per incoraggiare i “pentimenti”. Al contrario gl’investigatori sono acriticamente presentati come individui pieni di umanità che agiscono nel massimo rispetto delle regole del garantismo.
In sostanza si tratta di un thriller non privo di serietà ed ambizioni, che però, trattando un argomento particolarmente scottante nell'epoca del pensiero unico neoliberale, ha la prudenza elementare di recitare il dovuto pater noster alla vulgata di regime.
[-]